Agricoltura intensiva, abuso di fertilizzanti e prodotti chimici, disboscamento e industria alimentare provocano danni irreparabili al nostro pianeta, e anche ai nostri corpi. Per uscirne, dice Raj Patel, bisogna mettere fine al capitalismo estrattivo e applicare il modello dell’agroecologia.
La Terra è ammalata e indebolita, e lo siamo anche noi. Soffriamo tutti di quella che l’economista e attivista britannico di origine indiana Raj Patel definisce una “infiammazione sistemica”. La diagnosi è espressa in un originale volume scritto a quattro mani con Rupa Marya, docente di Medicina all’Università della California (Infiammazione. Medicina, conflitto e disuguaglianza, pubblicato da Feltrinelli): un pastiche di trattato medico, saggio socio-economico e manifesto per un’azione politica, in cui il rapporto tra cibo, politiche agricole e alimentari e giustizia sociale (argomento prediletto di Patel) occupa un posto centrale.
Professor Patel, quali sono i sintomi di questa infiammazione, e perché è cronica?
“Abbiamo usato la parola in senso letterale: ne libro parliamo di come i nostri corpi sono infiammati e di come ne portino i sintomi. Ce ne sono tanti: dalla sindrome dell’intestino irritabile all’Alzheimer, e anche nel caso del Covid la differenza tra un caso grave e uno fatale è l’infiammazione. L’infiammazione è il sistema evolutivo che il nostro corpo ha sviluppato per guarire. Ma il motivo per definiamo cronica quella attuale, è che tutti gli stress sociali, biologici e chimici a cui siamo sottoposti generano una pressione tale per cui lo stesso processo di autoguarigione provoca al corpo dei danni.”
In che modo l’infiammazione dei corpi individuali è collegata a quella della Terra?
“A provocare effetti negativi su di noi sono i danni che infliggiamo al pianeta. I sintomi più evidenti sono le catastrofiche conseguenze dei cambiamenti climatici, come la terribile ondata di calore che ha colpito l’India in primavera (o quella che ha colpito in estate l’Europa, ndr). Ma poi ci sono la guerra condotta contro le popolazioni indigene o i danni inferti al suolo attraverso l'agricoltura chimica. L’infiammazione di cui stiamo parlando, quindi, è in atto sia nei nostri corpi sia al di fuori di essi, ed è provocata dalle pressioni sociali che hanno origine nel capitalismo colonialista.”
Vale anche per il Covid-19?
“Certo. Abbiamo chiuso gli occhi sul fatto che il mondo che ci circonda è costruito in maniera tale da generare malattie pandemiche: nell'industria della carne, nell’allevamento, attraverso il disboscamento. Finché queste industrie continuano a operare con i metodi attuali, la minaccia di una pandemia è sempre presente.”
Per cambiare questo stato di cose, Marya e lei proponete un approccio basato sulla “deep medicine”, la medicina profonda. Cos’è?
“La medicina profonda non si occupa solo delle ragioni strutturali che causano i comportamenti che fanno ammalare, ma implica la trasformazione radicale dei sistemi sociali, in modo che le persone abbiano più possibilità di scelta, più libertà e più salute. Sono in tanti a riconoscere i determinanti sociali delle malattie, ma pochissimi sembrano capire che è il capitalismo a causare l’infiammazione: il trattamento per curarla è abolirlo e sostituirlo con qualcosa di meglio, immaginando modi di cooperare diversi dal modello estrattivo delle corporation, e ricostruendo un rapporto corretto con l’ambiente naturale.”
Nei suoi scritti lei ha affrontato spesso il tema dell'insostenibilità del cibo industrializzato. In che modo il cibo a basso costo incide sulla salute delle persone e contribuisce all'infiammazione sistemica?
“Le sostanze chimiche usate nell'agricoltura industriale sono esse stesse agenti di infiammazione. Agenti come il glifosato non occorre neanche ingerirli per sviluppare malattie: ci sono studi che dimostrano come il glifosato diffuso nell’aria causi delle reazioni avverse nei polmoni. I composti chimici immessi nel terreno provocano l’ossidazione del suolo, che si sta letteralmente bruciando a causa dell’agricoltura intensiva. Tutto ciò porta l’infiammazione all’interno dei nostri corpi, e inoltre riduce il numero di organismi che popolano il nostro microbioma intestinale. Soprattutto gli abitanti del Nord del mondo, attraverso l’igiene e le cattive pratiche dell’agricoltura industriale, hanno sterminato queste creature: i nostri corpi hanno microbiomi molto meno diversificati, ma la ricerca ci mostra che microbiomi con un alto livello di biodiversità sono associati a livelli più bassi di infiammazione e malattie.”
Come dovrebbe essere modificato l'attuale sistema di produzione agricola per renderlo compatibile con la mitigazione della crisi climatica?
“Dobbiamo pensare di trasformare assolutamente tutto: dalle dimensioni delle aziende agricole ai processi produttivi, che non dovrebbero coinvolgere più la chimica industriale, ma usare i migliori metodi scientifici riguardo alla diversità delle colture e alle sinergie tra diverse varietà di piante che siano in grado di far assorbire l’anidride carbonica nel suolo invece di provocarne il rilascio. Tutto ciò è possibile grazie a quella che viene chiamata agroecologia, però sono necessari anche altri cambiamenti.”
Per esempio?
“Una riforma agraria a livello globale, che consenta di avere aziende agricole meno impattanti, della misura giusta per produrre cibo sano e nutriente in modi che siano compatibili con la crisi climatica. Poi occorre trasformare i rapporti di produzione e distribuzione per raggiungere la parità di genere: non solo affinché le donne non siano sfruttate nella produzione, come spesso succede, ma anche perché un loro maggior ruolo ha conseguenze positive ad ampio raggio. L'agricoltura industriale è nata da un sistema di produzione patriarcale, e se vogliamo cambiarla e ottenere risultati migliori per tutti, affrontare questo nodo è cruciale.”
Quali pensa che saranno le conseguenze globali dell’invasione dell’Ucraina, data l'importanza delle esportazioni alimentari del paese?
“La Fao ha già affermato che a causa del blocco delle esportazioni ucraine rischiamo di avere nel mondo 830 milioni di persone malnutrite, cioè che hanno a disposizione meno di 2.100 calorie al giorno per un anno, e che altri milioni di persone saranno insicure dal punto di vista alimentare. Questa proiezione è stata fatta prima dell’avvio degli incendi in India, che provocherà un calo della produzione locale di grano del 25% in un anno nel quale ne sarebbe servito di più per sostituire quello acquistato dall’Ucraina. Siamo in una situazione piuttosto catastrofica sul versante dell’aumento dei prezzi del cibo, e penso che assisteremo a delle rivolte contro i governi che non sono stati in grado di proteggere il loro popolo, perché devono partecipare al sistema del commercio internazionale, che assicura che il cibo rimanga costoso.”
In un mondo in cui persistono forti disuguaglianze nell'accesso al cibo, come si può garantire un’alimentazione più sana e sostenibile per tutti?
“In generale, il motivo per cui le persone soffrono la fame non è dovuto a una carenza immediata di cibo. Negli Stati Uniti non manca il grano, ma assistiamo alla diffusione di una povertà che rende difficile o impossibile procurarsi il cibo. Abbiamo 40 milioni di persone che hanno problemi di sicurezza alimentare, e il numero aumenterà quest'anno a causa dell'inflazione dei prezzi alimentari. Per cui, una cosa molto facile da fare è aumentare i salari minimi, tanto qui che nel resto del mondo.”
Quale può essere il ruolo dell’Europa?
“Potrebbe concentrarsi su un paio di cose. Innanzitutto risarcire i danni che sta causando al Sud del mondo, mettendo fine al regime d’indebitamento provocato dalle esportazioni aggressive dell’industria agricola verso quei paesi. L’Europa poi potrebbe assumere un ruolo guida a livello globale, investendo nella trasformazione dei propri sistemi agricoli in direzione dell’agroecologia. Purtroppo i grandi potentati agro-industriali e della chimica si stanno opponendo in ogni modo, e anche un piano come ‘Farm to Fork’, che non è rivoluzionario ma è meglio di nulla, rischia di essere posticipato se non accantonato. Così come intende liberarsi dei combustibili fossili russi, l’Europa deve smettere di usare i fertilizzanti chimici, e questo significa trasformare il modo in cui la terra viene coltivata.”
Immagine: Karsten Winegeart (Unsplash)
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