Il futuro del nostro pianeta è legato al tipo di approccio che sceglieremo per risolvere i problemi. Come illustra Charles C. Mann nel suo ultimo libro, The Wizard and the Prophet, si confrontano due visioni: una, quella del Mago, ci dice che il mondo è nostro e grazie alla tecnologia e all'innovazione riusciremo sempre a salvarci; l’altra, quella del Profeta, ci dice che il mondo è finito, e che dobbiamo ridurre i consumi nell'immediato per non rischiare l’estinzione.

Charles Mann

Il titolo di questo articolo considera una questione molto ampia. La cosa interessante è che quando si parla di soluzioni a quella domanda, spesso ci si dimentica di pensare all'approccio che sta alla base delle risposte. Vorrei quindi iniziare l’intervista con una domanda sui due approcci spiegati nel suo ultimo libro, The Wizard and the Prophet. Quali sono e come li ha identificati?
Scrivo di temi ambientali da circa 30 anni, e nel corso del tempo ho notato che quando si parla di questioni legate al cibo, all’energia e al clima, le idee su cosa fare rientrano in due grandi schieramenti. Questo fatto mi ha colpito, e ho iniziato a chiedermi da dove venissero queste idee.
Ci sono infatti quelli che pensano che dobbiamo continuare a produrre esponenzialmente, affidandoci alla tecnologia per risolvere i nostri problemi. Per quanto riguarda il cibo, questo approccio significa
produrre sempre più cibo per la popolazione in aumento e farlo con tecnologie super-efficienti, utilizzando organismi geneticamente modificati, pensando a nuovi modi per desalinizzare l’acqua e utilizzando l’energia nucleare invece dei combustibili fossili.
Ci sono poi quelli che dicono ‘no, è proprio questo il problema’. Per questi, cioè, stiamo consumando troppo e dobbiamo
ridurre i consumi e la nostra impronta sulla Terra.
Le persone si schierano su queste posizioni da decenni, e questi due approcci sono perfettamente esemplificati dai due protagonisti del libro, due uomini molto importanti per la storia moderna ma di cui quasi nessuno ha sentito parlare:
Norman Borlaug (il mago) e William Vogt (il profeta).
Grazie alle sue ricerche sul grano in Messico durante gli anni ’50,
Borlaug è considerato il padre della Rivoluzione Verde e ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1970. Ha combinato fertilizzanti ad alta intensità, varietà vegetali geneticamente selezionate e irrigazione e ne ha sostenuto la diffusione in tutto il mondo. Questi cambiamenti nel modo di coltivare la terra hanno raddoppiato, triplicato, e persino quadruplicato, i raccolti, influenzando enormemente il modo in cui la gente oggi pensa all’agricoltura.
Anche l’altro approccio è nato in Messico degli anni ’40, da una persona chiamata
William Vogt. Vogt ha gettato le basi intellettuali del movimento ambientalista moderno, e nel 1948 ha scritto il primo libro (Road to survival) del genere letterario ‘andremo tutti all’inferno’.
Se lo leggete, troverete tutto quello che c’è nei libri di Al Gore o Bill McKibben, tranne i dettagli scientifici che sono venuti dopo. L’idea di fondo è che l’impresa umana sta diventando troppo grande, e dobbiamo
ridurre i consumi per rimanere entro i limiti stabiliti dalla natura, altrimenti le conseguenze saranno disastrose.
Se ci pensate un attimo, questi due approcci sono l’uno l’opposto dell’altro. Uno dice ‘produci di più, in modo più efficiente’, mentre l’altro dice ‘non puoi farlo, devi trovare un modo per ridurre il tuo impatto’. Ma lo scontro tra Vogtiani e i Borlaugiani riguarda più i valori che i fatti. Anche se i due studiosi l’hanno ammesso raramente, i loro argomenti sono fondati su visioni morali implicite, concezioni definite del mondo e del ruolo dell’umanità in esso.
Per i profeti il mondo è finito, e le persone devono accettare i limiti che l’ambiente pone loro. Per i maghi, invece, le possibilità sono inesauribili, e gli uomini devono trovare modi scaltri per gestire il pianeta. Questo è quello che ho cercato di raccontare nel libro, il ruolo di queste due idee nel modo in cui affrontiamo i nostri problemi ambientali.

Mentre leggevo il libro ho provato a pensare a chi, oggi, potrebbe rappresentare questi due approcci. L’approccio del mago è ben identificato in Bill Gates, e penso che Greta Thunberg incarni la visione del profeta.
Questa distinzione esprime bene il fatto che viviamo in un mondo molto polarizzato (e polarizzante), dove ti viene chiesto di essere con o contro qualcosa. Molte volte, però, ci sono solo modi diversi di fare le cose, anche perché non possiamo prevedere come le tecnologie che ci aiutano ora ci influenzeranno in futuro: quando l’agricoltura industriale è nata (con Borlaug), è stata accolta come qualcosa di miracoloso che ha salvato centinaia di milioni di vite. Come pensa che potremmo bilanciare questa polarizzazione e, come fa nel libro, evidenziare che ci sono vantaggi e svantaggi in entrambi gli approcci?
Ci penso spesso. Un modo efficace potrebbe essere chiedere alle persone dove vogliono andare. Tutti parlano dei disastri verso cui ci stiamo dirigendo. Supponiamo di smettere di pensare a quei disastri, e iniziare invece a pensare in che tipo di mondo vorremmo vivere. Penso spesso che se avessimo in mente un obiettivo positivo, o se solo ne parlassimo sui media, sarebbe molto più facile immaginare i passi necessari per arrivarci. Quindi, per rispondere alla domanda, direi che avremmo bisogno di un po’ più di discussioni sull’utopia.

Pensa che vedremo un mix di entrambi gli approcci nei prossimi 30 anni?
Kim Stanley Robinson ha appena pubblicato un grosso libro di fantascienza, intitolato The ministry of the future. Espone un’idea su come superare i prossimi 50 anni: come risolvere il cambiamento climatico, come nutrire la popolazione crescente. È una visione un po’ tetra, ma presenta quella che Stanley Robinson pensa potrebbe essere una tabella di marcia plausibile per il futuro.
Trovo davvero sorprendente quanto raramente si veda questo tipo di cose. Tornando ai due approcci, penso che i sostenitori di Vogt immaginino essenzialmente un
governo mondiale che intervenga e stabilisca un percorso per tutti per ridurre l’impronta ambientale, mentre i fan di Borlaug vorrebbero vedere molte più persone stipate in città intelligenti e super efficienti. Da un lato c’è questa forte fiducia nell’azione collettiva, mentre dall’altro si pensa all’individuo con superpoteri.

Continuiamo a celebrare la Giornata della Terra, la Giornata mondiale dell’ambiente e questo ci fa sentire come se stessimo celebrando la natura come un’entità separata da noi. Nel suo libro scrive che “in Road to Survival, pubblicato da Vogt più di 70 anni fa, ambiente non significa i fattori naturali esterni che influenzano gli esseri umani, ma i fattori naturali esterni che sono influenzati dagli esseri umani.” Mi sembra che 70 anni dopo stiamo ancora faticando a capirlo. Perché?
Beh, penso che sia un approccio molto radicato nella cultura occidentale e, in una certa misura, anche in quella asiatica. È l’idea che siamo in qualche modo speciali e che il mondo è questa specie di materia bruta lì fuori per noi e possiamo farne quello che vogliamo. Metà della risposta è in questa convinzione, e l’altra metà riguarda il fatto che pensiamo che la natura abbia una sua integrità separata da noi. Insieme, queste due cose approfondiscono la frattura tra noi e gli ecosistemi.
Una delle cose che ho capito viaggiando e facendo ricerche per i miei libri, è che se passi un po’ di tempo con persone appartenenti a popolazioni indigene, che provengono da una tradizione culturale completamente diversa, puoi notare una differenza abissale nell’approccio all’ambiente. In tutte le culture indigene prevale l’idea che siamo parte integrante di questo pianeta e che il nostro lavoro come esseri umani è necessario per contribuire a crearlo. Per queste culture facciamo parte degli ecosistemi naturali e questo è praticamente il contrario rispetto alla visione occidentale, che invece mette l’uomo al centro del pianeta.

A proposito di popolazioni indigene, le loro conoscenze in termini di tecniche agricole sono spesso straordinarie. Idee che abbiamo dimenticato nei decenni passati e che ora stiamo riscoprendo come tecniche "innovative".
Tutti i problemi ambientali legati all’agricoltura, come il prosciugamento delle falde acquifere, la contaminazione e l’erosione del suolo provengono dall’ignoranza e dalla mentalità del XIX e XX secolo. Una visione che considera il suolo come una piastra di Petri in cui si mettono i nutrienti, si piantano i semi ed è tutto a posto. Ora sappiamo che il sistema è molto più complesso di così e penso che entrambi gli approcci lo riconoscerebbero, ma allo stesso tempo troverebbero modi completamente diversi per affrontare la questione.
Il mago direbbe che abbiamo solo bisogno di una soluzione tecnologica, come
fertilizzanti e fitofarmaci migliori e che per non distruggere il microbioma possiamo semplicemente coltivarlo in laboratorio e iniettarlo nel terreno. Il profeta sosterrebbe l’opposto, sottolineando come il suolo sia un sistema naturale, che quindi dobbiamo rispettare la sua integrità e agire assecondando i processi al suo interno. A partire dalle stesse conoscenze si arriva a conclusioni drasticamente diverse su ciò che si dovrebbe fare. Diventa essenzialmente un argomento morale.

L’agricoltura è una parte importante dei suoi libri così come lo sono i virus. Lei ha scritto che quando Colombo sbarcò nelle Americhe “non fu solo un grande evento nella storia dell’uomo, ma nella storia della vita biologica”. Perché?
Sì, tutto parte dal cosiddetto ‘scambio colombiano’, chiamato così dal grande storico Alfred Crosby, dal cui lavoro ho attinto molto per le mie ricerche. Ciò che Crosby ha capito, prima di tutti gli altri, è che quello che Colombo e gli europei hanno fatto quando sono sbarcati è aver ricreato la Pangea. 200 milioni di anni fa la Terra consisteva in un’unica gigantesca massa terrestre, poi le forze geologiche l’hanno spezzata e l’emisfero orientale e l’emisfero occidentale sono stati separati per decine di milioni di anni. Ciò significa che gli ecosistemi dei due emisferi si sono sviluppati quasi completamente isolati l’uno dall’altro. Così, quando gli europei attraversarono l’Atlantico, oltre a un grande evento nella storia umana, si verificò anche un grande evento nella storia biologica, perché riunì due ecosistemi completamente diversi, con un enorme scambio di specie tra i continenti.
Questo scambio sta continuando nel gigantesco tumulto ecologico che stiamo vivendo ancora oggi, che ovviamente ha cambiato per sempre l’agricoltura.
Ma la prima cosa che arrivò furono i
microrganismi. Il risultato fu una tremenda ondata di malattie che, sviluppatesi in Europa, Asia e Africa per decine di migliaia di anni, arrivarono nelle Americhe. Tra i due terzi e il 90% degli abitanti originari delle Americhe morirono. Si tratta della peggiore catastrofe demografica nella storia della razza umana, che ci ricorda il potere della natura.

La globalizzazione è iniziata con lo sbarco di Colombo nelle Americhe, e la conseguente diffusione delle malattie. Potrebbe finire con un virus, peggiore del SARS-CoV-2?
Il grande incubo è che si sviluppi una malattia molto letale, una febbre emorragica come l’Ebola, e che non solo salti la barriera delle specie e passi dalle scimmie, o qualunque sia il suo ospite naturale, agli esseri umani, ma che poi si trasmetta per via aerea, come il COVID-19. Se aggiungete queste due cose assieme, diventa davvero un incubo terribile. Conosciamo per esempio la febbre gialla, che è una malattia emorragica con un tasso di mortalità del 70% negli adulti, che però fortunatamente non si trasmette per via aerea. Stiamo parlando della possibilità di una malattia che potrebbe spazzare via metà della popolazione umana. Soprattutto se le persone fanno cose come rifiutarsi di indossare le mascherine e protestare contro misure basilari di salute pubblica.

Nel suo libro lei cita la grande biologa Lynn Margulis, che amava ricordarle che “più del 90% della materia vivente sulla Terra è costituita da microrganismi. Rispetto a questa potenza e diversità, i panda e gli orsi polari sono epifenomeni, interessanti e divertenti, forse, ma non realmente significativi”. Lei scrive di non averle mai parlato della sua idea del mago e del profeta, ma ipotizza che avrebbe risposto che “Borlaug e Vogt forse volevano impedirci di distruggerci, ma si stavano prendendo in giro da soli. Né la conservazione né la tecnologia hanno niente a che vedere con la realtà biologica”. So che lei crede nella creatività umana e nella capacità di cambiare le cose. Cosa le dà speranza per i prossimi decenni?
Quando ho iniziato a scrivere sul cambiamento climatico, per esempio, era la fine degli anni ’80 ed è quando la maggior parte delle persone al di fuori degli scienziati del clima hanno iniziato a sentirne parlare. Ricordo la testimonianza di James Hansen, che per la prima volta disse al Congresso che c’era questo problema, chiamato ‘riscaldamento globale’, e che era davvero una questione importante da affrontare. Una delle cose più sorprendenti è che non c’era divisione politica su questo tema, perché nessuno aveva ancora scelto da che parte stare, e così uno dei senatori repubblicani chiese: ‘Se tutto questo è vero, cosa facciamo?’. E James Hansen, che era ed è uno degli esperti mondiali in materia, rispose: ‘Essenzialmente, non ne ho idea’. Ai tempi non c’era nessuna soluzione tecnica, nessun modo reale per diventare veramente efficienti dal punto di vista energetico, nessun modo efficace di immagazzinare energia.
Quindi, un modo di guardare agli ultimi 30 anni è che abbiamo sviluppato tutta una serie di soluzioni, tecnologie e idee che possiamo usare per affrontare il cambiamento climatico. La gente dice sempre che non abbiamo fatto nulla e io rispondo sempre: pensate al 1988, quando il 5% del consumo di elettricità negli Stati Uniti era per l’illuminazione. Ora abbiamo i Led, che usano una frazione di questa percentuale.
Ho scritto un articolo negli anni ’90 in cui sostenevo che le batterie avevano poche speranze. Sono molto felice di dire che mi ero completamente sbagliato. Negli ultimi 10 anni la quantità di energia che si può immagazzinare per un dollaro è quasi raddoppiata, è assolutamente incredibile.
In agricoltura abbiamo sviluppato tecnologie innovative come l’irrigazione a goccia, e abbiamo una comprensione molto più estesa del microbioma del suolo. Il trucco per essere fiduciosi è riconoscere che queste cose, e molto altre ancora, sono successe veramente. Ogni sforzo per fare del bene, per rendere accessibili e diffondere queste e altre soluzioni è un progresso verso società migliori.

E altre buone notizie stanno arrivando con lo sviluppo della blockchain e tutto ciò che sta accadendo con la sharing economy. Se implementate correttamente, queste soluzioni potrebbero davvero velocizzare gli sforzi per rendere le nostre società più circolari.
Giusto, ma credo che dobbiamo partire da due compiti principali per un mondo migliore. Uno è fare in modo che tutti siano nutriti, abbiano un’adeguata fornitura d’acqua e accesso all’elettricità. Il 10% del mondo non ha ancora abbastanza cibo, ci sono circa 1,1 miliardi di persone che vivono senza elettricità (o senza un flusso affidabile) e circa 2 miliardi di persone che non hanno acqua accessibile, pulita e sicura.
La seconda cosa che dobbiamo affrontare rapidamente è il cambiamento climatico. Penso che potremmo superare tutte queste sfide, ma dovremmo iniziare a pensare e immaginare come vogliamo che sia il mondo tra 30-50 anni.

Per i maghi l’enfasi dei profeti sulla riduzione dei consumi è intellettualmente disonesta e indifferente ai poveri”, scrive nel libro. Gli ambientalisti occidentali possono spesso essere ingenui nel proporre soluzioni ai problemi ambientali globali perché, come parte di società occidentali, tendiamo a guardare alla nostra piccola fetta di torta, pensando che rappresenti la maggioranza. Se però si mettono le cose in prospettiva e si guardano i numeri, ci si rende conto che, pur avendo una grande impronta dal punto di vista delle emissioni, non siamo così significativi in termini di popolazione.
Quello su cui dovremmo davvero concentrarci è quello che sta succedendo in Africa e in alcune parti dell’Asia, perché è in queste aree che la popolazione è in piena espansione, e tutte queste nuove persone avranno bisogno di elettricità e cibo.
È un pensiero sconcertante, ma secondo molti studiosi
tra 30 o 50 anni la Nigeria potrebbe avere la stessa popolazione della Cina. Di conseguenza, qualsiasi cosa si possa fare lì avrà un impatto enormemente maggiore sul resto del mondo di quello che si fa in Italia o che faccio io qui in Massachusetts.

Sta lavorando a un nuovo libro al momento?
Spero di finire quest’anno un libro sull’Ovest nordamericano. È una delle aree del mondo più sensibili al cambiamento climatico e a una varietà di questioni sociali.
Quello che succederà in quell’area ricorda molto le condizioni climatiche del 1200 quando era molto più caldo e secco di adesso e l’Ovest era nel mezzo di un cambiamento tecnologico impetuoso: dall’introduzione del mais e di forme completamente nuove di agricoltura (come la permacultura mista) a nuovi modi di incanalare l’acqua. Per esempio, le popolazioni indigene che abitavano quelle regioni hanno sviluppato tecniche innovative per la raccolta dell’acqua e sono state in grado di mantenere un’elevata densità di popolazione anche in luoghi come l’Arizona meridionale con quasi due gradi di temperatura in più di oggi. Penso che dovremmo guardare ai modi in cui quelle persone si sono adattate a quei cambiamenti e a come hanno vissuto nei loro sistemi sociali con condizioni che non erano poi così diverse da quelle che vivremo nel prossimo futuro. Una delle domande a cui cercherò di rispondere con questo libro sarà: possiamo prendere quelle idee e adattarle alle nostre circostanze?

Scarica e leggi il numero 37 di Materia Rinnovabile sui sistemi alimentari.