Analizzare processi industriali interni e trovare le chiavi per renderli sostenibili. È questa una delle sfide più interessanti dell’economia circolare e anche una delle più difficili perché la sostenibilità se non salvaguarda la catena del valore delle imprese ha poche possibilità di svilupparsi. Figuriamoci, poi, quando la sostenibilità ambisce ad aumentarla la catena del valore, sviluppando così nuovi mercati. 

Sembra il libro dei sogni e invece è una sfida che si è data una delle più grandi e antiche aziende del settore del legno, Stora Enso, gruppo svedese-finlandese che nel 2016 ha fatturato 9,8 miliardi di euro, con 25 mila dipendenti in 35 paesi e che ha deciso di trasformarsi in un’azienda che utilizza materie prime rinnovabili di seconda generazione. Ossia non in competizione con l’agricoltura destinata all’alimentazione umana. 

 

 

“Il nostro business è e rimane nelle foreste” ci dice Andreas Birmoser, vicepresidente, per il business e le strategie del settore biomateriali di Stora Enso. “Siamo convinti che già oggi sia possibile fare con gli alberi tutto ciò che facciamo con il petrolio.” Dal 2012 l’azienda ha creato la divisione dei biomateriali innovativi e da allora ha intrapreso un percorso per “cambiare pelle”. “Oltre due terzi della nostra attività undici anni fa erano legati alla carta” prosegue Birmoser, illustrandoci presso il laboratorio di ricerca sui biomateriali di Stoccolma, la nuova strategia industriale. “Oggi poco meno di un terzo. E i biomateriali innovativi ora rappresentano il 14% della nostra attività.” 

L’approccio dell’azienda ai biomateriali ruota attorno a una delle questioni centrali della sua produzione: utilizzare meglio gli scarti. Il processo di estrazione della polpa di cellulosa, infatti, utilizza meno del 50% degli alberi, con un 35-45% di cellulosa, che provengono al 100% da filiere tracciate e certificati, mentre il restante 50% è rappresentato da un 20-30% di lignina e un 25-35% di emicellulosa, sostanze il cui destino è solitamente l’incenerimento a scopi energetici. E qui entra in gioco l’innovazione tecnologica che serve a Stora Enso per migliorare l’estrazione della lignina, dell’emicellulosa e degli zuccheri affinché possano essere utilizzati come base per nuovi materiali. Un caso quasi da manuale di upcycling, nel quale un rifiuto diventa una risorsa, nello specifico addirittura di una nuova filiera, creando valore sia per l’azienda sia per l’ambiente. Per l’azienda il valore arriva dall’utilizzo dei biomateriali ex di scarto come materia prima, cosa che consente un recupero economico legato al mancato acquisto di materia prima dall’esterno e dallo sviluppo di nuovi mercati; mentre sul fronte ambientale si sviluppano filiere su materiali innovativi caratterizzate dalla neutralità d’emissioni climalteranti.

L’idea di fondo è puntare a realizzare una bioraffineria che abbia le stesse funzionalità delle raffinerie di petrolio e che sia vicina al luogo di “estrazione” delle risorse: le biomasse. E non è un concetto inedito visto che negli ultimi decenni nel settore del fossile è successo esattamente questo. Le raffinerie che si occupano della chimica di base fossile, infatti, si sono spostate nei pressi dei giacimenti perché i paesi produttori di petrolio hanno capito che è molto più conveniente vendere gli intermedi rispetto al petrolio grezzo. Ma si può fare di più. Oggi con lo sviluppo e l’innovazione tecnologica dei processi di filiera è possibile usare le infrastrutture esistenti, modificandole, per le nuove produzioni, anche e soprattutto basate sui biomateriali. “Siamo attenti alla tecnologia” prosegue Birmoser. “E siamo convinti che l’inserimento delle nuove filiere nelle strutture esistenti sia anche un elemento per abbassare il rischio degli investimenti.” 

E un esempio di ciò è l’impianto di Sunila in Finlandia dove Stora Enso produce 50.000 tonnellate di lignina all’anno dal 2015, attraverso il processo kraft, utilizzato normalmente per la conversione del legno in polpa di legno. Con questa innovazione di filiera Stora Enso è diventata il più grande produttore di lignina al mondo e ha lanciato, di recente, un nuovo prodotto, chiamato Lineo. Oltre a essere molto versatile sul fronte industriale del prodotto in questione si stanno studiando altre applicazioni che vadano oltre a quella originale, ossia la sostituzione del fenolo di origine fossile. 

 

 

Per raggiungere questo risultato Stora Enso ha messo in piedi una serie di progetti pilota cominciati con l’acquisizione di una startup statunitense nel 2014 e con una serie di test nei propri stabilimenti, ma fondamentale è stato lo sviluppo della ricerca interna all’azienda. Da poco tempo, infatti, l’impresa ha completato la realizzazione di un centro di ricerca a Stoccolma dedicato ai biomateriali: 4.900 metri quadrati dei quali 1.600 sono di laboratori dove lavorano oltre 70 ricercatori, che sono quasi il 50% degli addetti alla ricerca e sviluppo di Stora Enso, a livello mondiale. Una delle linee di prodotto che sia sta studiando ora, per esempio, è quella relativa alle possibili metodologie di fabbricazione per la fibra di carbonio partendo alla combinazione tra la lignina e la cellulosa. Smentendo così la falsa credenza, ancora molto diffusa, secondo cui dai biomateriali non è possibile ottenere prodotti d’alto livello qualitativo, vista la loro origine organica. 

E proprio la lignina potrebbe essere una materia pervasiva all’interno di diverse filiere visto che è un sostituto rinnovabile per i materiali fenolici a base di petrolio che vengono utilizzati nelle resine per il compensato, per i pannelli a scaglie orientati (OSB), il legno laminato multistrato (LVL), la laminazione di carta e il materiale isolante. 

La lignina – rispetto al fenolo – oltre ad avere un impatto ambientale molto minore è più facile da lavorare e da conservare, visto che è essiccata. Ma possiede anche un’altra caratteristica che è stata sottolineata, durante l’annuncio del nuovo prodotto, da Markus Mannström, vicepresidente esecutivo della divisione per i biomateriali di Stora Enso: la stabilità del prezzo. I biomateriali infatti non risentono delle crisi geopolitiche che affliggono il mondo dell’energia fossile da oltre mezzo secolo e la loro stabilità di quotazione nel tempo consente una programmazione industriale più accurata ed efficace. Tutte caratteristiche, queste, che la rendono più economica del fenolo, a parità di prestazioni. 

 

Stora Enso, www.storaenso.com