Venerdì 2 dicembre si è concluso a Punta del Este, in Uruguay, il primo ciclo di negoziati per uno strumento internazionale giuridicamente vincolante (ILBI) per fermare l'inquinamento da plastica. L'ILBI ha la possibilità di diventare un trattato globale sulla salute e sui diritti umani, ma per avere successo deve evitare che gli Stati possano usare il veto e bloccare il processo decisionale.

Plastica: una diversa forma dei combustibili fossili

"Le materie plastiche sono combustibili fossili in un'altra forma e rappresentano una grave minaccia per i diritti umani, il clima e la biodiversità. Mentre proseguono i negoziati per un accordo per #BeatPlasticPollution, invito i Paesi a guardare oltre i rifiuti e a chiudere il rubinetto della plastica", ha dichiarato il 2 dicembre António Guterres, Segretario generale dell'ONU, su Twitter. Con le stesse parole Gustavo Meza-Cuadra, presidente dei negoziati, ha chiuso lo stesso giorno il primo ciclo di negoziati del Comitato intergovernativo di negoziazione (INC-1) che si è svolto dal 28 novembre al 2 dicembre a Punta del Este, in Uruguay.

Più di 2300 delegati provenienti da 160 Paesi e gruppi di interesse hanno partecipato ai negoziati e al relativo forum multistakeholder. Le discussioni hanno riguardato questioni importanti come la salute e i diritti umani, l'intenzione di includere nel trattato le materie plastiche come materiali e prodotti – compreso il divieto delle sostanze chimiche tossiche associate alla plastica - e i sussidi ai combustibili fossili come causa della crisi dell’inquinamento da plastica. Alcuni Paesi hanno chiesto un tetto alla produzione.

Molte delegazioni hanno riconosciuto l'importanza delle prove scientifiche e hanno chiesto un maggiore coinvolgimento degli scienziati, anche attraverso la potenziale istituzione di un organo scientifico dedicato. L'UE ha dichiarato che i dati sono già disponibili per prendere decisioni informate per porre fine all'inquinamento da plastica e ha chiesto di utilizzare il principio di precauzione.

Sostanze chimiche associate alla plastica e impatti sulla salute umana

Durante le discussioni, i delegati hanno riconosciuto che numerose analisi degli additivi chimici presenti nelle materie plastiche hanno un impatto negativo sulla salute umana e hanno dimostrato "senza ombra di dubbio la necessità di un'azione globale urgente". È stato sottolineato che l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha già riconosciuto il problema e che discussioni al riguardo sono già in corso anche nell'ambito della Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti.

Secondo un osservatore, "gli scienziati sono stati determinanti per includere nella narrativa il tema degli impatti sulla salute umana". La Endocrine Society ha ribadito che il trattato sulle plastiche è un trattato globale sulla salute pubblica e ha rilevato il consenso scientifico sul fatto che le sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino presenti nelle plastiche causano malattie non trasmissibili, con un impatto maggiore sui soggetti più vulnerabili; ha esortato gli scienziati a partecipare a tutti i gruppi di contatto e ai processi del trattato. Il Cile ha chiesto lo sviluppo di un database di informazioni scientifiche e ha sottolineato la necessità di sinergie con le convenzioni di Basilea, Rotterdam e Stoccolma (BRS), con la convenzione di Minamata e con il Protocollo di Montreal, oltre che con altre convenzioni e accordi.

Il Basel Action Network ha chiesto un meccanismo per fornire piena trasparenza scientifica sulle sostanze chimiche presenti nella plastica, indicando a questo proposito la Dichiarazione di Dubai sulla gestione internazionale delle sostanze chimiche; e ha osservato che tutte le spedizioni di rifiuti di plastica non sono conformi alla Convenzione di Basilea in quanto non forniscono informazioni sulle sostanze chimiche e sugli additivi.

Conflitto di interessi

In un documento pubblicato il 30 novembre, l'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) ha affermato che "esiste un conflitto fondamentale e inconciliabile tra gli interessi dell'industria della plastica e delle imprese profondamente coinvolte nella sua catena di approvvigionamento e i diritti umani e gli interessi politici delle persone colpite dalla crisi della plastica. L'industria della plastica ha un potere e un'influenza sproporzionati sulla politica rispetto al pubblico in generale. I diritti umani sono necessari per controbilanciare questi potenti interessi”.

Per stabilire dei chiari confini al conflitto di interesse, l’OHCRH suggerisce di prendere spunto dall'articolo 5.3 della Convenzione quadro per la lotta al tabagismo (Framework Convention on Tobacco Control, FCTC) dell’OMS che salvaguarda lo sviluppo delle politiche dagli interessi dell’industria e crea un quadro di responsabilità. “Per il processo di negoziazione e l'attuazione del nuovo trattato sulle materie plastiche dovrebbero essere stabiliti chiari confini sul conflitto di interessi, attingendo alle buone pratiche esistenti nel diritto internazionale; ad esempio, l'articolo 5.3 della Convenzione quadro dell'OMS sul controllo del tabacco afferma che "le Parti agiscono per proteggere [le loro politiche di salute pubblica rispetto al controllo del tabacco] dagli interessi commerciali e da altri interessi acquisiti dell'industria del tabacco...".

Diritti umani e transizione inclusiva

C'è stata un'importante presenza di popolazioni indigene, comunità circostanti colpite dall'industria petrolchimica, raccoglitori di rifiuti, giovani, donne, che hanno contribuito alle discussioni, anche se un osservatore ha detto che questo "non è ancora abbastanza". Soprattutto se paragonato al gran numero di rappresentanti "dell'industria dei combustibili fossili e petrolchimica che sono stati impunemente sostenuti nei negoziati" e che "hanno biasimato il comportamento dei consumatori e invocato false soluzioni".

L'IPEN, una coalizione di oltre 600 ONG, la maggior parte delle quali provenienti da Paesi a basso e medio reddito e che chiede un mondo libero da sostanze tossiche, ha denunciato la partecipazione sproporzionata degli attori dell'industria e ha chiesto che i finanziamenti attualmente destinati al forum multistakeholder siano indirizzati alla partecipazione dei giovani e delle delegazioni dei Paesi in via di sviluppo.

La Nuova Zelanda ha affermato che l'ILBI deve contenere misure per facilitare le prospettive indigene e le conoscenze tradizionali. Il Children and Youth Major Group ha chiesto che l'ILBI includa il principio dell'equità intergenerazionale e ha sottolineato la differenza tra portatori di interesse (stakeholders) e titolari di diritti (right-holders) nei processi decisionali dell'INC. La differenza tra stakeholder e right-holders è stata evidenziata anche dall'Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR), che ha anche chiesto la necessità di un approccio basato sui diritti umani nel futuro trattato sulla plastica.

Kenya e Sudafrica hanno annunciato la Just Transition Initiative per porre fine all'inquinamento da plastica in un modo che sia il più equo e inclusivo possibile per tutti gli interessati, creando opportunità di lavoro dignitose e non lasciando indietro nessuno. La Just Transition Initiative sarà sviluppata in consultazione con lInternational Alliance of Waste-pickers e sarà messa a punto nei prossimi mesi prima dell'INC-2.

Un tetto alla produzione di plastica

Diversi Paesi hanno detto che l’ILBI dovrebbe includere un tetto alla produzione. L'UE ha affermato che l'ILBI dovrebbe ridurre la produzione e il consumo complessivi di plastica, a prescindere dalla materia prima, e ha chiesto obblighi fondamentali su: criteri di progettazione; gestione dei rifiuti ecocompatibile; eliminazione graduale delle plastiche inutili, evitabili e problematiche, rendendo le altre riutilizzabili, riparabili e riciclabili; ha messo in guardia da misure che potrebbero avere conseguenze indesiderate (le cosiddette sostituzioni deplorevoli). I piccoli Stati insulari in via di sviluppo hanno affermato che l'ILBI dovrebbe includere misure vincolanti per la produzione primaria, stabilendo delle linee di base, simili al Protocollo di Montreal, uno degli accordi multilaterali di maggior successo. Il Protocollo di Montreal è di natura prescrittiva e ha stabilito una forte strategia internazionale per l'eliminazione degli idroclorofluorocarburi (HCFC) con scadenze chiare per l'eliminazione di varie sostanze chimiche.

La Nuova Zelanda ha chiesto interventi drastici a monte (upstream interventions), indicando i combustibili fossili e i sussidi ai produttori di plastica come i principali responsabili della crisi della plastica. "Oltre il 99% della plastica è prodotto con sostanze chimiche provenienti da combustibili fossili e le industrie dei combustibili fossili e della plastica sono profondamente legate. Ogni anno i governi spendono circa 500 miliardi di dollari di denaro pubblico per sovvenzionare i combustibili fossili. Questi sussidi abbassano artificialmente i costi di produzione e di consumo, determinando un basso prezzo della plastica vergine e di molti prodotti in plastica, che non riflette i reali costi ambientali", ha detto la portavoce del Ministero degli Affari Esteri e del Commercio della Nuova Zelanda.

Verso un trattato globale: obblighi fondamentali ed elementi volontari

Diverse delegazioni hanno affermato che l'ILBI dovrebbe combinare obblighi fondamentali giuridicamente vincolanti, misure di controllo ed elementi volontari e affrontare l'intero ciclo di vita della plastica. La maggioranza dei Paesi e delle parti interessate si è espressa a favore di un trattato top-down con requisiti obbligatori. Un numero minore di Paesi preferisce invece un approccio volontario del tipo bottom-up. L'UE ha chiesto un solido quadro di monitoraggio e rendicontazione, anche per quanto riguarda la produzione, il commercio, le catene del valore e le perdite, e ha sottolineato l'importanza di quadri comuni di monitoraggio e rendicontazione, evidenziando quelli previsti dalla Convenzione di Minamata, il più recente accordo globale volto a proteggere l'ambiente e la salute dalle emissioni e dai rilasci antropogenici di mercurio e composti di mercurio.

Diversi Paesi (tra cui il Gruppo africano, il Bangladesh, il Cile, il Messico, i Piccoli Stati insulari in via di sviluppo del Pacifico, la Cina, la Turchia, il Pakistan e il Costa Rica) hanno suggerito, a vari livelli, che l'ILBI stabilisca un quadro per l'attuazione di schemi di responsabilità estesa dei produttori (EPR) a livello nazionale e internazionale e per l'attuazione della responsabilità sociale delle imprese. Hanno inoltre chiesto l'applicazione del principio di precauzione e del principio "chi inquina paga". Il Gruppo africano ha affermato che l'ILBI dovrebbe includere anche misure per prevenire il traffico e lo scarico illegale di rifiuti plastici.

L'Arabia Saudita ha espresso il suo favore per gli approcci volontari e le misure a valle per affrontare i rifiuti di plastica e ha chiesto di "riconoscere il ruolo vitale della plastica nello sviluppo sostenibile e nel raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e l'importanza delle misure di risposta; e un approccio basato sulle circostanze nazionali, sostenuto da un approccio dal basso verso l'alto e da piani d'azione determinati a livello nazionale, senza alcuna standardizzazione e armonizzazione di questi piani". Gli Stati Uniti hanno affermato che "le misure di controllo dovrebbero consistere in politiche e misure determinate a livello nazionale, di natura normativa e volontaria".

Tentativi per impedire un trattato vincolante

Le discussioni sulle regole procedurali hanno impedito di concentrarsi sugli elementi del trattato. Un delegato nazionale ha detto a Materia Rinnovabile: "Le questioni procedurali hanno rallentato di nuovo il processo, la mancata elezione del Bureau non consente di avere un Bureau pienamente operativo e costringerà a riaprire la sessione per affrontare nuovamente questo punto all'ordine del giorno". Il delegato si riferisce alle discussioni sulla Regola 37 (sul diritto di voto) della bozza di regole procedurali (draft rules of procedure).

Durante la riunione preparatoria (OEWG) di Dakar, in Senegal, sei mesi fa, le regole procedurali sono state concordate ma non adottate. Il 30 novembre, il terzo giorno dell'INC-1, l'Arabia Saudita ha chiesto di ridiscutere la Regola 37 per stabilire se l'UE avesse il diritto di votare per i suoi 27 Stati membri o se ognuno dovesse esprimere il proprio voto individualmente. Magnus Løvold e Torbjørn Graff Hugo, esperti dell'Accademia norvegese di diritto internazionale, hanno interpretato questa proposta dell'Arabia Saudita come "un primo passo di uno stratagemma per evitare qualsiasi tentativo di portare al voto i lavori del Comitato". Qatar, Bahrein ed Egitto sono intervenuti a sostegno della proposta saudita, mentre la Cina ha proposto di ridiscutere le intere regole procedurali.

In effetti, un'altra questione procedurale è stata sollevata poco prima della conclusione dei negoziati. Venerdì 2 dicembre, intorno alle 20:00 ora dell'Uruguay, l'India si è unita all'Arabia Saudita nel dichiarare di voler eliminare le possibilità di voto nella Regola 38 (sul processo decisionale). La Regola 38 riguarda l'adozione delle decisioni e attualmente recita: "Il Comitato farà ogni sforzo per raggiungere un accordo su tutte le questioni di merito per consenso. Se tutti gli sforzi per raggiungere il consenso sono stati esauriti e non è stato raggiunto alcun accordo, la decisione sarà presa, in ultima istanza, a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti dei membri presenti e votanti".

Magnus Løvold e Torbjørn Graff Hugo scrivono: "La possibilità di mettere ai voti una questione durante i negoziati è sancita dalla Regola 38 del progetto di regolamento interno. [Ma] si può argomentare che, finché ci sono questioni irrisolte relative al diritto di voto nella Regola 37, il Comitato non può applicare la Regola 38, anche se il resto delle regole è stato applicato in via provvisoria. In altre parole, è altamente improbabile che la votazione abbia luogo fintanto che vi è un testo tra parentesi nella Regola 37. In questo scenario, il trattato sull'inquinamento da plastica potrebbe fallire e finire in un eterno gorgo diplomatico".

Il consenso può minare l'efficacia dell'azione globale

"Quando ogni Stato partecipante può porre il veto a qualsiasi proposta, il massimo che si può sperare è un consolidamento dello status quo. [...] È anche il motivo per cui i trattati globali non richiedono la ratifica o l'adesione di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite per entrare in vigore" e "il processo decisionale a maggioranza di solito produce risultati migliori rispetto al consenso o all'unanimità, si legge nel rapporto del WWF Success criteria for a new plastic treaty. "Nel lungo periodo, inoltre, è solitamente più facile aumentare la partecipazione che modificare il testo del trattato. È quindi meglio adottare un trattato ambizioso con una massa critica di Stati a bordo che accettare un trattato debole per consenso".

Buoni esempi di trattati sono le Convenzioni di Basilea, Rotterdam e Stoccolma, la Convenzione di Minamata e il Protocollo di Montreal, che hanno carattere prescrittivo e includono la possibilità di procedere a votazioni nel caso non sia stato possibile raggiungere il consenso. La Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e l'Accordo di Parigi, invece, mostrano i problemi legati al lavoro con il consenso. Come riportato nel libro I negoziati sul clima - Storia, dinamiche e futuro degli accordi sul cambiamento climatico, il regolamento interno della Conferenza delle Parti (COP) dell'UNFCCC è stato redatto già nel 1996 ma "sorprendentemente, non è mai stato pienamente adottato a causa della mancanza di accordo tra i Paesi proprio sulle modalità di voto, e in particolare sulla regola 42". In questo vuoto normativo, le decisioni della Conferenza delle Parti sono ancora prese per "consenso". Esempi recenti mostrano come il consenso può minare l’efficacia di un’azione globale per risolvere problemi globali. Ai colloqui sul clima della COP27, il mese scorso, la richiesta di più di 80 Paesi di eliminare gradualmente i combustibili fossili non è stata messa in discussione perché Arabia Saudita, Iran e Russia, produttori di petrolio e gas, si sono opposti. Alla Cop26, gli Stati Uniti hanno negato ai Paesi in via di sviluppo - la stragrande maggioranza delle parti - di modificare il testo dell'accordo di Glasgow per aumentare i fondi per l'adattamento. Dopo quasi 30 anni di negoziati, un accordo su come fermare le emissioni di gas serra è ancora lontano.

I delegati hanno deciso di rinviare l'esame della bozza della Regola 37 (sui diritti di voto), all'INC-2, che si terrà a Parigi, in Francia, dal 23 al 27 maggio 2022.
Magnus Løvold ha detto a Materia Rinnovabile: "Penso che gli Stati che sostengono un trattato con regole globali e comuni vedano la necessità di risolvere le questioni relative alle regole procedurali. Se ci riusciranno, tuttavia, è una questione aperta. Sarà interessante vedere come si evolverà la situazione all'INC-2 di Parigi".

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