La pandemia da SARS-CoV-2 che sta modificando il nostro mondo ci obbliga a riflettere seriamente sull’epoca degli umani, l’incredibile periodo che stiamo vivendo, caratterizzato dalla trasformazione quasi totalizzante che abbiamo prodotto nella biosfera, la sottile fascia di aria, acqua, suolo e esseri viventi nella quale possiamo vivere sul nostro pianeta.
La situazione attuale della biosfera a livello mondiale è senza precedenti in tutta la storia dell’umanità. Oggi, come ci documenta la conoscenza scientifica sin qui acquisita, con il nostro impatto
abbiamo trasformato il 75% degli ambienti naturali delle terre emerse e abbiamo significativamente impattato il 66% degli ecosistemi marini. Abbiamo modificato le dinamiche del sistema climatico, nonché i grandi cicli biogeochimici del carbonio, dell’azoto e del fosforo, abbiamo prodotto una varietà e quantità straordinariamente significativa di sostanze chimiche che non sono metabolizzabili dai sistemi naturali (il caso delle plastiche, solo per fare un esempio, è emblematico in questo senso), abbiamo modificato il ciclo dell’acqua, abbiamo acidificato gli oceani, stiamo modificando l’evoluzione della vita sul pianeta e modifichiamo persino l’ecologia dei virus. Inoltre, oltre ad aver fatto estinguere un numero imprecisato di specie viventi, si ritiene che ne stiamo minacciando di estinzione almeno un altro milione, come indicato dal Global Assessment sullo stato della biodiversità mondiale dell’IPBES . I dati che provengono da tutti i rapporti internazionali delle più autorevoli istituzioni scientifiche sono molto chiari e illustrano quanto l’intervento umano stia oggi causando effetti che stanno modificando il nostro pianeta abitabile, addirittura in una maniera superiore a quanto hanno sin qui fatto le forze geofisiche proprie della dinamica della Terra stessa (come la tettonica a placche, i terremoti e i vulcani).
Per questo la comunità scientifica internazionale - in particolare quella delle scienze del sistema Terra che ormai studiano e analizzano il nostro pianeta tenendo conto di tutte le interrelazioni esistenti tra le varie “sfere”, dall’atmosfera (sfera dell’aria), all’idrosfera (sfera dell’acqua), dalla pedosfera (sfera del suolo) alla biosfera (sfera della vita) fino all’antroposfera (sfera dell’uomo) - sta proponendo l’identificazione di un nuovo periodo geologico del nostro pianeta che viene definito
Antropocene.

Quando comincia l’Antropocene?

Nel 2000 rimasi affascinato dal breve articolo scritto dal premio Nobel per la chimica Paul Crutzen e l’ecologo Eugene Stoermer, sull’IGBP Newsletter, che spiegava perché fosse necessario individuare questo nuovo periodo nel nostro Geological Time Scale. Ho seguito con grande interesse il percorso che questa proposta ha fatto sino a giungere alla realizzazione formale di un apposito Working Group sull’Antropocene nella Commissione Stratigrafica Internazionale e ai vari approfondimenti che in questi anni il gruppo di lavoro ha fatto per definire scientificamente questo periodo.
Erle Ellis, un noto ecologo e geografo della Maryland University che indaga da anni sulle trasformazioni antropogeniche delle terre emerse e sulla “costruzione della nicchia culturale” della specie umana nella biosfera (il suo sito è www.ecotope.org), è uno dei membri di questa Commissione e ha scritto un affascinante volume sull’Antropocene per la Oxford University Press nella collana “Short Introduction”. Ho ritenuto per questo molto importante realizzare l’edizione italiana del volume ed è così che ha visto la luce nella collana Terrafutura, Biblioteca Aurelio Peccei di Giunti Editore.
Il libro è un’ottima introduzione al concetto dell’Antropocene e all’illustrazione, ragionata e coinvolgente, della quantità e qualità dei dati scientifici che sono stati raccolti per documentarlo. Inoltre illustra le argomentazioni che sono alla base delle diverse proposte fatte per indicare il periodo di inizio in cui l’Antropocene andrebbe collocato e le proposte al riguardo, come ricorda Ellis, spaziano dal primo controllo umano alla diffusione dell’agricoltura avvenuta più di 10.000 anni fa, dal picco di ricaduta di sostanze radioattive nel 1964 ‒ dimostrata da bolle di gas intrappolate in carote di ghiaccio e depositi estesi di particolati carboniosi e radionuclidi ‒, fino ad arrivare alla comparsa in campioni di sedimento di polline di mais domestico.

Una nuova prospettiva e una nuova narrativa

Ellis ci accompagna in un attraente excursus sul significato trasmesso dall’individuazione di un periodo geologico contraddistinto dalla pervasività della specie umana, nell’intera nostra cultura e nei nostri modelli economici e sociali. E scrive: La proposta di ribattezzare il nostro tempo come ‘età dell’uomo’ è stata probabilmente ancora più dirompente al di fuori delle scienze della sistema Terra, accendendo intensi dibattiti e nuovi studi in discipline come filosofia e archeologia, antropologia, geografia, storia, ingegneria, ecologia, design, legge, arte e scienze politiche. Il dibattito sull’Antropocene ha avuto ricadute anche fra i media e sull’opinione pubblica. Un’età dell’uomo implica la fine della natura? Chi è responsabile dell’Antropocene? L’Homo sapiens? I primi agricoltori? I ricchi consumatori dell’era industriale? E l’Antropocene costituisce necessariamente una catastrofe - un disastro ambientale e la fine dell’umanità - o è possibile un ‘buon Antropocene’, in cui l’essere umano e la natura siano in grado di prosperare insieme nel futuro? Gli accesi dibattiti su questo tema rendono evidente che in ballo c’è molto più dell’identificazione di un nuovo intervallo geologico. Il valore dell’Antropocene risiede nel suo ruolo di nuova prospettiva attraverso la quale si stanno rivisitando e riscrivendo i racconti millenari e le domande filosofiche. L’Antropocene costituisce tanto una nuova narrativa che mette in relazione uomo e natura, quanto un nuovo e audace paradigma scientifico, una ‘seconda rivoluzione copernicana’, in grado di cambiare radicalmente il nostro modo di pensare cosa significhi essere umani”.