I 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile, e i 169 Target che li dettagliano, da conseguire entro l’anno 2030, sono il frutto di quasi tre anni di negoziazioni tra i governi di tutto il mondo, cui hanno contribuito esponenti del settore delle imprese, della scienza e della società civile, con un impegno senza precedenti nella storia dell’umanità.

L’enormità della sfida per il futuro del mondo giustifica appieno la mobilitazione che ha condotto all’approvazione dell’Agenda 2030 e l’impegno che, a partire dal settembre del 2015, sta caratterizzando la comunità internazionale, nonostante le retromarce annunciate da alcuni Paesi su questioni specifiche, come la lotta al cambiamento climatico, o la distanza tra impegni e comportamenti concreti che si osservano sia nel settore privato sia nelle politiche di molti governi. Queste difficoltà non devono stupire. La trasformazione dei processi economici, dei comportamenti di consumo e di produzione, la riorganizzazione delle strutture che presiedono alle decisioni politiche e non solo, l’adozione di una visione integrata del funzionamento del mondo non sono questioni semplici. 

Come evidente dalle tante analisi disponibili su questo argomento, lo sviluppo di tecnologie adeguate, la definizione di una governance dei processi economici e sociali in linea con il principio di giustizia intergenerazionale e un profondo cambiamento di mentalità da parte di tutti noi sono i tre ingredienti indispensabili per portare il pianeta su un sentiero di sviluppo sostenibile. E non possono essere conseguiti dalla sera alla mattina. Questa considerazione, però, non deve essere utilizzata per giustificare la lentezza del cambiamento: al contrario, la consapevolezza della difficoltà a esso connesse deve farci impegnare al massimo per accelerare i processi trasformativi in corso, perché, come sottolinea il testo dell’Agenda 2030, il tempo disponibile per evitare il collasso del nostro mondo è molto breve. Ed è questa consapevolezza che dovrebbe guidare i comportamenti di tutti, a tutti i livelli decisionali, spingendoci a un impegno senza precedenti che vada ben oltre il business as usual.

Porzioni significative del settore delle imprese, almeno quelle innovative e di grandi dimensioni, e della finanza, sembrano aver compreso le opportunità che lo sviluppo sostenibile può rappresentare per il loro futuro. Il passaggio all’economia circolare, la rendicontazione finanziaria integrata con quella non finanziaria, finalizzata a fornire una visione complessiva dell’impatto dell’impresa sull’ambiente e la società, il cambiamento dei criteri con i quali si individuano le imprese cui fare credito, gli investimenti a impatto sociale stanno conquistando un ruolo crescente su scala globale. L’Unione europea ha recentemente assunto importanti iniziative in questi campi e anche l’Italia presenta segnali interessanti, anche se i media e la politica stentano a comprendere e a rappresentare efficacemente questa trasformazione. 

Un recente rapporto di KPMG ha mostrato come le grandi imprese italiane hanno affrontato gli obblighi di rendicontazione non finanziaria previsti dalla recente normativa che ha recepito la direttiva europea in materia. Nonostante alcune ottime pratiche, la strada da compiere appare ancora molto lunga, soprattutto per ciò che concerne gli aspetti sociali e di governance, mentre la rendicontazione sull’impatto ambientale delle attività d’impresa appare più ampia e consolidata. Inoltre, troppo spesso, il tema della sostenibilità è visto come ancillare rispetto all’attività dell’impresa, invece che essere centrale per la gestione attuale e la definizione del suo posizionamento strategico.

È in questa prospettiva di profonda trasformazione del sistema produttivo che deve collocarsi l’impegno di Consorzi come il Conai, i quali possono svolgere un ruolo cruciale nella diffusione non solo di buone pratiche, ma di una cultura dello sviluppo sostenibile “a tutto tondo”. Infatti, chi svolge ruoli di leadership in campo economico, politico e culturale ha l’obbligo morale di impegnarsi per indicare con chiarezza la direzione da intraprendere, soprattutto a chi stenta ancora a comprendere la necessità del cambiamento. Mi riferisco, in particolare, a tante piccole e medie imprese, così come a tante pubbliche amministrazioni, che hanno difficoltà a intraprendere processi di innovazione nella direzione dello sviluppo sostenibile. È nei confronti di tali soggetti che deve rivolgersi chi è più avanti, sfruttando al massimo le opportunità offerte dalle associazioni imprenditoriali e dalle università per modificare la cultura d’impresa.

L’esperienza dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), che riunisce più di 220 soggetti della società civile italiana, dalle principali associazioni imprenditoriali ai sindacati, dalle università alle associazioni dei comuni e delle regioni, da fondazioni a soggetti del Terzo settore, dimostra come lo sviluppo sostenibile e l’Agenda 2030 possano rappresentare, anche in Italia, il terreno sul quale cooperare in forme innovative. Peraltro, il recente Rapporto sulla condizione dell’Italia rispetto all’Agenda 2030 (si veda www.asvis.it)mostra sia i tanti punti di debolezza del nostro Paese, sia le tante novità positive che lo caratterizzano, sulle quali costruire un nuovo modello di economia e società, rispettoso dei vincoli ambientali. 

Non c’è alternativa allo sviluppo sostenibile, ma esso non sarà possibile a meno di un forte impegno di tutti noi, qui e ora.