Eccellente nell’esplorazione della filosofia e dell’arte, Atene non ha trovato un analogo equilibrio nel rapporto con la natura. Dopo 25 secoli possiamo considerare appresa quella lezione? Possiamo affrontare la crisi attuale sapendo di dover fare i conti con la materia, visto che anche il mondo virtuale per funzionare ha bisogno di uno schermo e di energia? E che la finanziarizzazione dell’economia – la fuga dal reale – sta provocando disastri?

Questo numero di Materia Rinnovabile è centrato su una questione che appare un po’ tecnica. Già il nome usato dagli addetti ai lavori (compliance scheme, che si può tradurre con “sistemi collettivi”, i sistemi per coinvolgere i produttori nella raccolta delle loro ex merci trasformate in rifiuti) tiene lontane le masse. Eppure parliamo di qualcosa che ci vediamo passare davanti agli occhi tutti i giorni. Qualcosa che pesa sul nostro portafoglio. Qualcosa da cui dipende la qualità dell’aria che respiriamo e dell’acqua che beviamo. Il problema è che questo “qualcosa” è difficile da definire perché è un’entità dalla doppia faccia. A tratti ci appare come merce: una ricchezza, una materia prima che alimenta il sistema produttivo. A tratti come rifiuto: un peso di cui liberarsi.

Ma i problemi nascono se vediamo questa sequenza in un ordine temporale definito e irreversibile: la merce che all’improvviso si trasforma in rifiuto creando un problema di approvvigionamento e un problema di smaltimento. Non necessariamente però c’è un unico prima e un unico dopo. Possiamo pensare la materia come un circolo in cui passa da una forma all’altra, da una funzione all’altra, da un oggetto all’altro. La merce diventa scarto, lo scarto alimenta un nuovo circolo produttivo per creare altri scarti che si trasformano in merci. Non all’infinito, ma a lungo.

L’economia circolare comincia a essere molto dibattuta, è però ancora poco utilizzata. Del resto come potrebbe essere praticata in un paese in cui tutti parlano di raccolta differenziata ma pochi si interessano al destino dei materiali così faticosamente e costosamente selezionati? In cui quello che conta è il beneficio politico che si ricava sventolando un incremento della raccolta di organico o di carta o di plastica mentre nessuno si occupa di garantire le condizioni di base per la costruzione degli impianti di trattamento di questi materiali? In questo modo si rischia di abbandonare il paese, specialmente nelle regioni meridionali, alla pressione delle cosche che guadagnano svendendo la salute pubblica con le discariche pirata e boicottando un sistema avanzato di gestione degli scarti.

Nonostante queste difficoltà, in pochi anni la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, la capacità di ricerca dei nostri laboratori e l’azione coraggiosa di una parte del mondo imprenditoriale sono riusciti a fare dell’Italia un paese leader nel campo della bioeconomia con esperienze pilota di successo. Ora si tratta di sostenere questo primato e di alimentarlo fornendo la materia necessaria. Una materia che non va sottratta ad altri usi preziosi, come quello alimentare, ma ricavata abbattendo il peso degli sprechi, trovando le proposte giuste territorio per territorio, creando un lavoro che non può essere delocalizzato, continuando a investire in ricerca.

È una sfida che richiede tecnologia avanzata e innovazione di sistema. Il dibattito sui sistemi collettivi che ospitiamo in questo numero, stampato in concomitanza con l’appuntamento degli Stati generali della green economy e di Ecomondo, vuole dare un contributo in questa direzione. Esploriamo il tema affrontandolo su due versanti: quello tecnico e quello divulgativo, per mettere in contatto i due mondi. L’Italia ha in mano buone carte, bisogna giocarle bene.

La IV edizione degli Stati generali della Green Economy si terranno il 3 e 4 novembre 2015 a Ecomondo Rimini Fiera, www.statigenerali.org e www.ecomondo.com