Nelle tavole rotonde online, nelle conferenze internazionali in streaming e nei webinar si discute quasi ogni giorno di Next generation, del Piano nazionale di ripresa e resilienza e della Transizione ecologica mentre qualcosa non irrilevante, e di difficile comprensione per gli sviluppi che potrà avere, sta succedendo su scala globale. D’altronde, spesso, negli ultimi 12 mesi dopo l’esplosione della pandemia, abbiamo sentito dire o abbiamo detto “tutto cambierà, niente sarà come prima”, senza però avere una reale consapevolezza di che cosa volesse dire.
Ebbene, in queste ultime settimane, stiamo assistendo una manifestazione di questo cambiamento. Secondo quanto denunciato da Anfia (Associazione nazionale filiera industria automobilistica) in un’intervista rilasciata a Materia Rinnovabile, siamo alle prese con rincari record e difficoltà di approvvigionamento per alcuni materiali, come l’alluminio e l’acciaio. Anche il presidente di Federmeccanica, Alberto Dal Poz, ha lamentato le stesse difficoltà . “Alcuni prodotti ormai sono quasi impossibili da trovare – denuncia Dal Poz in un articolo del Sole24Ore – e in generale i tempi di consegna si sono allungati moltissimo, anche di 8 settimane rispetto agli standard. Inoltre la qualità media si è abbassata, talvolta arriva materiale inadeguato”. L’origine del problema, sarebbe da imputare, secondo le associazioni di categoria del settore, alle barriere commerciali e a un corto circuito delle spedizioni tramite container marittimi.
Pochi giorni fa, un altro quotidiano, La Repubblica, ha denunciato la difficoltà di approvvigionamento anche nel mercato dei polimeri necessari a realizzare imballaggi in plastica. E non solo. Il caos della logistica mondiale sta creando problemi di disponibilità anche sui chip sul legno, con i fabbricanti di pallet, divani e mobili alle prese con commesse saltate e costi altissimi. E ancora: il prezzo del cartone da macero, materiale povero per eccellenza, è decuplicato e anche la carta per i giornali si trova con il contagocce. La carenza di pigmenti sta creando seri problemi a chi fa vernici e inchiostri.
La logistica mondiale impazzita e il ritardo nella valorizzazione dei rifiuti
La causa di questi radicali mutamenti e squilibri non è una soltanto, ma ci sono più elementi che si intrecciano: la confusione che regna in tutta la filiera logistica mondiale, l’economia in Asia che è ripartita con il turbo e Cina e India che hanno iniziato a fare ordini massicci di materie prime per la plastica, un’ondata di gelo in Texas che ha mandato in tilt l’industria petrolchimica del paese.
Tutto ciò è forse solo un primo assaggio di quello che ci troveremo ad affrontare, di quello che sarà il mondo e di quel “tutto cambierà, niente sarà come prima”? Difficile da dire, vedremo. Di certo, mentre è in corso uno stravolgimento delle dinamiche economiche globali, la nostra industria e la nostra manifattura pagano un ritardo enorme in un’ottica di sviluppo sostenibile e uso consapevole delle risorse naturali.
Che cosa vuol dire ritardo? Vuol dire non avere norme chiare e certe, non avere procedure autorizzative snelle per la realizzazione di una dotazione impiantistica di gestione dei rifiuti grazie alla quale non ci sarebbe bisogno di una spinta alla resilienza perché la plastica, o il metallo riciclato, sarebbero già sul mercato pronti all’uso. Essere in ritardo vuol dire anche non essere in grado di realizzare un cambio di paradigma economico sorretto da una filiera industriale del riciclo necessario a rendere più sostenibile ambientalmente il nostro sistema produttivo, ma anche e soprattutto, a non essere dipendenti da una logistica impazzita o dalla ripresa dei consumi cinesi e del sud est asiatico.
Valorizzare i rifiuti per ridare una finalità ai materiali raccolti in un’ottica di riciclo è una strada (non certo l’unica), ma la situazione pre-covid, andando a rileggere i dati Ispra, era quantomeno complessa. Nel 2018, è aumentata la produzione di rifiuti urbani (+2% pari a 590.000 tonnellate), quella di rifiuti speciali (+3,3% pari a 4,6 milioni di tonnellate), e allo stesso tempo aumenta il trasporto da Regione a Regione per un totale di 2,2 milioni di tonnellate e l’esportazione di rifiuti all’estero (+31% per gli urbani, pari a 110.000 tonnellate e +14%, pari a 420.000 tonnellate per i rifiuti speciali). Che tradotto vuol dire incapacità di gestire la totalità dei rifiuti e trarne un vantaggio, data la lacuna impiantistica.
Essere pronti ad affrontare la crisi economica scatenata dalla pandemia, forse, è chiedere troppo, ma sbrigarsi ad attuare il contenuto dei piani italiani e europei che cambiamo nome ogni circa 5/6 anni riproponendo soluzioni giuste ma sempre molto simili tra di loro, questo sì, si può e si deve fare.
Non tanto per farsi trovare pronti, ma almeno per evitare di essere sommersi dall’onda lunga di una crisi globale.