Secondo la Iata, l’associazione internazionale dell’aviazione civile, il trasporto aereo nel 2014 ha emesso oltre 715 milioni di tonnellate di anidride carbonica (erano 689 nel 2012), circa il 2% del totale dei gas climalteranti. Una fetta non trascurabile. Ora, di fronte alle crescenti pressioni per ridurre le emissioni, le compagnie aeree stanno correndo ai ripari. Al punto che la Iata ha fissato come obiettivo un aumento delle emissioni pari a zero per il 2020 e una riduzione del 50% (rispetto al 2005) entro il 2050. Sebbene numerose modifiche nelle rotte e nelle strategie di decollo e atterraggio possano contribuire a diminuire i consumi, così come l’uso di motori più efficienti, l’apporto principale dovrebbe avvenire attraverso l’impiego di carburanti meno inquinanti. Soprattutto biocarburanti, e in particolare quelli di nuova generazione.
Gli esempi non mancano. Già nel 2008 Virgin impiegò del biofuel (blend al 20%) derivato da olio di cocco e di babassu su un Boeing 747 da Londra ad Asterdam. Oggi sono numerose le compagnie che usano biofuel prodotti impiegando jatropha, olio da cucina usato, alghe, camelina. Sempre secondo la Iata entro il 2020 il 4% dei carburanti sarà costituito da biocarburanti di seconda generazione derivati da scarti, residui agricoli e altre fonti non-food. Secondo lo studio di E4Tech dal titolo Sustainable Aviation Fuels – Fuelling the Future si dovrebbero arrivare a produrre oltre 13 milioni di tonnellate di carburante sostenibile per il settore aereo entro 2030, con un risparmio equivalente di 35 milioni di tonnellate di CO2 non emesse nell’atmosfera. Le speranze sono di avere una riduzione del 18% delle emissioni entro il 2050. Sarà davvero così?
Materiali da cui è possibile ricavare biocombustibile |
Secondo i sostenitori del biofuel-business il settore aereo è solo all’inizio dello sviluppo di questo mercato. “Il nostro comparto deve affrontare due questioni principali”, spiega Jessica Kowal, responsabile del programma sostenibilità del colosso dell’aerospace Boeing. “Non esiste un’offerta sufficiente per soddisfare la domanda delle compagnie aeree e i costi sono ancora troppo elevati: bisogna parificare il costo a quello del cherosene.” Attualmente il prezzo dei biocarburanti è attorno a un dollaro al litro. Secondo vari intervistati ciò che manca è un supporto finanziario (incentivi, finanziamenti ad hoc per R&D ecc.) decisivo per lo sviluppo del settore.
“Non ci sono avanzamenti sostanziali. È sempre la stessa questione: prima l’uovo o la gallina?”, afferma Saija Stenbacka, VP Quality, Safety and Environmental Management di Finnair, la compagnia di bandiera finlandese che ha testato il primo biofuel-powered da Helsinki a New York durante il Climate Summit delle Nazioni Unite di settembre 2014. “C’è necessità d’infrastrutture per la creazione di un’industria sostenibile dei biocarburanti. Ma senza investimenti non ci sono infrastrutture.” E allo stesso tempo: senza infrastrutture tangibili e testate poche imprese vogliono lanciarsi in investimenti sostanziali. “Ci sono troppi rischi associati”, continua Stenbacka. “E non è facile convincere gli investitori.” Secondo Boeing “serve una strategia ‘all of the above’”, aggiunge Kowal “che sviluppi diversi tipi di carburanti da un numero elevato di materie. Crediamo che nel breve termine il green diesel sia un percorso interessante e per questo stiamo cercando l’approvazione per il suo uso nell’aviazione commerciale”. Un combustibile dunque che sfrutta principalmente non solo il dannoso olio di palma ma grassi animali, oli esausti, oli derivanti da alghe e varie tipologie di scarti di origine biologica. In Italia Eni ha convertito una vecchia raffineria nella prima green-refinery proprio per produrre green diesel. Ma al momento l’uso di olio di palma non sembra una soluzione esattamente ecofriendly. Ragione per cui le compagnie guardano con più interesse ai biocarburanti advanced, di nuova generazione.
In Europa intanto, per favorire uno sviluppo sostenibile del settore, la Commissione Ambiente ha votato recentemente (24 febbraio) contro la produzione di biocarburanti “dannosi per le culture alimentari o per altre importanti risorse come l’acqua”. Qualora la direttiva venisse approvata in via definitiva modificherebbe la controversa Fuel Quality Directive, riducendo a meno del 6% il mix con biocarburanti nel settore trasporti. Per i player di settore servono invece regolamenti che favoriscano gli investimenti. “La tecnologia è assolutamente pronta e continua a fare progressi rapidissimi”, spiega Antonio De Palmas, presidente di Boeing Italy. “Ma c’è bisogno di un impegno governativo affinché le politiche e i regolamenti esistenti, specialmente in Europa, vengano ridisegnati per sostenere l’unica fonte di energia rinnovabile disponibile per l’industria aeronautica.”
Sebbene il settore sia ancora agli albori, non sono poche le compagnie che stanno investendo in ricerca e sviluppo. Gli esempi non mancano. Lo scorso dicembre South African Airways (Saa) ha annunciato una partnership per produrre su larga scala un tipo di tabacco, ad alto contenuto energetico, per raffinare biofuel. Insieme a Boeing, Saa e i partner del settore biochimico, SkyNRG e Sunchem SA, hanno dato avvio Project Solaris con una sperimentazione di 123 ettari nella provincia del Limpopo.
L’americana Southwest Airlines ha siglato un accordo con Red Rock Biofuels per impiegare un biocarburante derivato dagli scarti forestali “con un significativa riduzione degli incendi di larga scala negli Stati Uniti occidentali. L’accordo prevede la consegna di oltre 10 milioni di litri di carburante entro il 2016. Il Brasile sembra essere il più interessato a fare il primo della classe. Presso il Joint Research Center del brasiliano São José dos Campos Technology Park, due colossi dell’aviazione, Boeing e Embraer, stanno coordinando ricerche a tutto campo sul tema: feedstock production, analisi economiche sull’evoluzione delle tecnologie, studi di viabilità economica, innovazione nelle tecnologie di processing. Difficile non intuire i legami con le potenti firme di agribusiness del Sud America. Secondo think-tank come Transport & Environment (vedi intervista) il settore sta vendendo gli advanced biofuels come una panacea per le emissioni del settore. Una nuova lotta per le biomasse si prospetta all’orizzonte.
©T&E |
Intervista a Piero Caloprisco, responsabile biofuel di Transport & Environment
“Ecco le trappole del biofuel”
Transport & Environment si occupa da sempre d’inquinamento e sostenibilità nel settore trasporti: rappresenta un nodo importante della rete di associazioni che monitora l’uso dei biocarburanti. Facciamo il punto con il policy analyst Pietro Caloprisco.
A che punto siamo in Europa con i biofuel nel settore aereo?
Finora sono state operazioni di singole compagnie aeree che, in collaborazione con qualche produttore, hanno testato biofuel innovativi. Parliamo sempre di un prodotto che viene mischiato con carburanti normali. Oggi al massimo raggiunge il 50% di purezza.
Quanto pesano i biocarburanti sul totale dei consumi del settore aereo?
A partire dal 2011 ci sono stati circa 1.500 voli alimentati da biofuel: una quota irrisoria se pensiamo che ogni giorno nel mondo ci sono 100.000 voli. Ci sono più dichiarazioni che fatti: in qualche caso si tratta di greenwashing, in altri compagnie come la British Airways stanno facendo investimenti che potrebbero avere ricadute interessanti. Ma se l’industria vuole raggiungere il target volontario (50% delle emissioni entro il 2050) è necessario che i biocarburanti per aerei abbiano una maggiore penetrazione nel settore dell’aviazione (figura 1).
Possono ridurle anche rendendo più efficienti i motori e modificando le rotte.
Però la parte del leone, secondo l’industria, la farà il biofuel. Ed è qui che iniziamo a preoccuparci perché c’è un grosso problema di sostenibilità per la maggior parte dei biofuel di prima generazione disponibili sul mercato. L’industria dell’aviazione dice che vorrebbe stare lontana da tutti i tipi di biocarburanti che entrano in competizione con il cibo. Ma nei fatti bisogna vedere se faranno seguito a queste promesse: se rinunci al biofuel di prima generazione, che almeno in Europa è al momento l’unica realtà, vuol dire che stai guardando esclusivamente agli advanced biofuel.
Però ci sono realtà che vanno in questa direzione.
In Italia si può citare la Biochemtex, che è stata la prima compagnia al mondo a produrre biofuel da residui di produzione agricola.
La politica può aiutare?
Sbloccando gli investimenti. Allora potremmo iniziare a vedere un po’ più di impianti che producono advanced biofuel o da residui agricoli oppure da rifiuti o dai residui del legno. Però per realizzare una realtà industriale importante, con i volumi che ci vorranno per fare la differenza, serviranno molti anni. Pare un po’ prematuro fare scenari basati su questi biofuel.
Quale obiettivo si potrebbe raggiungere?
Valutando il potenziale degli advanced biofuel abbiamo scoperto che nel miglior scenario possibile, in Europa potranno al massimo coprire il 13% del fabbisogno energetico europeo nel trasporto di terra.
Non è così male, no?
Non sarebbe male ma lo studio ha come assunto che tutta la biomassa che produciamo da residui agricoli, agroforestali e dai rifiuti venga interamente impiegata per produrre biocarburanti per il settore di terra. Quindi non viene preso in considerazione il fatto che altri settori della bioenergia sono interessati a quella biomassa. Si profila una competizione tra industrie che puntano a decarbonizzarsi.
Insomma il 13% potrebbe essere non realistico?
Se arriviamo al 5% di uso di biocarburanti nell’aviazione sarà già tanto. È difficile fare una stima precisa.
Quindi è una falsa speranza?
Il nostro scenario è basato soltanto sull’Europa: ci sono altre aree a livello globale che hanno potenziali importanti. Ma l’impatto ambientale potrebbe essere elevato, specie in Sud America e Indonesia.
Produrrebbero carburanti da palma d’olio.
Esatto, con conseguente deforestazione. Non è un invito allo scetticismo ma alla prudenza perché è difficile fermare le emissioni. Il settore a livello globale ha una crescita del 4,5% all’anno che in teoria dovrebbe portarci a un accrescimento delle emissioni per il 2050 del 250%.
Ultima considerazione: i costi.
I prezzi sono esagerati. Il biofuel costa 2 o 4 volte più del cherosene normale (parliamo di biofuel di prima generazione che è il meno caro). Chi pagherà? Vogliono avere ulteriori sussidi per l’utilizzo di biofuel? Magari un metodo per assicurare gli investimenti potrebbe essere avere un carbon pricing molto alto per il settore dell’aviazione. Ma i biocarburanti avanzati sono i più cari: c’è il timore che si possa ricorrere a biocarburanti tradizionali, prodotti chissà dove senza regolamenti.
Info
Per approfondimenti sull’impianto di Cresentino (Vercelli) vedi tinyurl.com/mx8vzal
Intervista Ignaas Caryn, Direttore del programma biocarburanti di KLM
KLM: “Noi voliamo con olio da cucina”
KLM-AirFrance è stata una delle prime compagnie europee a impiegare biocarburanti per i serbatoi dei suoi velivoli. “Materia Rinnovabile” ha incontrato Ignaas Caryn, direttore responsabile per il programma carburanti.
Voi siete leader in questo settore: quali biocarburanti impiegate?
KLM usa un tipo di combustibile raffinato dall’olio da cucina usato. Questa è un’alternativa sostenibile per garantire una riduzione di emissioni di CO2 sostanziale e non richiede l’uso di terreno agricolo addizionale. KLM usa solo feedstock (materia grezza) di seconda generazione, per non produrre impatti sulla biodiversità o sulla disponibilità di cibo. Questo è un prerequisito per la nostra compagnia. Per essere sicuri di acquistare biocarburanti sostenibili ci avvaliamo dei consigli del Sustainability Board del nostro fornitore SkyNRG, che include il WWF olandese, il Copernicus Institute dell’Università di Utrecht e l’associazione Solidaridad. Facciamo in modo che il processo sia certificato dal Roundtable on Sustainable Biofuels (Rsb), un’organizzazione che garantisce gli standard più alti per le condizioni di lavoro e la tutela dell’ambiente nella catena di produzione di biocarburanti.
Quante emissioni ridurrete entro il 2020 con l’utilizzo di biofuel?
Il nostro obiettivo è una riduzione del 20% complessiva entro il 2020 usando anche motori a basso consumo e aeroplani più leggeri ed efficienti, come il nuovo B787, atteso per l’ottobre di quest’anno.
Le compagnie che producono biocarburanti per il settore aereo sono in aumento. Da dove vi rifornite e quali difficoltà avete nell’approvvigionamento?
Il nostro fornitore è SkyNRG (skynrg.com), una compagnia olandese, fondata da KLM stessa insieme alla compagnia petrolifera Argos, (North Sea Petroleum) e Spring Associates. Attualmente SkyNRG è il leader mondiale per il cherosene sostenibile: rifornisce oltre quindici compagnie aeree in tutto il mondo. Il problema è la logistica: le forniture sono limitate, devono essere consegnate con autocarri e pompate nei serbatoi separatamente dal cherosene.
Quali tratte sono coperte da velivoli alimentati da biofuel?
Abbiamo iniziato con una singola rotta, l’Amsterdam-Parigi. Nel giugno 2012 abbiamo coperto la tratta più lunga per un volo alimentato da biocarburanti, l’Amsterdam-Rio de Janeiro. Da marzo 2013 ci sono voli settimanali: ogni giovedì da Amsterdam Schiphol a NYC John F. Kennedy Airport con un Boeing 777-200. Nel maggio 2014 abbiamo effettuato alcuni voli per Aruba e Bonaire operati con Airbus 330-200.
I passeggeri sanno che stanno volando a biocarburante?
Sì, vengono informati dal capitano. Inoltre ci sono articoli sul magazine on-board e banner ai gate d’imbarco.
Che ruolo può giocare la Iata, l’associazione internazionale dei trasporti aerei?
Temiamo che il settore dei trasporti aerei non abbia sufficiente determinazione nel ridurre le emissioni con misure globali e regionali. Inoltre per raggiungere l’obiettivo ci deve essere un meccanismo di equilibro, in modo che non si crei competizione a svantaggio di chi cerca di ridurre le emissioni.
Info
Per maggiori informazioni vedi i video “How cooking oil could power your plane” tinyurl.com/leyz74d e “Biofuel because...” tinyurl.com/qecrkro