Mentre l'Italia sta affrontando la sua ripartenza in quella che può essere definita la fase tre dell'emergenza Coronavirus, l'utilizzo massiccio e diffuso di mascherine e guanti monouso e di prodotti disinfettanti sta mostrando in tutto il mondo i suoi effetti negativi sull'ambiente. Se la dispersione di una mole impressionante di rifiuti derivanti da mascherine e guanti è già un problema noto (cifre stimate comprese tra le 160mila e la 440mila tonnellate di questi dispositivi da dover fronteggiare secondo dati ISPRA), meno visibile ma altrettanto preoccupante è l'impatto ambientale dei prodotti per disinfettare ed igienizzare.
Un’impennata negli acquisti di disinfettanti
La corsa alla pulizia ha fatto crescere, dall'inizio delle pandemia, gli acquisti di disinfettanti e detergenti, anche a doppia o tripla cifra. Alcol, amuchina, candeggina, saponi, salviette sono i prodotti più richiesti. In una sola settimana analizzata, quella tra lunedì 24 febbraio e domenica 1° marzo, un’indagine Nielsen, società di misurazione e analisi dati sull’andamento dei consumi, ha registrato un aumento delle vendite delle categorie del cura casa (+24,9%), trainate in particolare dal segmento commodities (alcol denaturato: +347%, candeggina +87,8%); ma anche del cura persona (+19,6%), in particolare il parafarmaceutico (+148%), le salviettine umidificate (+260,3%), e il sapone per le mani, liquido e solido (+83,5%).
Prodotti potenzialmente dannosi per l'ambiente e la salute
Amuchina, candeggina, alcol, e i disinfettanti a base di questi, riportano nella scheda d'uso, in riferimento agli effetti ambientali, diciture come: inquinante per le acque, tossico per gli organismi acquatici e per l’ecosistema marino, persistente. E per quanto riguarda gli effetti sulla salute: tossico o irritante per le vie respiratorie, può provocare ustioni o lesioni alla cornea, corrosivo (candeggina). Questi prodotti, con il dilavamento o gettati direttamente negli scarichi, entrano all'interno del ciclo delle acque, avendo un effetto devastante in primo luogo sull'ecosistema marino, ma anche sui microorganismi della catena alimentare. Possono inoltre essere tossici se respirati o a contatto con la pelle, ma anche causare avvelenamenti accidentali, specialmente nei bambini. Non sembra solo una coincidenza, infatti, che in concomitanza con l’esplosione dell’epidemia di Covid-19, i Cdc (centri per il controllo delle malattie) abbiano denunciano un aumento del 20% rispetto allo stesso periodo del 2019. L’Italia non fa eccezione. I primi a lanciare l’allarme a marzo sono stati i medici del Centro Antiveleni dell’ospedale Niguarda a Milano, il cui servizio di consulenza telefonica ha raccolto il 65% in più di richieste di consulenza per intossicazione da disinfettanti, fino al 135% in più nella fascia di età inferiore ai 5 anni.
I rischi della disinfezione a spruzzo in ambienti esterni
L'elemento inquinante, e anche la tossicità per gli operatori, diventa ancor più centrale se si considera la disinfezione massiva e a spruzzo che è stata praticata, in Italia e nel mondo, negli ambienti esterni: strade, giardini pubblici, piazze e addirittura spiagge. In una nota diffusa dall'ISS e ARPA Veneto avente ad oggetto “Disinfezione degli ambienti esterni e utilizzo di disinfettanti (ipoclorito di sodio) su superfici stradali e pavimentazione urbana per la prevenzione della trasmissione Dell’infezione da SARS-CoV-2” viene evidenziato come siano state diffuse informazioni contrastanti circa l’utilizzo di ipoclorito e la sua capacità di distruggere il virus su superfici esterne (strade) e in aria.
In Cina l’uso estensivo di prodotti chimici per le strade è stato effettuato prima di osservare l’attuale decremento dei casi di contagio. Ma lo stesso China’s Center for Disease Control and Prevention (CCDC), ha avvertito il pubblico che “le superfici esterne, come strade, piazze, prati, non devono essere ripetutamente cosparse con disinfettanti poiché ciò può comportare inquinamento ambientale e dovrebbe essere evitato”.
In molte altre parti del mondo, continua la nota, sono stati sollevati dubbi relativamente alla pericolosità ambientale e per gli operatori del sodio ipoclorito, che è stato il prodotto più utilizzato nella disinfezione delle strade. Inoltre, il sodio ipoclorito, in presenza di materiale organico presente sul pavimento stradale può dare origine a formazione di sottoprodotti estremamente pericolosi quali clorammine e trialometani e altre sostanze cancerogene volatili e non è possibile escludere la formazione di sottoprodotti pericolosi non volatili che possono contaminare gli approvvigionamenti di acqua potabile.
A livello nazionale l’ARPA Piemonte - riferisce la stessa nota - si è recentemente pronunziata negativamente in merito alla possibilità di procedere a una disinfezione delle strade con ipoclorito considerando questa pratica pericolosa per l’ambiente.
Gaetano Settimo, Coordinatore del Gruppo di Studio Nazionale sull’Inquinamento Indoor dell' Istituto Superiore di Sanità, a cui abbiamo chiesto in merito, è dell'opinione che: “L’utilizzo di queste pratiche è già sconsigliato nel Rapporto ISS Covid -19 n. 7/2020 - Raccomandazioni per la disinfezione di ambienti esterni e superfici stradali per la prevenzione della trasmissione dell’infezione da SARS-CoV-2- realizzato come guida e supporto sul tema dall'Istituto Superiore di Sanità. Il problema qui è stato affrontato sia in termini di eccesso di uso che di uso sbagliato, indicando i potenziali rischi e gli effetti negativi che può produrre, tra cui un rischio importante per il nostro ambiente. Per questo - prosegue Settimo – è necessario prima di tutto non perdere i principi guida di salvaguardia e protezione della salute e dell’ambiente. Bisogna assolutamente evitarlo”.
Eccesso di disinfezione e sanificazione in ambienti di lavoro
L'invito a non eccedere nell'uso di questi prodotti è venuto anche da Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto Superiore di Sanità, il quale, durante l’audizione della Commissione Ecomafie per l’inchiesta sui rifiuti Covid ha invitato a non esagerare con i disinfettanti in quanto responsabili di numerosi effetti indesiderati se utilizzati in modo intensivo ed estensivo. E anche perché, ha specificato, l'eccesso è inutile: laddove le superfici siano mantenute pulite, il virus è già facilmente inattivabile.
Questo eccesso d'uso, oltre a una mancanza di conoscenza degli effetti e delle ripercussioni sulla salute e sull'ambiente, potrebbe essere anche imputabile alla mancata chiarezza della normativa riguardo alle responsabilità penali e civili da parte dei datori di lavoro (non solo imprenditori, ma anche dirigenti di enti pubblici o scuole, sindaci, direttori di musei, gestori di aeroporti, cinema, teatri, ecc.). I decreti emanati fin dall'inzio dell'epidemia hanno rimesso in capo a questi soggetti le responsabilità in caso che un dipendente, o un cliente, si ammali di Covid-19. E, anche se poi l'art. 29 bis della Legge n. 40/2020 ha stabilito che, ai fini della tutela contro il rischio di contagio da Covid-19, il datore di lavoro adempie all’obbligo dell’articolo 2087 del Codice Civile mediante l’applicazione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso (DPCM 24 aprile 2020) rettificando di fatto questa posizione, è probabile che, per “ maggiore tranquillità“ si sia preferito in molti casi eccedere nella disinfezione piuttosto che limitare.
Secondo Gaetano Settimo, la strada per evitare questo eccesso, è la conoscenza delle corrette procedure e modalità. “I diversi DPCM emanati – spiega - hanno previsto pulizie giornaliere e pulizie periodiche dei locali, degli ambienti, delle postazioni di lavoro nonché delle sanificazioni straordinarie laddove si siano registrati casi di infezione o in alcune determinate aree geografiche. Mai come oggi tali attività sono state poste all’attenzione del datore di lavoro ed è stato richiesto di farlo così frequentemente“. Se sul piano operativo si tratta di interventi che tengono conto delle caratteristiche lavorative e possono far riferimento ai diversi documenti linee guida, come il Rapporto ISS Covid-19 n.25/2020 relativo alla sanificazione per le attività economiche, che accompagnano nel corretto svolgimento di tali attività (procedure, metodi, prodotti), Settimo spiega che sul piano delle responsabilità “vista la rilevanza che c'è sempre in capo a chi riveste e esercita questo ruolo, collegata ad una anche possibile responsabilità civile e penale per le infezioni dei lavoratori in ambito professionale, è sempre necessario far riferimento ad esperti altamente qualificati e specializzati come supporto”.
La sfida del post Covid-19 passa dalla qualità dell’aria indoor
L'impiego massiccio di disinfettanti e l'analisi delle modalità di propagazione dei virus hanno messo in luce come gli ambienti indoor, tra cui gli ambienti di lavoro o di studio, dove trascorriamo la maggior parte del tempo, siano quelli a cui dobbiamo prestare la massima attenzione. Gli ambienti chiusi, che hanno rappresentato in questa emergenza il nostro "porto sicuro", in realtà possono non essere così salutari.
È questa, secondo gli esperti in materia, la vera sfida del post Covid-19, che si giocherà su vari campi: dal cambiamento normativo al cambiamento progettuale e costruttivo di tutti gli ambienti che maggiormente frequentiamo, come casa, luogo di lavoro, scuola, svago. Così la pensa anche Gaetano Settimo, che a riguardo specifica: “Fino a poco tempo fa gli edifici venivano giudicati più per gli aspetti estetici e per la qualità delle prestazioni energetiche, che per il fatto che devono ospitare delle persone, dimenticando di affrontare le caratteristiche di qualità dell’aria indoor e i livelli di esposizione a inquinanti”. Parliamo sia della concentrazione di CO2 che di specifici inquinanti: la formaldeide, le Sostanze Organiche Volatili SOV, i Composti Organici Volatili COV, o il materiale particellare Pm 10 e Pm 2,5.Riguardo alle modalità, secondo Settimo, c'è molto da lavorare, ma questa è la direzione: “Il Covid-19 ha messo in luce alcune fragilità già note ancora prima della pandemia, ma ci sono ancora molti aspetti sconosciuti su questo virus e il rischio delle infezioni è solo uno degli elementi da tenere in considerazione negli ambienti costruiti. La qualità della struttura edilizia progettata per svolgere e soddisfare i diversi compiti, il corretto utilizzo della ventilazione (naturale o forzata), i comportamenti quotidiani, la scelta dei diversi materiali e degli arredi tenendo conto delle condizioni d’uso e dei livelli emissivi di sostanze inquinanti dei singoli materiali, le attività di pulizia, le manutenzioni, l’uso improprio ed errato di prodotti disinfettanti: sono tutti fattori che influiscono in modo significativo sulla qualità dell’aria indoor e sulla salute”.
Già da tempo l’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, coi rispettivi riferimenti in merito alla qualità degli ambienti indoor, ha dato impulso alle attività legislative già in essere in diversi Paesi europei. “Nel nostro Paese, purtroppo - conclude Settimo - esiste ancora un ritardo legislativo che deve obbligatoriamente essere colmato, ed anche il Covid-19 ce lo ha mostrato chiaramente: la qualità dell’aria indoor in edilizia deve rappresentare un obiettivo prioritario di salute del sistema sanitario nazionale, non si può aspettare”.