Material Matters, L’importanza della materia – Un’alternativa al sovrasfruttamento, di Thomas Rau e Sabine Oberhuber, offre un punto di vista ragionato e critico per capire meglio lo sfruttamento delle materie prime in un momento storico in cui vi è la necessità di alimentare la riflessione.
L’uscita del libro cade a ridosso del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, ricorrenza che gli autori hanno metaforicamente richiamato per portare fisicamente alle Nazioni Unite la Dichiarazione universale dei diritti dei materiali (UDMR) – presente nel testo come appendice – accompagnandola con il seguente messaggio “La Terra è l’unica legittima proprietaria di tutte le materie prime e di tutti i materiali, e vi è un solo ‘membro permanente’ che disponga davvero di un diritto di veto: la natura”. Material Matters diventa così un testo che ben si sposa con la Dichiarazione, illustrandone la genesi e descrivendone i fondamenti costitutivi, ma allo stesso tempo arricchisce il dibattito e offre un interessante contributo al dibattito tecnico scientifico.
La critica degli autori è tagliente quando si tratta di discernere tra una reale innovazione rispetto a un mero efficientamento dello status quo. L’applicazione del mantra reduce-reuse-recycle è rigorosa e coerente.
Secondo gli autori, l’economia lineare “organizzata in modo tale che nessuno debba assumersi la responsabilità delle conseguenze delle sue azioni”, stenta a essere superata perché ancora non compresa. Parafrasando Kelvin, “non si può migliorare ciò che non si conosce, non si può conoscere ciò che non si misura”, la non conoscenza dei limiti del sistema, l’assenza di dati, l’approccio specialistico che tende a perdere di vista il tutto, sono le barriere per una riscoperta dell’economia circolare.
La separazione tra “potere” e “responsabilità”, viene identificata come la genesi del modello dentro il quale ci troviamo. “Ai consumatori viene quindi chiesto fin troppo: non possono in nessun modo sobbarcarsi la responsabilità di risolvere tali problemi, con il risultato che le conseguenze delle decisioni dei produttori vengono sempre collettivizzate sotto forma di rifiuti.” Non avendo più il consumatore la minima conoscenza della catena che ha portato all’esistenza del prodotto che sta usando, egli si sente deresponsabilizzato e inerme di fronte ai problemi generati da un modello economico e produttivo di cui è solo l’ultimo anello della catena.
Il modello Turntoo, sviluppato dagli autori e presentato nel libro attraverso la sua trattazione teorica e numerosi esempi concreti quali LAAS (Light As a Service con Philips) o AAAS (Appliance As a Service con Bosch), vuole offrire una risposta a questo problema. Esso evolve il concetto di “prodotto come servizio”, già da decenni oggetto di dibattito e pilastro della circular economy, offrendo una possibile risposta al quesito principe: cosa succede quando il produttore non intende più utilizzare i materiali che costituiscono la base dei propri servizi? La risposta a questa domanda trae spunto da un interessante riflessione sull’identità dei rifiuti. Cosa sono i rifiuti se non materie prime finite nell’anonimato?
È stato osservato che teniamo traccia di ciò che consideriamo “prezioso” e cancelliamo ciò che ci appare “privo di valore”. L’identità, infatti, è più di una somma di caratteristiche, suggerisce l’idea che si tratti di qualcosa che non deve andare perduto e che perciò va protetto. Come è possibile organizzare e istituire un documento di identità dei materiali?
La gestione di un identità richiederebbe di tenere traccia di come il portatore di identità evolve e si trasforma.
Lo studio di questa evoluzione creerebbe consapevolezza che a sua volta aprirebbe la strada ad un reale miglioramento dei processi. In questo modo un edificio da demolire e privo di valore si trasformerebbe in un deposito temporaneo di materiali, in questo modo si potrebbero premiare i produttori che realizzano oggetti progettati per durare (e non per rompersi), per essere aggiornati (invece che per superati), per appassionare invece che per passare di moda.
Riappropriati di un identità possiamo tornare a parlare di diritti, la Dichiarazione universale dei diritti dei materiali e delle analogie con la Dichiarazione universale dei diritti umani. Se accettiamo di trattare i materiali come vorremmo essere trattati noi stessi, ne consegue una conclusione radicale: nessuno può appropriarsi dei materiali forniti dal nostro sistema chiuso.
Nella catena di produzione lineare il capitale è incorporato nei materiali, e ciò induce a speculare sulle materie prime, ovvero sulla natura e a suo danno. Per evitare tutto ciò occorre che anche alla Terra sia riconosciuto un diritto alla sovranità, che non vuole dire l’impossibilità per noi umani di sfruttare le sue risorse, bensì il potere di amministrarle nel migliore dei modi. L’amministrazione non ha a che fare con la proprietà, ma con l’assunzione di responsabilità. Non con il possedere, ma con il prendersi cura. Nel modello Turntoo, nel quale i contratti sono basati sul concetto del prodotto come servizio, dotato di un identità, si riprende il principio del “buon padre di famiglia”.
Identità e responsabilità diventano cosi l’uno la rappresentazione della logica e del pensiero scientifico meccanicistico e l’altro la rappresentazione dell’approccio olistico, etico e filosofico. Essi devono lavorare all’unisono e in sinergia per trovare una risposta rapida ed efficace ai problemi ambientali che l’economia lineare ha generato. Per cambiare il nostro rapporto con la Terra servono sia un nuovo sistema economico sia un cambiamento culturale. Se vogliamo davvero migliorare il nostro rapporto con la Terra, dobbiamo cambiare l’anima della nostra economia e della nostra società.
Sempre più spesso troviamo nei saggi di settore, e questo libro non fa eccezione, l’affiancamento di un pensiero quantitativo (pilotato dalla linearità del ragionamento) a un pensiero qualitativo, legato alla tempestività, all’attimo, all’aspetto etico delle nostre scelte e tipico del ragionamento sistemico. Il testo offre sia soluzioni tecniche sia argomentazioni etiche e sistemiche con un modo di ragionare che prende il meglio dall’uno e dell’altro modo di pensare.
Una parte del mondo ha già fatto un passo evolutivo, lo vediamo nella meccanica classica che viene ora arricchita e completata dalla meccanica quantistica, nel design che trova nella biomimesi nuova linfa vitale, nelle scienze che attraverso la biofilia arricchiscono la trattazione della sua componente emotiva, nell’industria che inizia timidamente ad applicare i concetti di prodotto come servizio, nell’architettura che vede gli edifici come depositi di materiali (il Comune di Brummen, progettato da Thomas Rau, è il primo edificio al mondo a essere dotato di carta d’identità per ogni materiale utilizzato).
La nostra società vive in un momento di grande accelerazione, sia distruttiva sia costruttiva. Il contributo di Rau e Oberhuber arricchisce senza dubbio il dibattito aperto sul nostro futuro.