A Kamikatsu, un comune rurale di 1.500 abitanti situato sulla boscosa isola di Shikoku, nell’arcipelago giapponese, la raccolta differenziata dei rifiuti domestici è da record: sono 45 le tipologie raccolte separatamente. Per le strade non ci sono cassonetti e solo di rado, presso le abitazioni dei più anziani, si vedono i veicoli addetti alla raccolta: sono i residenti, infatti, che consegnano loro stessi al centro unificato di raccolta bottiglie, giornali, imballaggi di plastica, accendini, pile. 

“Venti anni fa abbiamo adottato una strategia per arrivare, al 2020, all’obiettivo zero waste. Oggi l’81% dei rifiuti è avviato a riciclo o viene riutilizzato” ha spiegato al World Economic Forum di Davos (febbraio 2019) Akira Sakano, presidente della Zero Waste Academy, l’organizzazione no-profit che cura la realizzazione del progetto di Kamikatsu. I rifiuti di metallo vengono suddivisi in alluminio, latta, acciaio, flaconi spray, tappi per bottiglie; quelli di plastica in bottiglie di Pet, tappi, schiume di polistirolo; le bottiglie sono separate in base al colore del vetro, mentre giornali, cartone, contenitori del latte e stoviglie di carta sono impilati su scaffali diversi. Dagli scarti alimentari si ricava compost presso le abitazioni. “All’inizio tra i cittadini prevalevano scetticismo e il timore di perdere troppo tempo a differenziare. Ma poi sono arrivati benefici inaspettati, come le migliaia di persone che visitano il centro riempiendo alberghi e ristoranti”, ha raccontato con orgoglio Sakano. Al centro di raccolta, molti residenti si occupano del negozio di beni di seconda mano – il kuru-kuro shop – dove si scambiano gratuitamente oggetti usati, mentre nel laboratorio artigianale – il kuru-kuro craft center – le nonne del villaggio cuciono capi di abbigliamento riutilizzando vestiti vecchi. In occasione delle feste pubbliche un servizio di noleggio gratuito di stoviglie sostituisce quelle usa-e-getta. Tra le promozioni, una raccolta punti, collegata al conferimento di rifiuti di carta, poi esteso a ombrelli e rasoi monouso, permette di ricevere prodotti omaggio. Infine, il sistema di certificazione zero waste accompagna ristoranti, bar e negozi nel percorso di riduzione degli indifferenziati. 

Prossimi obiettivi? “Le priorità oggi sono più complesse: da un lato, aiutare Kamikatsu a diventare sostenibile a tutto tondo, anche economicamente, affrontando il tema dello spopolamento; dall’altro, diffondere l’enorme esperienza che abbiamo accumulata: richieste non mancano, specie dai paesi del Sudest asiatico”, precisa Akira Sakano. 

 

Centro raccolta materiali riciclabili

 

La iper-differenziata a Kamikatsu

Ecco le 45 tipologie di rifiuti domestici raccolti separatamente (tra parentesi la destinazione diversa da riciclo): beni riutilizzabili, rifiuti organici, lattine di alluminio, lattine di acciaio, flaconi spray, tappi di metallo, oggetti di metallo, giornali, imballaggi di cartone, riviste, cartoni per il latte, stoviglie di carta, contenitori in carta e alluminio, cartone, ritagli di carta, materiale misto di carta, vestiti usati, abbigliamento non recuperabile (trasformato in RPF - Refuse derived paper and plastics densified fuel, un combustibile ottenuto da rifiuti di carta e plastica non riciclabili), bacchette di legno per uso alimentare (destinate a combustione e RPF), olio alimentare, packaging di plastica lavato (riciclo e RPF), packaging di plastica sporca (RPF), polistirolo bianco, altro polistirolo (RPF), bottiglie di Pet, tappi di Pet (oggetti di plastica e RPF), bottiglie di vetro bianco, bottiglie di vetro colorato, bottiglie di vetro di colori misti, bottiglie a rendere, vasetti di vetro, specchi e termometri al mercurio, lampadine e tubi fluorescenti, pile, batterie, accendini, ingombranti di metallo, ingombranti di legno (RPF), materassi (RPF), ingombranti in Pvc e gomma (incenerimento), rifiuti in Pvc e cuoio (incenerimento), pannolini e tovaglioli di carta (incenerimento), pneumatici (RPF), scaldamani e componentistica varia (discarica), elettrodomestici (ritirati dai produttori).

 

Se Kamikatsu è stato il primo comune giapponese, nel 2003, a impegnarsi per l’obiettivo rifiuti zero con una delibera approvata dal consiglio comunale, altre municipalità ne hanno seguito l’esempio: Oki (15.000 abitanti), Mizuma (14.000), Minamata (25.000) e Ikaruga (28.000). Mentre Osaki (134.000 residenti), Zushi (58.000), Hayama (33.000) e Soo (13.000) condividono il medesimo target pur senza un impegno formale.

La realtà dei comuni giapponesi zero waste non deve stupire: il primo provvedimento nazionale per promuovere la raccolta differenziata e il riciclo di packaging e contenitori (come bottiglie e lattine) è datato 1997. Successivamente nel 2000 il Giappone ha adottato per legge la strategia delle 3R: riduci, riusa, ricicla. Pietra miliare di questo percorso è stata l’approvazione del Fundamental Plan for Establishing a Sound Material-Cycle Society (Legge-quadro per la realizzazione di una società correttamente basata sull’impiego circolare dei materiali). “Questo provvedimento fissa la cornice teorica della costruzione di una società incentrata sulle 3R per ridurre il consumo di risorse naturali e la pressione sull’ambiente. Inoltre assegna compiti e responsabilità ai vari stakeholder: Stato, amministrazioni locali, imprese e cittadini”, spiega a Materia Rinnovabile Yasuhiko Hotta, direttore del Dipartimento consumo e produzione sostenibile dell’Institute for Global Environmental Strategies di Tokyo (Iges). In base a questa suddivisione, lo Stato regolamenta la gestione post-consumer dei rifiuti domestici, mentre alle amministrazioni locali spetta organizzare la raccolta. “La modalità più diffusa è quella delle stazioni ecologiche realizzate a spese dei comuni e gestite dai cittadini dove, in base ai giorni della settimana, si consegnano determinate tipologie di rifiuti da riciclare”, precisa Hotta. “In alcuni comuni vige la tariffa puntuale pari al costo dei sacchi per il conferimento degl’indifferenziati, un sistema, questo, che contribuisce a ridurne la quantità”. Ci sono anche amministrazioni che “impongono l’obbligo di scrivere il proprio nome sui sacchi, per poter risalire ai responsabili di eventuali errori nella raccolta. In mancanza del nome, se viene individuata una irregolarità, gli incaricati possono cercano nel sacco elementi utili per risalire al cittadino, al quale – una volta rintracciato – vengono spiegate le modalità corrette di separazione”, completa il quadro Sakano.

 

Donne al lavoro nel craft center

 

L’implementazione della Legge-quadro del 2000 è modulata dai piani-obiettivo quinquennali (conosciuti come Fundamental Plan) che fissano i target, le misure per raggiungerli e gli indicatori per monitorare i risultati, come produttività dell’impiego delle risorse, reimpiego di materiali da riciclo nei cicli produttivi e percentuale di riciclo post-consumer. Completano l’impianto normativo le direttive specifiche sul trattamento di veicoli da rottamare, elettrodomestici, apparecchi elettronici domestici, packaging, inerti da demolizioni, scarti alimentari. 

Per promuovere il mercato di prodotti da riciclo e servizi ecofriendly nel 2000 è stato anche approvato il Green Purchasing Act (Legge sugli acquisti verdi), rivolto in particolare alle amministrazioni pubbliche, i cui acquisti rappresentano il 20% del Pil giapponese. Infine, nel 2001 la Legge sulla gestione dei rifiuti e l’igiene pubblica ha introdotto severe norme anti-diossina portando alla chiusura dei piccoli inceneritori. Altro pilastro del sistema Giappone è il programma sovvenzionato dal governo delle eco-town che tra il 1997 e il 2007 ha portato alla realizzazione delle infrastrutture industriali per il trattamento e il riciclo dei rifiuti.

 

Kuru-kuru shop

 

I quattro piani-obiettivo approvati finora nel corso degli anni si sono ispirati a diverse esigenze. “Nel primo la priorità era promuovere il riciclo per ridurre il consumo di materie prime. Il secondo ha affrontato il problema dell’export, per esempio verso la Cina e i paesi del Sudest asiatico, di beni usati e materiali riciclabili, una prassi assai diffusa e criticata a causa del mancato controllo sulla correttezza del trattamento finale”, spiega Hotta. Oggi che l’export è divenuto illegale, la percentuale un tempo intorno al 30% si è notevolmente abbassata. Il terzo piano è riuscito a dare slancio alle R di riduzione e riuso, mentre il quarto, approvato nel 2018, “affronta a 360 gradi problematiche ecologiche più complesse, oltre la dimensione tout-court dei rifiuti, come gli impegni internazionali sul clima e i Sustainable Development Goal al 2030 dell’Onu”, precisa Hotta. In particolare, il Giappone punta da un lato su nuovi modelli di business non più incentrati sulla sollecitazione della domanda bensì orientati a fornire i beni nella quantità davvero necessaria; dall’altro su servizi in condivisione (sharing) che riducano l’impiego di risorse nella produzione e promuovano l’uso intensivo dei prodotti. L’ecodesign dovrà garantire riparabilità, sostituibilità, smontaggio, raccolta differenziata post-consumer e aggiornamento dei beni. Nell’ambito dei nuovi business model avranno la meglio i distributori in grado di connettere produttori e consumatori. Grazie a Industria 4.0, internet delle cose, robotizzazione, Big Data, intelligenza artificiale e altre innovazioni tecnologiche si conta di rilanciare l’economia con ridotto consumo di risorse. Il quarto piano-obiettivo delinea anche il ruolo che il paese intende assumere a livello internazionale nell’economia circolare e l’intenzione di espandere all’estero la propria industria di gestione e riciclo dei rifiuti, anche importando rifiuti dai paesi non in possesso delle tecnologie per il riciclo.

Tra le misure annunciate, la realizzazione di campagne nazionali di sensibilizzazione dei cittadini per dimezzare, al 2030 rispetto ai livelli del 2000, i rifiuti alimentari e migliorarne il riciclo; la messa a punto di modalità di raccolta dei rifiuti domestici che rispondano meglio all’invecchiamento della popolazione; l’ulteriore promozione dell’impiego di energia prodotta dai rifiuti. 

 

Le attività di sensibilizzazione della popolazione

Tra i programmi di sensibilizzazione dei cittadini da citare la “Settimana della riduzione dei rifiuti e della promozione del riciclo” che si apre il 30 maggio di ogni anno. 

Ottobre è il mese della promozione delle 3R (riduci, ricicla, riusa), con iniziative rivolte a consumatori e operatori economici. La “Campagna per un consumo amico dell’ambiente” è condotta da governo, amministrazioni locali, associazioni di produttori, imprese e rivenditori.

Il ministero dell’Ambiente conferisce premi a cittadini, imprese e comunità che si siano distinti nella costruzione della “Società dell’uso circolare dei materiali”. In rete il sito Re-Style sensibilizza sull’importanza della strategia delle 3R.

Stando ai dati statistici, più del 60% dei giapponesi fa la raccolta differenziata, acquista prodotti sfusi e usa borse della spesa riutilizzabili; il 20% circa non acquista prodotti usa-e-getta o non necessari, utilizza le proprie bacchette nei ristoranti e compra prodotti usati/da riciclo.

In crescita la partecipazione dei cittadini alla rimozione dei rifiuti dopo partite di calcio, altri eventi sportivi o d’intrattenimento.

 

Gli obiettivi di dettaglio al 2025 vedono il tasso di impiego di materie da riciclo (sulle risorse usate) fissato al 18% (rispetto al 16% registrato al 2015), il tasso di riciclo dei rifiuti prodotti al 47% (era al 44% nel 2015) e lo smaltimento in discarica scendere a 13 milioni ton/anno dai 14 milioni del 2015. Al 2025 la produzione pro capite di rifiuti domestici dovrà scendere a 0,440 chilogrammo/giorno (contro 0,507 registrato nel 2016 e lo 0, 653 nel 2000). Dal punto di vista economico, il traguardo al 2025 è il raddoppio del valore del mercato giapponese delle 3R (uso efficiente delle risorse e delle apparecchiature, trattamento e riciclo rifiuti, uso delle energie pulite, edilizia durevole, agricoltura/pesca/gestione foreste sostenibili) registrato nel 2000 e pari a 40.000 miliardi di yen (saliti a 47.000 miliardi nel 2015).

Quanto all’uso efficiente delle risorse (espresso dal rapporto Pil/tonnellate di risorse naturali impiegate nel settore industriale e nei consumi dei cittadini) gli indicatori presenti nel quarto piano ci dicono che nel corso degli anni questo rapporto è continuamente migliorato (+50% nel decennio 2000-2009), passando da circa 230.000 yen/ton nel 2000 a 380.000 yen/ton nel 2015, per poi stabilizzarsi. Per rilanciare, il quarto piano-obiettivo ha alzato l’asticella a 490.000 yen/ton al 2025.

 

Kuru-Kuru craft center, nonne al lavoro

 

Per fronteggiare i rifiuti di plastica il governo intende promuovere borse per la spesa riutilizzabili, stoviglie non monouso, contenitori riciclati. Per la plastica non riciclabile, e la bioplastica quando raggiungerà dimensioni di massa, si ricorrerà all’incenerimento con recupero di energia.

Sulle percentuali di riciclo raggiunte dal Giappone in alcuni campi ha acceso i riflettori il rapporto 2018 L’economia circolare nelle politiche pubbliche. Il ruolo della certificazione di Accredia (l’ente unico nazionale di accreditamento designato dal governo italiano): 98% per i metalli, mentre negli elettrodomestici si recupera e riutilizza dal 74 al 89% dei materiali. Per esempio proprio con i metalli recuperati dagli apparecchi elettronici verranno prodotte le medaglie per i Giochi Olimpici e Paraolimpici di Tokyo nel 2020.

La legge sulla responsabilità estesa del produttore prevede un contributo, a carico dei consumatori, a copertura dei costi del servizio di raccolta e trattamento post-consumer, e incarica i consorzi dei produttori di gestire gli impianti di recupero. Per questo, prima della messa in produzione, le aziende inviano i prototipi agli stabilimenti di disassemblaggio, di cui sono comproprietarie, per testarne la facilità o meno di smontaggio (fonte: rapporto Accredia).

Positivo anche il dato sulla diminuzione dei casi di smaltimento illegale scesi da 1.197 nel 1998 a 131 nel 2016 (ma con un singolo caso di ben 5.000 tonnellate di dumping nel 2016). Ciò grazie alla diffusione (53% nel 2017) delle bolle di accompagnamento elettroniche per la tracciabilità dei rifiuti (dal produttore all’incaricato della gestione) rese obbligatorie per legge per i grandi produttori di rifiuti speciali (escluso pcb). Nuovo target al 2022: 70% di impiego. Si pensa anche a una hot-line telefonica per raccogliere le segnalazioni di smaltimenti illegali da parte dei cittadini.

 

La gestione dei rifiuti post-disastro 

Dall’11 marzo 2011 il Giappone è alle prese con un problema di straordinarie dimensioni: la gestione dei rifiuti nucleari formatisi in seguito al terremoto e allo tsunami che hanno colpito la centrale di Fukushima. Ma c’è di più. Il rischio terremoti e il ripetersi di eventi naturali estremi fanno temere disastri di proporzioni ancora maggiori se, per esempio, fosse colpita l’area metropolitana di Tokyo. Una situazione che impone al paese “di mettere a punto un sistema di gestione dei rifiuti prodotti da calamità naturali”, recita il quarto piano-obiettivo, perché “intervenire tempestivamente per raccogliere e trattare i rifiuti nelle aree colpite è essenziale per renderle di nuovo abitabili”. Alla fine del 2016 la percentuale di comuni dotati di un tale piano era però solo del 24%.

Per quanto riguarda Fukushima, l’area evacuata è stata quasi interamente bonificata, a parte quella definita con la formula “Ritorno difficile”. Lo stoccaggio del suolo rimosso e dei detriti contaminati è cominciato a ottobre 2017. A marzo 2018, 1,91 milioni di tonnellate erano state trasferite in stoccaggi temporanei e poi sottoposte a incenerimento in impianti provvisori costruiti in vari comuni per distribuire il quantitativo da trattare. 

 

Tutto in ordine, dunque? Non per la presidente della Zero Waste Academy: “Per i rifiuti prodotti nelle case e nel terziario siamo solo al 20% di riciclo, mentre il restante 80% finisce negli inceneritori. Per imboccare davvero la strada delle 3R il governo dovrebbe destinare agli impianti per le attività di riciclo i sussidi pubblici con cui oggi preferisce incentivare gl’inceneritori”. E pur riconoscendo che “nel settore industriale le percentuali di riciclo sono più elevate perché le imprese hanno le tecnologie per farlo e un range specifico di rifiuti da trattare, ciò che conta davvero è quale percentuale è reimmessa nel ciclo produttivo e quale è utilizzata come combustibile. Sempre meglio che bruciare senza recupero energetico o smaltire in discarica”, osserva Akira Sakano “ma la pratica dell’incenerimento non ha niente a che fare col recupero di materia secondo i fondamenti dell’economia circolare”.

“Abbiamo solo questo pianeta e lo stiamo distruggendo” si è rammaricata Sakano al Forum di Davos. “Ho una figlia di pochi mesi d’età e penso che, se non cambiamo le cose, da grande non potrà vedere con i propri occhi, e non solo su internet, le bellezze della natura”. Recuperare e riusare i beni di uso quotidiano contribuisce a ridurre la produzione di rifiuti e a preservare il pianeta, recita il video mostrato a Davos. “Perché il vostro paese non impara da Kamikatsu?” è la domanda con cui si chiude.  

 

Zero Waste Academy, zwa.jp/en

Fundamental Plan for Establishing a Sound Material-Cycle Society, 4. ed. giugno 2018, www.env.go.jp/en/recycle/smcs/4th-f_Plan.pdf

Video “This Japanese town produces almost zero waste”, WEF Davos 2019 www.youtube.com/watch?time_continue =31&v=uovxjsO4VnY

Re-Style, www.re-style.env.go.jp

Accredia, L’economia circolare nelle politiche pubbliche. Il ruolo della certificazione, maggio 2018, www.accredia.it/pubblicazione/leconomia-circolare-nelle-politiche-pubbliche-il-ruolo-della-certificazione