L'estrazione eccessiva delle acque sotterranee è la prima causa della subsidenza, il graduale sprofondamento del terreno che interessa alcune tra le zone più popolate del pianeta. Le persone coinvolte sono 1,2 miliardi, un quinto della popolazione mondiale, concentrate soprattutto nel Sud-est asiatico.
Nelle zone colpite - soprattutto delta fluviali e pianure costiere e alluvionali - il fenomeno danneggia edifici e infrastrutture, ma soprattutto aumenta vertiginosamente il rischio di allagamenti. Nelle zone costiere la subsidenza amplifica il problema dell’innalzamento del livello dei mari dovuto ai cambiamenti climatici. Mentre l'Indonesia ha adottato la soluzione estrema di spostare la propria capitale, molte altre città e Paesi devono fare i conti con un fenomeno sempre più pressante, anche in Europa. Ma le soluzioni sono complesse e non sempre accontentano tutti.
Le cause della subsidenza
"Certamente la prima causa della subsidenza, sia per la gravità dei casi più seri che per estensione di aree, è l'emungimento di acqua di falda", spiega Pietro Teatini, docente dell'Università di Padova, tra i massimi esperti italiani in materia. "Ci sono poi altre cause sia antropiche che naturali, tra cui l'estrazione di idrocarburi e l'urbanizzazione di territori rurali, con la costruzione di opere che hanno pesi molto elevati, soprattutto dove si trovano terreni di recente formazione, più compressibili". La consolidazione dei terreni in molte aree è un fenomeno naturale, spiega, ma è quando non è compensata dai sedimenti fluviali, trattenuti da dighe o estratti dalle cave, che il suo effetto si fa sentire di più. Ci sono anche cause completamente naturali come i movimenti tettonici e i sollevamenti o abbassamenti eustatici, ma influiscono poco e solo in aree molto localizzate.
Le aree colpite
Nell'ultimo secolo la subsidenza è stata documentata in almeno 200 aree di 34 Paesi, ma con ogni probabilità è molto più diffusa. Il fenomeno interessa potenzialmente l'8% delle terre emerse (12 milioni di chilometri quadrati). L'area in cui la subsidenza è potenzialmente più grave è molto piccola, l'1,6% del totale, ma è anche estremamente popolata, con il 19% della popolazione mondiale. La metà delle persone esposte ad alto rischio alluvioni (quasi mezzo miliardo di persone) vive in queste zone. In termini numerici i più interessati sono di gran lunga gli asiatici (l'86% delle persone esposte vive in Asia). Più esposte risultano anche, in media, Paesi e popolazioni a basso reddito.
Rapporto con l’innalzamento del livello del mare
L’innalzamento relativo medio del livello del mare è attestato sui 2,5 millimetri l'anno, ma secondo uno studio pubblicato su Nature nelle zone soggette a subsidenza può essere fino a quattro volte maggiore, tra i 7,8 e i 9,9 millimetri. E nelle zone dove il sollevamento annuo supera i 10 millimetri vivono tra i 117 e i 140 milioni di persone.
“Subsidenza e densità di popolazione non sono indipendenti", si legge nello studio citato. Una maggiore densità di popolazione porta a sua volta ad azioni umane che promuovono la subsidenza. Inoltre, i delta hanno terreni fertili e storicamente sono luoghi attrattivi per gli umani .
Da Venezia a Jakarta fino al Mekong: stesso problema, diverse declinazioni
Se il problema è globale, in ogni luogo si coniuga in modi diversi.
"L'Italia è stata una delle nazioni dove il problema è stato evidente per primo - spiega Teatini - A Venezia, uno dei casi più noti al mondo, la subsidenza è dovuta in primo luogo allo sfruttamento, nel secondo dopoguerra, delle falde nelle aree industriali di Porto Marghera. Il prelievo ha provocato una compattazione degli acquiferi che ha abbassato la città di 12-15 centimetri. Da quando tutte le estrazioni sono state vietate, all'inizio degli anni '70, la subsidenza per estrazione di acqua è stata sostanzialmente annullata, anche se la città continua ad abbassarsi per altri processi". Nella zona del delta del Po, nello stesso periodo, la subsidenza è stata ancora maggiore: “in questo caso ha avuto un ruolo importante l'estrazione delle acque metanifere - l'acqua con disciolta una certa quantità di gas, economicamente vantaggiosa da estrarre - che ha causato un abbassamento intorno ai 3 metri".
Non esiste un'unica soluzione, prosegue il professore, ma il primo passo sarebbe sfruttare le conoscenze acquisite in decenni di ricerca. "I modelli numerici permettono ormai di fare una previsione di quanto è possibile emungere per avere prelievi comparabili con la ricarica naturale dell'acquifero. Quando c'è un surplus d'acqua lo si può invece utilizzare per una ricarica artificiale dell'acquifero: una pratica comune in varie zone del mondo ma ancora non in Italia".
Anche i Paesi Bassi (per il 25% sotto il livello del mare) si sono affidati a un massiccio sforzo tecnologico, tra i cui risultati figura una mappa che mostra i movimenti del suolo per miliardi di punti di misurazione in tutto il Paese.
Il rilevamento satellitare ha permesso una dettagliata mappatura del rischio subsidenza anche a Delhi, in India, dove alcune aree sprofondano anche di oltre 10 cm l'anno. L'impressionante espansione della città, che sfiora oggi i 30 milioni di abitanti, richiede crescenti quantità di acqua, con un divario di 750 milioni di litri al giorno tra la domanda e l'offerta. Milioni di residenti privi di accesso alla rete idrica cercano di soddisfarla scavando pozzi, spesso illegali. Grazie a politiche accorte che prevedono la raccolta delle acque piovane e soprattutto la fornitura di acqua potabile a milioni di persone che ne erano prive, nel quartiere di Dwarka negli ultimi anni la subsidenza si è interrotta.
Contrastare il fenomeno è dunque possibile, ma dove il clima è più arido l'impresa appare molto più ardua. L'Iran ospita alcune delle valli che affondano più velocemente al mondo, ma l'estrazione incontrollata continua. Le risorse idriche pro capite sono crollate di oltre il 65% negli ultimi decenni, e in futuro potrebbe andare peggio. Il governo ha puntato molto su tecnologie come la desalinizzazione. "La tecnologia può aiutare, ma quello di cui abbiamo bisogno è un programma a lungo termine per preservare le risorse idriche che coinvolga agricoltori, industrie e comunità locali, e al momento non c'è", commenta Mahdi Motagh, dell'Helmholtz-Zentrum di Potsdam.
Annunciando il trasferimento della capitale da Jakarta a una città di nuova fondazione che si chiamerà Nusantara, l'Indonesia è senz'altro il Paese che ha fatto la scelta più drastica di fronte alla subsidenza. Ma se il governo resterà all'asciutto, non sarà lo stesso per i 10 milioni di abitanti della capitale attuale, alle prese con maree che sempre più spesso ne inondano vaste zone. Per Bosman Batubara, ricercatore dell'Università di Utrecht, la subsidenza ha seguito di pari passo l'urbanizzazione capitalista che, a partire dagli anni '60, è avvenuta sotto il governo autoritario del generale Suharto. A Jakarta, spiega, il 60% della popolazione non è collegato alla rete idrica e si affida ai pozzi, ma il grosso della subsidenza è dovuta a quelli più profondi e costosi, appannaggio delle stesse élite protagoniste dell'enorme espansione della città. "I responsabili della subsidenza non sono gli stessi che ne soffrono gli effetti", conclude.
La subsidenza non colpisce solo le città, ma interi ecosistemi, come quello del fiume Mekong."Il delta rischia una 'tempesta perfetta', perché vi insistono impatti antropici sovrapposti", spiega Simone Bizzi dell'Università di Padova, coautore di uno studio internazionale sul grande fiume asiatico. "Da un lato, una serie di dighe tra Cina e Vietnam, tuttora in pieno sviluppo, e l'estrazione di sabbie da costruzione lo privano di gran parte dei sedimenti. Dall'altra c'è l'estrazione di acqua per l'agricoltura, difficile da quantificare. Se aggiungiamo il problema del cuneo salino e l’innalzamento del mare, possiamo supporre che nel prossimo secolo tra il 50 e il 90% del delta finisca sott'acqua". A una minaccia esistenziale per un'area in cui vivono quasi 20 milioni di persone sono state finora contrapposte solo misure con effetti locali. "Non esiste una politica gestionale, a scala di bacino, che parta dall'assunto che un giorno il delta potrebbe non esistere più. È come con il cambiamento climatico: pur riconoscendo il problema, la politica non è ancora in grado di prendere le decisioni necessarie".
Immagine: Jakarta, ph Windo Nugroho (Unsplash)