In seguito al pacchetto dell’economia circolare (821/2018/CE) e al suo recepimento italiano (116/20), la Responsabilità Estesa del Produttore (EPR) riguarderà una gamma sempre più ampia di frazioni di rifiuto. Dopo imballaggi, RAEE, batterie, pneumatici e oli esausti, arriverà sicuramente il turno dei rifiuti tessili e, successivamente, di mobili e materassi.
Una filiera unica per il riciclo di mobili e materassi
I mobili e i materassi sono reiteratamente citati nella legge 116/2020 e chiamati con il loro nome di beni durevoli (appunto “mobili” e “materassi”): un’impostazione definitoria che enfatizza la gerarchia dei rifiuti perché, parlando di beni con funzioni d’uso e non di materiali, mette implicitamente l’accento sulle opzioni del riutilizzo e della preparazione per il riutilizzo e non su quelle del riciclo.
Ma per tradurre in realtà gli obiettivi di recupero e la gerarchia dei rifiuti, occorre innanzitutto ragionare sui mercati di riferimento, individuandone questioni, dimensioni e caratteristiche. Dopodiché, a partire da questo tipo di analisi, sarà possibile ideare spunti e soluzioni per il futuro.
Andando ad analizzare le filiere tradizionali del riutilizzo dei materassi e dei mobili si noterà quindi, come prima cosa, che essi costituiscono un’unica filiera. I materassi infatti vengono intercettati dagli operatori dell’usato assieme agli elementi di arredo in cui sono integrati, quindi i grandi e piccoli mobili che compongono una camera da letto e, in primis, testiere, reti e comodini. Materassi e mobili vengono trasportati assieme, valutati assieme e venduti assieme.
La norma, che probabilmente pensando a filiere fondate sul riciclo, stabilisce il principio della gestione per “gruppi omogenei”, così come i meccanismi di “reverse logistic” a carico dei produttori che potrebbero far base a diversi tipi di distributori al dettaglio (negozi di materassi e negozi di mobili), potrebbero tendere a creare flussi separati laddove, fino a oggi, ha funzionato la gestione unitaria. Ma vale realmente la pena separare i due flussi? Il mercato attuale, dalla raccolta fino alla distribuzione, ha trovato nel “generalismo” la sua formula vincente, sia in termini di integrazione dei costi operativi che per la capacità di incontrare l’esigenza del consumatore finale (che quando cerca un materasso, molto spesso, ha bisogno anche della camera da letto). In un’ottica integrata, i materassi dovrebbero essere inclusi nel flusso dei mobili, e la biforcazione in differenti canali dovrebbe avvenire solo dopo la selezione e dell’avvio a riciclo di ciò che non può essere riutilizzato.
Il settore Legno-Arredo in Italia
Detto questo, proseguiamo concentrandoci sulla parte più inedita e meno studiata del ragionamento, ossia quella che riguarda i possibili scenari di EPR dei Mobili. Secondo i report di Federlegno, nel periodo pre-covid il fatturato annuo della filiera Legno-Arredo si aggirava attorno ai 40 miliardi di euro a fronte di quasi 80.000 imprese attive e 320.000 addetti. In termini di volume di produzione, il settore rappresenta il 6% dell’industria manifatturiera italiana e il 2,6% dell’intero settore industriale. Una filiera integrata dove il comparto del legno costituisce il 40% della produzione complessiva e quello del mobile il 60%. All’interno del comparto del mobile, domina la fabbricazione di mobili per uffici e negozi (30%), seguita dalla fabbricazione di sedie e sedili (22%) e dalla fabbricazione mobili per le cucine (20%). La fabbricazione di altri mobili, complessivamente, rappresenta circa il 25% della produzione.
Il settore del mobile italiano ha delle caratteristiche peculiari. Innanzitutto la scarsità di materie prime impone un alto ricorso all’importazione; dalle materie prime importate però, grazie ad una solida tradizione manifatturiera di origine artigianale, nascono prodotti ad alto valore aggiunto completamente realizzati e lavorati localmente. La forte concentrazione di PMI, ovvero di imprese con meno di 20 addetti, riesce a trovare le corrette dimensioni di scala grazie all’esistenza di distretti industriali altamente deverticalizzati dove la subfornitura specializzata è anello fondamentale della catena produttiva. Le filiere complementari che interagiscono con l’industria del mobile italiana sono numerose: imprese che forniscono tessuti, plastica, cuoio, metallo, vetro, oltre che servizi di design e automazione. A causa della forte crisi della domanda interna successiva al 2008 il trend dell’esportazione è aumentato con decisione fino a sfiorare il 40% dell’intera produzione. Player, analisi e associazioni di categoria concordano quindi nel reputare le possibilità di sviluppo del settore fortemente vincolate alla sua capacità di posizionarsi in un mercato mondiale sempre più competitivo e dove contano sempre di più sia gli elementi “green” e di responsabilità sociale che il livello di innovazione tecnologica. Ma la frammentazione produttiva, secondo alcuni analisi, non favorisce il dinamismo e l’adeguamento alla cosiddetta “Industria 4.0”. Nonostante il settore italiano metta in campo investimenti in ricerca e sviluppo superiori a quelli di Germania, Francia e Gran Bretagna, si caratterizza ancora per arretratezza digitale e resistenza al cambio radicale. Un numero sempre più alto di imprese è in ginocchio perché non riesce a competere né sul mercato internazionale né in quello nazionale, invaso dalle offerte low cost di colossi come Ikea e Mondo Convenienza, e ad aggravare la loro situazione sono state le restrizioni sanitarie che, secondo i dati di CISL, hanno provocato un crollo delle vendite pari al 18% nei mercati esteri e al 23% nel mercato interno; si attende un “rimbalzo” di questi dati, ma il futuro è essenzialmente incerto.
Recupero e riciclo dei mobili
Dati questi punti di partenza, come si confronterà l’industria italiana del mobile con la dinamica dell’EPR? Molto dipenderà dalla sua capacità di interagire con i mercati del riciclo e del riutilizzo. Per quanto riguarda il riciclo, il legno è ovviamente la principale frazione di riferimento, a fronte di un comparto che conta sul lavoro di soli 15 impianti in tutto il paese (dei quali 14 ubicati al Nord). Il comparto, coordinato dal consorzio obbligatorio Rilegno, è strutturato in funzione degli obiettivi EPR relativi agli imballaggi in legno (pallet, imballaggi industriali, imballaggi ortofrutticoli e per alimenti). Secondo l’ultimo Rapporto di Rilegno il comparto riesce a riciclare il 65% degli imballaggi reimmessi al consumo (nella figura 1 il “ciclo del legno” illustrato da Rilegno). Le componenti mobiliere sono assorbite da questo sistema in qualità di “frazioni similari” conferite assieme agli altri rifiuti legnosi nei centri di raccolta comunali e delle raccolte domiciliari di rifiuti ingombranti.
Molto spesso, a inibire il recupero del legno da mobili, è la multi-materialità dei mobili stessi, ossia una composizione dove legno e componenti tessili e metalliche sono saldati assieme con modalità che rendono difficile o costoso lo smontaggio e la differenziazione. Il 97% del legno riciclato viene utilizzato per produrre pannelli di truciolare, poi impiegati per fabbricare mobili ed altri beni.
Figura 1 - Rapporto Rilegno 2021
Riutilizzo e mercato dell’usato
Per quanto riguarda il riutilizzo, invece, i canali di riferimento sono plurali, articolati internazionalmente, non connessi alla gestione dei rifiuti e non avvezzi a confrontarsi con sistemi organizzati. In Italia a dominare il mercato del mobile usato non pregiato sono i negozi dell’usato conto terzi, il cui universo, difficile da quantificare a causa di codici ATECO inadeguati, si assesta tra le 2000 e le 3000 unità; il dominio del conto terzi su questo mercato è dovuto soprattutto alle ampie superfici espositive, elemento di cui non godono i commercianti ambulanti. D’altro canto, il comparto tradizionale delle botteghe di rigatteria ormai da tempo vive un processo di estinzione e quindi ha smesso di essere rilevante in questo tipo di commercio.
Grafico 1- Fatturato medio Mobili usati per PV, elaborazione dati di Leotron
Nel grafico 1 viene presentata la curva del venduto medio di grandi mobili e piccoli mobili, misurato a partire dal campione dei negozi dell’usato conto terzi con marchio Mercatopoli (71 unità attive nel 2020, distribuite in tutta Italia); nei negozi più grandi il venduto dei mobili può arrivare al 40% del fatturato.
Significative anche le performance degli arredi e casalinghi venduti online che secondo Doxa, in termini di unità vendute, nel 2020 hanno rappresentato il 29% delle transazioni online a fronte di un volume di affari che ha superato i 5 miliardi e che negli ultimi anni ha mostrato una continua crescita. Tale trend di crescita non deve essere valutato separatamente da quello dell’usato su piattaforma fisica (i negozi dell’usato conto terzi) perché i due segmenti sono sovrapposti in misura importante: a dimostrarlo è il loro tasso di crescita completamente agganciato (grafico 2); la crescita avviene di pari passo perché i negozianti, che riescono a intercettare la merce venendo incontro alla necessità dei clienti venditori di disfarsene velocemente e in blocco, e sanno individuare i prezzi giusti per il mercato, ricorrono sempre di più agli strumenti online per distribuire le loro merci. Il futuro quindi, probabilmente, non sarà nell’online ma nella multimodalità.
Grafico 2 - Fonte: Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2021
Concorrenza sul mercato internazionale dell’usato
Ma come accade con gli abiti usati e la maggior parte delle altre frazioni recuperabili, anche per i mobili si può presumere che il mercato nazionale non sarà sufficiente. A fronte di un potenziale di preparazione per il riutilizzo dei mobili che l’Osservatorio del Riutilizzo ha stimato in circa 120 mila tonnellate annue (includendo solo i mobili in ottimo stato ed escludendo quelli bisognosi di interventi di riparazione), è ragionevole stimare che oggi i canali nazionali dei mobili usati riescano a distribuire non oltre 100.000 tonnellate di mobili. Considerato che per questa frazione specifica, negli ultimi anni, la domanda non ha mostrato particolare elasticità, sembra quindi scontato che in misura significativa le quantità incrementali reimmesse in circolazione dovranno contare soprattutto sui mercati esteri e, nello specifico, sulle importazioni di paesi caratterizzati da indici di consumo significativamente inferiori a quelli italiani. Perché, si sa, sui grandi stock la legge di mercato dell’usato determina un flusso osmotico da territorio più ricco a territorio più povero. Per quanto riguarda l’Europa orientale, la ricettività della domanda di mobili usati provenienti da paesi a reddito superiore è stata corroborata dall’Osservatorio del Riutilizzo grazie a reiterate indagini di mercato compiute tra il 2014 e il 2018 in Ungheria, Romania e Bulgaria. L’indagine di mercato però ha mostrato, allo stesso tempo, l’esistenza di una grande criticità relativa alla forte competitività dei flussi provenienti da paesi come il Belgio, la Germania e la Francia, dove esistono realtà dell’economia sociale che vengono pagate con soldi pubblici per distribuire beni riutilizzabili, e che in alcuni casi arrivano a dipendere per il 75% del loro fatturato non dal mercato ma da finanziamenti esterni. Essendo parte di tali contributi proporzionali ai volumi riutilizzati, tali realtà sono nelle condizioni di produrre stock con prezzi irrisori che, accaparrati da rigattieri dell’Europa orientale e dei balcani o spediti in Africa con i container, creano, nei fatti, una situazione di dumping nei paesi importatori (Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2018).
Quando l’Italia farà la preparazione per il riutilizzo in modo sistematico e ci saranno schemi EPR con specifici obiettivi quantitativi da raggiungere, il problema del dumping nei paesi importatori diventerà estremamente rilevante e occorrerà vigilare in sede europea i meccanismi di concorrenza tra gli schemi EPR dei vari paesi.
In Francia, finora unico esempio europeo a regime, l’EPR dei mobili è stata già implementata per mezzo di Eco-mobilier (mobili domestici) e Valdelia (prevalentemente utenze non domestiche come ospedali, uffici e alberghi): grazie al sistema, attivo dal 2011, i mobili raccolti in modo differenziato sono raddoppiati e, nel 2018, hanno superato il 45% dell’immesso al consumo. Di quanto raccolto, però, il 43% è stato incenerito o recuperato energeticamente, il 56% riciclato e solo l’1% riutilizzato. L’accordo di Eco-mobilier con Emmaus, basato sull’idea che questo ente potesse massimizzare il riutilizzo attraverso i suoi canali tradizionali di second-hand, non ha portato i frutti sperati e per questa ragione Eco-mobilier ha valutato di rompere il rapporto esclusivo con Emmaus coinvolgendo anche altri player dell’economia sociale; non sono però coinvolti, nel suo schema, i negozi dell’usato gestiti da microimprese e gli altri operatori dell’usato, che quindi, come già accaduto con i distributori di elettrodomestici usati sovvenzionati dal sistema EPR di Envie, non possono mettere in campo il loro potenziale e subiscono la concorrenza degli operatori convenzionati. Gli operatori dell’usato tradizionali si trovano, da qualche tempo, a dover competere anche con un altro tipo di modello, ancora non inserito formalmente in uno schema EPR ma che è stato pensato in ottica EPR: la rottamazione dei mobili operata da Ikea, che in cambio di buoni sconto sta attivando in tutta Europa un modello di ritiro e rivendita in loco dei propri mobili usati in buone condizioni.
Un unico settore circolare per l’industria del mobile e il mercato dell’usato
Quali che siano i modelli EPR che verranno implementati in Italia, industria del mobile e operatori dell’usato si intersecheranno fino a fondersi irreversibilmente in un unico settore “circolare”. Ma già oggi le interazioni e somiglianze tra i due mercati sono significative. Per chiunque si troverà, a vario titolo, a dover pianificare le filiere del recupero dei mobili usati sarà utile tenere conto di questi aspetti:
1. La domanda dell’usato, come quella del nuovo, nasce dall’esigenza di arredare o ri-arredare spazi abitativi o di lavoro, e frequentemente tale bisogno è soddisfatto in correlazione con un trasloco, con la firma di un contratto di affitto o la compravendita di un immobile. Non è un mistero, per i player del settore, dai più piccoli ai più grandi, che quando è in crisi il settore immobiliare entra in crisi anche il mercato dei mobili usati. Ce ne sono meno in circolazione e anche la loro domanda diminuisce.
2.Il boom in Italia dei mobili nuovi “ad alta rotazione” (modo gentile per definire i prodotti caratterizzati da materiale molto scadente ma con molta cura nel design) è correlata alla tendenza generale dei consumatori, consolidatasi negli ultimi quindici anni, a orientare le loro scelte soprattutto in funzione del fattore prezzo. Tale comportamento di consumo potrebbe favorire non solo il nuovo low cost ma anche l’usato; ma quest’ultimo, a causa del decremento dei mobili di buona qualità in circolazione, non riesce più a intercettare con la stessa mobili di seconda mano che siano realmente riutilizzabili; aumenta invece la quota di mobili ai quali bastano pochi anni d’uso ad arrivare a gradi di deterioramento importanti e che una volta smontati diventano, letteralmente, immondizia.
3. I trend di variazione dimensionale delle abitazioni incidono sull’effettiva commerciabilità di beni usati di qualità. Mentre il nuovo ha la possibilità di produrre “on time” rispetto alle richieste di mercato, l’usato si fonda su disponibilità che sono frutto di scelte produttive del passato. Attualmente i mobili usati più grossi e voluminosi, anche quando sono in perfette condizioni e fatti di legno massello di altissima qualità, hanno una seria difficoltà a trovare acquirenti dato che le famiglie, e i loro appartamenti, sono tendenzialmente più ridotti. Questo fattore è influente non solo nei territori dove si genera la disponibilità del mobile usato ma anche, e soprattutto, nei mercati di destinazione (ad esempio il mercato di Sofia in Bulgaria, particolarmente ricettivo per i beni usati provenienti da paesi europei a reddito più alto, non lo è per i mobili di grandi dimensioni essendo l’indice di metri quadri per famiglia divenuto molto basso).
4. L’usato di qualità riesce a competere sul prezzo con il nuovo low cost e di cattiva qualità. L’usato ha maggiore durevolezza, mentre il nuovo low cost può puntare su un design continuamente aggiornato. Ma, come dimostrano gli studi di Doxa, l’usato incontra sempre più il gusto di fasce socio-culturalmente alte ed è sempre meno considerato “roba da poveri”.
Dal riutilizzo al leasing: il futuro dei mobili
Per completare gli interrogativi sugli scenari futuri, occorre prendere atto della proposta della Fondazione Ellen MacArthur, lanciata nel 2014 e sempre più di moda, di convertire gradualmente la vendita di beni a sistemi di leasing che, teoricamente, dovrebbero incentivare i produttori a puntare sulla durevolezza abbandonando le logiche di mercato sostitutivo o di obsolescenza programmata. In questo scenario, l’attuale settore dell’usato scomparirebbe. Gli operatori dell’usato, quindi, per una questione di sopravvivenza, hanno cominciato da qualche tempo a interrogarsi su come trasformare in opportunità queste minacce incombenti. Ciò ovviamente implica, tra altre cose, sapersi intendere con i produttori (dato che gestiranno gli schemi EPR) e ideare formule operative e commerciali che siano compatibili sia con la crescente tecnologizzazione dei mobili (anche in ottica di “internet delle cose”) che con l’esigenza di applicare elevati standard di tracciabilità. Gli operatori del riutilizzo, dalla loro, hanno molti punti di forza, e in primis la perfetta conoscenza del mercato e dei prodotti; nessuno, oltre loro, è in questo momento in grado di fornire reali feedback sull’effettiva riutilizzabilità dei beni da produrre, né di incontrare il mercato con formule di business efficaci e sostenibili. Inoltre, avendo una disseminazione capillare sull’intero territorio italiano, gli operatori del riutilizzo potrebbero rivoluzionare il concetto di trattamento dei rifiuti mettendo a disposizione la loro rete per fare depositi preliminari e, perché no, anche micro-impianti di preparazione per il riutilizzo.
Immagine: Camille Villanueva, Unsplash