Nel solo 2018, 518 navi hanno raggiunto delle spiagge dell’India, del Bangladesh e del Pakistan, rappresentando più del 90% del tonnellaggio totale delle navi a fine vita smantellate complessivamente. Secondo l’ong Shipbreaking Platform, un gruppo di organizzazioni che lavorano per migliorare le condizioni umane e ambientali nel settore del riciclo delle navi, su una flotta mondiale di oltre 50.000 navi – con un ciclo di vita medio che va dai 25 ai 30 anni – nel 2018 solo 744 sono state smantellate. Materiali preziosi come alluminio, argento e – naturalmente – acciaio che costituisce il 95% del peso di una nave– vengono rivenduti, rilavorati o riciclati. Però durante questo processo, in assenza di un’adeguata gestione dei rifiuti pericolosi finiscono nell’ambiente sostanze tossiche come piombo, mercurio e liquami oleosi.

 

Imo (International Maritime Organization)

 

Nel rapporto Ship recycling: reducing human and environmental impacts, la Commissione europea ha evidenziato come lo smantellamento improprio delle navi danneggia l’ambiente e le persone, incrementando la percentuale di malati di cancro e inquinando gli ecosistemi in luoghi come il Bangladesh e l’India. “Se demolisci una nave senza essere in grado di contenere lo sversamento di sostanze tossiche nell’ambiente e senza protezione per i lavoratori, metti in pericolo gli esseri umani, l’ambiente e le comunità che dipendono da questi ecosistemi, per esempio quelle dei pescatori”, afferma Nicola Mulinaris, funzionario per la comunicazione e le politiche di Shipbreaking Platform. 

In effetti, l’International Labour Organisation ha collocato lo smantellamento delle navi tra i lavori più pericolosi. Nel solo 2018 almeno 34 lavoratori sono morti demolendo navi. E non sono le uniche vittime. Secondo il Marine Institute della University of Chittagong in Bangladesh, 21 specie di pesci si sono estinte e 11 sono minacciate dalle pratiche di smantellamento.

 

Imo (International Maritime Organization)

 

Scappatoie nella normativa

Emirati Arabi Uniti, Grecia e Stati Uniti sono responsabili delle peggiori pratiche nella demolizione delle navi, dato che nel 2018 la maggior parte delle loro navi a fine vita sono finite sulle spiagge. La Germania, nota per le sue credenziali ecologiche, ha mandato tutte le sue navi in India, Pakistan e Bangladesh. L’Asia meridionale attrae i proprietari di navi a causa della ridotta normativa in tema di ambiente e sicurezza, per il lavoro a basso costo e gli alti prezzi dell’acciaio. “In Asia meridionale si possono ricavare da una nave media 2 o 3 milioni di dollari in più rispetto a Europa, Turchia o Stati Uniti”, spiega Mulinaris. Sebbene i numeri oscillino, i depositi dell’Asia meridionale offrono attualmente 450 dollari per Ldt (tonnellata di dislocamento a vuoto), quelli turchi circa 250 dollari, mentre in Europa la cifra scende ulteriormente. In teoria, la Convenzione di Basilea delle Nazioni Unite, che regola la movimentazione transfrontaliera di rifiuti pericolosi, pone delle restrizioni anche nel commercio internazionale di navi a fine vita. Eppure le compagnie di navigazione trovano il modo per passare tra le maglie della normativa. Ecco il trucco: la convenzione riguarda solo le navi destinate allo smaltimento, mentre le compagnie ufficialmente vendono le loro navi per un utilizzo ulteriore e non per smantellarle. 

Nel gennaio del 2019, la società Holland Maas Scheepvaart Beheer II BV, proprietaria di navi, è stata sanzionata con una multa da 780.000 euro e ha pagato una penale di 2,2 milioni per avere esportato illegalmente una nave in India per la demolizione. E non si tratta di un caso isolato. “Le compagnie di navigazione mentono alle autorità. Una volta che le navi sono in acque internazionali cambiano destinazione, vanno direttamente sulla spiaggia e nessuno può farci niente. A meno che le autorità dimostrino, come hanno fatto quelle olandesi, una chiara intenzione di demolire”, rivela Nicola Mulinaris.

 

Bangladesh, navi naufragate
©Studio Fasching

 

Per creare una struttura normativa più restrittiva, nel 2013 l’Ue ha adottato la Ship Recycling Regulation, che punta a migliorare il riciclo delle navi. La normativa limita l’uso di certe sostanze tossiche a bordo delle navi, che devono avere l’Inventario dei Materiali Pericolosi (IHM, Inventory of Hazardous Materials). Dopo la sua piena implementazione il 31 dicembre del 2018, “il riciclo di tutte le grandi navi che battono una bandiera dell’Ue può avvenire solo nei bacini inclusi nella Lista europea dei cantieri per il riciclo delle navi”. La lista comprende 23 cantieri in Ue, due in Turchia e uno negli Stati Uniti, e si prevede che aumenti in futuro. Gli esperti considerano questa lista un punto di svolta. “Per troppo tempo le navi dell’Ue sono state smantellate in condizioni ambientali e sociali precarie. Questo non è più accettabile. L’entrata in vigore della Regolamentazione dell’Ue sul riciclo delle navi è una pietra miliare in questo settore: detta regole chiare e precise su come le navi battenti bandiere dell’Unione europea debbano essere riciclate”, spiega Karmenu Vella, Commissario europeo per l’Ambiente, gli Affari Marittimi e le Aree di Pesca, durante una visita a un cantiere autorizzato a Gand, in Belgio.

Però delle quasi 600 navi che hanno raggiunto le spiagge dell’Asia meridionale, più o meno solo 40 battevano bandiere dell’Ue, e 30 di queste lungo il tragitto per l’Asia hanno cambiato bandiera con una extraeuropea. 

Le bandiere di convenienza sono un altro grande problema che ostacola la demolizione sostenibile delle navi. Le compagnie spesso scelgono di registrare le loro navi in paesi con leggi più permissive. “Compagnie come Maersk hanno precisato che se l’Ue non aggiunge i cantieri indiani alla lista, per esempio, smetteranno di usare la bandiera danese e passeranno a una bandiera extraeuropea”, spiega Mulinaris. “Non è illegale cambiare bandiera, è semplicemente immorale”. Detto questo, Maersk dichiara che più di metà delle navi della compagnia battono bandiera extraeuropea a causa delle loro attività di commercio internazionale e che nessuna delle sue navi riciclate ad Alang, in India, batteva una bandiera europea. 

“Maersk rispetta e ha sempre rispettato tutte le normative dell’Ue applicabili”, dice a Materia Rinnovabile John Kornerup Bang, Capo della Strategia per la Sostenibilità di Maersk. Kornerup Bang si spinge oltre spiegando che, quando si tratta di riciclare le navi a fine vita, la compagnia decide caso per caso valutando fattori come il prezzo dell’acciaio e le opportunità offerte dalla nazione di bandiera o dalla legislazione fiscale.

 

Bangladesh, navi naufragate
©Studio Fasching

 

Rendere circolare il trasporto marittimo

Secondo Andrew Stephens, executive director della Sustainable Shipping Initiative (SSI), mentre la chiusura delle scappatoie normative può richiedere molto tempo, una pressione crescente da parte delle istituzioni finanziarie si sta dimostrando efficace, dato che gli azionisti stanno cercando soluzioni più verdi e più etiche nelle quali investire. Nel 2018, per esempio, il Norwegian Oil Pension Fund, il più grande investitore privato del mondo, ha disinvestito da quattro compagnie di navigazione a causa delle loro pratiche di demolizione. Compagnie come Maersk stanno reagendo. Di fatto, la più grande compagnia del mondo di trasporto marittimo sta investendo in sforzi per migliorare gli standard lavorativi e ambientali sulla spiaggia di Alang, in India, uno dei più grandi cimiteri di navi al mondo. “Il nostro impegno in alcuni cantieri di Alang comprende la nostra partecipazione attiva nel processo di riciclo al massimo dei loro standard. Il nostro coinvolgimento locale ha stimolato un concreto cambiamento in positivo in un intervallo di tempo relativamente breve e noi beneficiamo di questo standard più alto quando demoliamo le nostre navi in questi cantieri”, spiega Kornerup Bang. Inoltre, Maersk sta sviluppando un cosiddetto passaporto cradle-to cradle (dalla culla alla culla) per preparare le navi a un riciclo qualitativamente migliore a partire dalla fase di progettazione, un passo cruciale nell’economia circolare. Secondo la compagnia, “il Passaporto, una novità assoluta per l’industria della navigazione, comprenderà un database online per creare un inventario dettagliato utilizzabile per identificare e riciclare i componenti nel miglior modo attualmente possibile”. 

 

Pakistan, piattaforma di demolizione delle navi
©NGO

 

Sia Maersk che la compagnia di navigazione tedesca Hapag-Lloyd fanno parte della Ship Recycling Transparency Initiative, una piattaforma online lanciata nel dicembre del 2018 dalla SSI per accrescere la consapevolezza tra gli azionisti delle compagnie di navigazione e ispirarli alle buone pratiche. “Quelli che partecipano all’iniziativa sono quelli che stanno stabilendo lo standard di cosa è responsabile”, elabora Stephens. Per Mulinaris, la politica di abbandono delle spiagge di Hapag-Lloyd è un modello che vale la pena seguire. Al contrario, enfatizza il fatto che Maersk non sta facendo abbastanza: “Maersk ha contribuito a migliorare alcuni cantieri indiani, non possiamo negarlo. Ma perché una compagnia all’avanguardia come Maersk non usa la sua influenza per spostare completamente lo smantellamento delle navi in India dalle spiagge a veri cantieri industriali? Maersk sta legando la demolizione delle navi a un metodo che la compagnia stessa aveva condannato precedentemente”. Al riguardo Kornerup Bang ha replicato che “il livello di sostenibilità di un processo di riciclo non è determinato dal tipo di metodo impiegato, ma dal fatto che il metodo stesso permetta il controllo degli scarichi e offra un’implementazione controllata e di alta qualità di tutte le procedure, evitando danni ambientali e garantendo le condizioni di lavoro”. In ogni caso, questi sforzi rappresentano un grande passo avanti rispetto a quello che giganti come Fincantieri, tra i più grandi costruttori di navi al mondo, fanno per migliorare il riciclo delle navi a fine vita: praticamente niente.

 

Bangladesh, lavoratori
©Andreas Ragnarsson

Gli esperti concordano sul fatto che esistono già delle soluzioni per rendere più sostenibile la demolizione delle navi, basta volerle usare. L’opzione preferita sono i dry-dock (bacini di carenaggio prosciugabili): forniscono una piattaforma di lavoro stabile e impediscono lo sversamento in mare di olio e rifiuti pericolosi. L’industria del riciclo delle navi potrebbe passare definitivamente ai dry-dock entro il 2030, secondo la Shipbreaking Platform. I miglioramenti nel settore della demolizione delle navi contribuirebbero a proteggere l’ambiente e la salute dei lavoratori, oltre a far risparmiare preziose risorse. “C’è un grande potenziale in termini di economia circolare nel riciclo delle navi”, dichiara Mulinaris. Il processo di riciclo potrebbe veramente generare una quantità di rifiuti quasi nulla, come precisa la International Maritime Organisation: “L’acciaio viene rilavorato per essere trasformato, per esempio, in verghe di rinforzo impiegate in edilizia o in blocchi d’angolo e cardini per container. I generatori delle navi vengono riutilizzati a terra. Le batterie vengono immesse nell’economia locale. Gli idrocarburi a bordo diventano prodotti petroliferi rigenerati da usare come combustibili nei laminatoi o nelle fornaci per i mattoni. Gli impianti di illuminazione reimpiegati a terra”. In aggiunta, conclude Stephens, la demolizione sostenibile delle navi potrebbe dare impulso alla creazione di posti di lavoro verdi in Europa. Un colpo da maestro. 

 

 

Shipbreaking Platform, www.shipbreakingplatform.org

Ce, Ship recycling: reducing human and environmental impacts, 2016; tinyurl.com/y5qpvzf9

SSI, www.ssi2040.org

Immagine in alto: MV Paris Express – consegnata nel 1994, riciclata in Cina nel 2015. Credit: Hapag-Lloyd