Riconvertire un grande impianto industriale non è mai semplice, sia per quanto riguarda gli aspetti economici, sia per quelli ambientali. E il percorso si fa ancora più difficile quando la struttura in questione è un termovalorizzatore che sorge in una zona densamente urbanizzata, a pochi chilometri da case e scuole. In un caso come questo, il confronto diretto con la popolazione è un passaggio imprescindibile. 

È questa la via seguita da Gruppo Cap a Sesto San Giovanni, il comune alle porte di Milano dove la società che gestisce il servizio idrico integrato nel territorio della Città Metropolitana di Milano sta portando avanti il progetto di trasformazione di un termovalorizzatore giunto ormai alla fine del suo ciclo di vita, il cui spegnimento è previsto l’anno prossimo. Un’operazione che vede coinvolti il Consorzio recuperi energetici (Core Spa), che si occupa dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani a Sesto, Cologno Monzese, Pioltello, Segrate e Cormano e le amministrazioni degli stessi Comuni, soci appunto di Core. 

Cap e Core hanno optato per un piano di profonda trasformazione dell’area, al fine di renderla un polo all’avanguardia per la gestione dei rifiuti in una prospettiva di economia circolare, coinvolgendo i cittadini in un percorso di dibattito pubblico, per raccogliere suggerimenti e proposte per il progetto di simbiosi industriale che unisce termovalorizzatore e depuratore trasformandoli in una biopiattaforma dedicata all’economia circolare carbon neutra a zero emissioni fossili.

Attualmente, il termovalorizzatore (di proprietà di Core) occupa 43 dipendenti, e sorge in prossimità di un depuratore che serve 124.000 abitanti equivalenti trattando i reflui fognari, sia industriali che civili, provenienti dalla città di Sesto (che conta 81.000 residenti). Il progetto prevede che i due impianti vengano riuniti in un sito unico che resterà di proprietà pubblica e che rispetto alla struttura attuale dovrebbe abbattere del 76% le emissioni di fumi nocivi e annullare quelle di molecole climalteranti. 

La nuova biopiattaforma sarà articolata in due linee che tratteranno rispettivamente la frazione umida dei rifiuti urbani (Forsu) dei Comuni che fanno parte di Core e i fanghi prodotti dai depuratori di Gruppo Cap. Nell’impianto, secondo le cifre fornite dalla società, verranno valorizzate 65 mila tonnellate all’anno di fanghi umidi (equivalenti a poco più di 14 mila tonnellate di fanghi essiccati). Tre quarti di essi saranno trasformati in calore, generando ogni anno 11.120 MWh destinati al teleriscaldamento. Il restante 25% diventerà invece fosforo da usare come fertilizzante, mentre l’acqua depurata sarà reimmessa nel fiume Lambro o utilizzata per irrigare i parchi delle zone limitrofe. La linea di trattamento della Forsu, invece, tratterà in un anno 30.000 tonnellate di materiale che verranno utilizzate per produrre biometano. 

Un piano di riconversione molto ambizioso nel quale Cap ha investito oltre 47 milioni di euro per creare – si legge nei documenti diffusi dall’azienda – “un vero e proprio polo dell’innovazione green, che rappresenta il cuore della rete metropolitana di tutti i depuratori gestiti dal gruppo per la sperimentazione sulle acque reflue”. E che si avvale della collaborazione dei partner del Progetto Smart Plant, finanziato dall’Unione europea nell’ambito degli obiettivi di Horizon 2020, ovvero l’Università di Verona, il Politecnico di Milano, l’Università Milano Bicocca e il Cnr. L’area è destinata “a ospitare ricercatori e start up impegnati nello sviluppo di nuove soluzioni ecocompatibili per trasformare quello che prima era uno scarto in prodotti a forte valore aggiunto. Una vera e propria ‘bioraffineria’ verde che produrrà biometano, calore, dove si recupereranno nutrienti e si produrranno compost, bioplastiche e fertilizzanti naturali”.

La biopiattaforma – ha spiegato il presidente e amministratore delegato di Cap, Alessandro Russo – “è un progetto unico in Italia, che esce dalla logica della linearità per seguire la circolarità della sostenibilità e puntare su ecodesign, recupero delle materie di scarto, riprogettazione industriale dei prodotti e delle filiere produttive, e sarà il risultato di un iter strutturato e trasversale che ha messo al centro anche cittadini, associazioni e comitati locali”.

Proprio per la sua importanza e per il grande impatto sul territorio, fin dall’inizio i cinque Comuni interessati hanno optato per un coinvolgimento il più ampio possibile della cittadinanza, soprattutto di quella parte che di solito non ha la possibilità di esprimersi direttamente nelle sedi istituzionali. Un approccio condiviso da Cap e Core, che ha portato all’avvio del percorso partecipativo “BioPiattaformaLab”. 

Ispirato al modello francese del débat public, il processo è stato affidato al think-tank Nimby Forum, specializzato nell’analisi della sindrome not in my backyard: una realtà che dal 2004, anno in cui ha iniziato la sua attività, ha seguito oltre 50 processi partecipativi in tutto il paese con l’obiettivo di costruire consenso attorno alle iniziative industriali. 

Il percorso di ascolto della cittadinanza di Sesto e dei Comuni vicini si è articolato in cinque incontri aperti al pubblico, che si sono svolti tra novembre 2018 e gennaio 2019. Contemporaneamente, sul sito BioPiattaformaLab sono stati via via pubblicati i materiali relativi ai vari passaggi del processo e delle Faq rivolte alla popolazione.

Nei primi quattro appuntamenti, il progetto del nuovo impianto è stato presentato nelle sue caratteristiche generali e in alcuni aspetti più specifici, evidenziando le sue peculiarità e le sue ricadute sul territorio, e permettendo ai cittadini riuniti in tavoli di lavoro, di far emergere i particolari su cui volevano maggiori informazioni e un confronto con gli esperti. Le osservazioni sono state raccolte e sintetizzate in un report presentato in un incontro aperto nel mese di aprile. 

In tutto, sono state 89 le osservazioni di tipo economico, amministrativo e ambientale che nei mesi successivi sono state valutate: a ciascuna i tecnici di Cap e Core hanno fornito un feedback, illustrato in un nuovo incontro all’inizio di aprile. Trenta di esse – tra cui l’inserimento di soluzioni di drenaggio urbano sostenibile che favoriscano la ritenzione e la traspirazione delle acque meteoriche, e l’analisi preliminare del rischio, con modifiche progettuali che salvaguardino il funzionamento della biopiattaforma in caso di esondazione del fiume Lambro – sono state inserite tra le specifiche del bando per la redazione del progetto definitivo dell’impianto. 

A vincere la gara, nel luglio scorso, è stata la svizzera Tbf + Partner Ag, una società di ingegneria leader in campo energetico e in particolare nel settore della valorizzazione termica dei fanghi di depurazione. La consegna del progetto è prevista entro la fine di novembre: dopodiché partirà l’iter burocratico del Provvedimento autorizzatorio unico regionale (Paur), che comprende tra gli altri anche la valutazione di impatto ambientale, e la stesura del bando per l’affidamento dei lavori.

Nel frattempo, il processo partecipativo continua. Da luglio è iniziato il percorso che, entro fine anno, porterà alla nascita del Residential advisory board (Rab), un comitato di controllo e monitoraggio sull’opera richiesto dai cittadini nel corso degli incontri invernali. Si tratta di un modello nato per la prima volta nei Paesi Bassi, e che da qualche anno si è diffuso anche in Italia, per esempio intorno al termovalorizzatore di Ferrara o all’impianto di trattamento Forsu a Bassano del Grappa: un organismo consultivo composto da rappresentanti di aziende, amministrazioni, cittadini e comitati, che avrà il compito di seguire passo passo l’avanzamento del progetto fornendo pareri, favorendo l’informazione trasparente della popolazione in merito ai lavori e facilitando l’interazione fra impresa e cittadini.

 

Gruppo Cap, www.gruppocap.it

Consorzio recuperi energetici, www.coresesto.it

Nimby Forum, www.nimbyforum.it

BioPiattaformaLab, www.biopiattaformalab.it

Tbf + Partner Ag, www.tbf.ch/it