Quella che si gioca “nei prossimi due/tre mesi è una partita cruciale”: da qui a gennaio, infatti, il nostro Paese dovrà “definire i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza” da presentare alla Commissione europea in vista dello stanziamento dei fondi Next Generation EU (il cosiddetto Recovery Plan), con la speranza “che il confronto non ancora concluso tra Parlamento, Consiglio europeo e stati nazionali non rallenti la procedura e che il nostro governo faccia bene il suo lavoro”. Con queste parole il coordinatore del Circular Economy Network (Cen) della Fondazione per lo Sviluppo sostenibile, Fabrizio Vigni, martedì 3 novembre ha aperto il panel dedicato a ‘Le misure per l’economia circolare nel Recovery plan nazionale’, organizzato in videoconferenza nell’ambito dell’edizione 2020 di Ecomondo e degli Stati Generali della Green Economy, quest’anno solo online per le disposizioni anti-Covid.
Recovery Plan e transizione circolare
Nel suo intervento, Vigni ha elencato alcune proposte di riforma e di miglioramento degli incentivi e dei finanziamenti destinati alla transizione circolare, a cui dovranno essere destinati il 37% dei fondi provenienti dall’UE, e che “è un processo complesso e difficile, che chiama in causa non solo le imprese ma anche forti politiche pubbliche”. È necessario dunque spingere molto sulla sharing economy e “sulle attività di ricerca e sviluppo, potenziando il trasferimento tecnologico alle imprese”, per arrivare nel 2030 a un raddoppio nell’utilizzo di materiali riciclati nell’industria. Occorre poi completare una mappatura regionale dell’offerta di biomasse e delle possibilità di recupero di fanghi, scarti e rifiuti organici, e sostenere gli investimenti in tecnologie innovative: utilizzo dei sottoprodotti, bioeconomia circolare e riciclo dei rifiuti in plastica, di quelli edili e delle materie prime critiche.
Venendo alle proposte di riforma, sono cinque quelle che il Cen giudica fondamentali, oltre alla “riduzione del divario territoriale fra le diverse aree del Paese e al superamento delle carenze impiantistiche”: la semplificazione delle norme per la realizzazione degli impianti e dei controlli sull’End of waste; l’istituzione di un’Agenzia nazionale per l’uso efficiente delle risorse per la transizione circolare nell’ambito dell’Enea; l’introduzione di “strumenti di fiscalità ecologica per spingere il mercato delle materie prime seconde e aumentare il tasso di circolarità del sistema manifatturiero”; l’imposizione di un obbligo per alcuni prodotti di contenere una data percentuale di materiale riciclato; e infine, l’estensione anche ad altri settori – il tessile, i mobili e tutti i prodotti elencati nella direttiva europea sulle plastiche monouso – del meccanismo della responsabilità estesa al produttore con obiettivi minimi di riciclo.
I progetti del MISE
Come ha segnalato la presidente della commissione Ambiente della Camera, Alessia Rotta, tuttavia, “seppure straordinarie, le risorse che arriveranno dall’Unione europea sono pur sempre limitate. Per usarle bene perciò occorre decidere a quali progetti destinarle, in base ai paletti stabiliti dalla Commissione” e avere una vera e propria “ossessione dell’attuazione”, a partire dalla “strada obbligata di utilizzare sempre più materie prime seconde”.
La circolarità, le ha fatto eco il Consigliere per la politica industriale del ministero dello Sviluppo economico, Elio Catania, “è fondamentale per aumentare l’efficienza del nostro sistema industriale: non esiste settore del mondo produttivo che non ne sia interessato”. Su questa base, il MISE ha “incapsulato la transizione verde in cinque progetti”, ha aggiunto Catania: la riqualificazione energetica e antisismica degli edifici, il piano energia e clima (Pniec), la strategia per l’idrogeno, la smart mobility e il piano per l’economia circolare per le aziende. Per far sì che i progetti “arrivi a terra, tocchino le imprese e diano loro la possibilità di ripensarsi con questi temi in testa”, il ministero dello Sviluppo sta lavorando su quattro assi: la definizione di una strategia nazionale – anche a livello di comunicazione, per “far capire che non si tratta della moda del momento ma di un’occasione di modernizzazione di tutto il sistema produttivo”; il rafforzamento delle competenze all’interno delle imprese, finanziando anche dei ‘dottorati circolari’; il supporto agli investimenti in economia circolare; e il sostegno a progetti-pilota strategici in settori come la bioeconomia o la green chemistry.
End of Waste e impianti
Quello degli impianti “è in effetti uno degli aspetti principali da sviluppare, non solo a livello normativo ma anche di incentivi economici”, ha detto invece la direttrice generale per l’Economia circolare del ministero dell’Ambiente, Laura D’Aprile. “Stiamo intervenendo sia con fondi propri che con quelli FSC europei, in attesa di quelli del Recovery Plan”, ha aggiunto la dirigente, illustrando gli sforzi del dicastero sul tema dell’End of waste in edilizia e nel tessile: quest’ultimo – inteso anche come moda e industria del pellame – “è di particolare rilevanza a livello nazionale, ma ancora carente di una struttura di responsabilità del produttore”.
Sull’End of waste nel tessile e in altri settori, come quello edilizio e quello delle batterie al litio, su è soffermato anche Gianni Girotto, presidente della commissione Attività produttive del Senato, secondo cui occorre inoltre “una fiscalità ambientale che internalizzi tutti i danni ambientali del ciclo di vita di un prodotto. Il mio impegno sarà di pungolare il governo affinché faccia pressione in Europa sia per stabilire un corretto prezzo della CO2 equivalente, sia per l’introduzione della cosiddetta ‘border carbon tax’: il 90% della CO2 e della plastica vengono infatti prodotti fuori dall’UE, e l’ introduzione di criteri di qualità elevatissimi che però valgono solo nel nostro continente è insufficiente”.
Sempre riguardo al tema degli impianti, invece, secondo il presidente dell’Italian Circular Economy Stakeholder Platform (ICESP), Roberto Morabito, “occorre affrontare il problema della conflittualità sui territori, che si rivolge anche verso gli stabilimenti per l’economia circolare, ed è dovuta al senso di estraneità dei cittadini rispetto alle scelte di politica industriale. Si tratta di un ostacolo da rimuovere attraverso il pieno coinvolgimento di tutti nelle decisioni politiche strategiche”, che deve accompagnare un piano di investimenti per la costruzione delle strutture necessarie e la “creazione di un efficiente mercato di scambio delle materie prime seconde”.
L’epidemia di Covid-19, ha riassunto in conclusione del meeting il presidente della Fondazione Sviluppo sostenibile, Edo Ronchi, “ha colpito anche l’economia circolare italiana. Questo vuol dire che se vogliamo puntare al rilancio del Paese, essa è un nostro punto di forza. Il Cen si propone proprio di mettere in rete le esperienze più innovative, per poi generalizzarle ed estenderle. Sono d’accordo a pensare ai nuovi impianti, ma non dobbiamo trascurare quelli esistenti che durante la pandemia hanno mostrato i loro limiti. Soprattutto nei piccoli comuni, il Green public procurement non funziona sempre bene e ha bisogno di supporto tecnico: l’Agenzia per l’Economia circolare diventa quindi un’esigenza importante” per sostenere la filiera della circolarità.