Una necessità e un’opportunità. È ciò che rappresenta la bioeconomia per il governo spagnolo, che nel marzo 2016 – primo tra i grandi paesi del Mediterraneo – ha presentato la propria strategia nazionale (The Spanish Bioeconomy – 2030 Horizon). Una necessità per muovere il paese in direzione di una società meno dipendente dalle risorse non rinnovabili di origine fossile, “il cui consumo sta accelerando il processo di cambiamento climatico che mette a rischio il futuro del pianeta”. Un’opportunità per trainare “un processo di consolidamento della crescita economica”, dove le nuove tecnologie sono considerate come strumenti di competitività per le imprese spagnole.
“L’obiettivo principale – ha scritto nella premessa della strategia Isabel García Tejerina, ministro dell’Agricoltura, dell’Alimentazione e dell’Ambiente – è costruire una bioeconomia come parte essenziale dell’attività economica del paese, con l’innovazione che genera know-how, chiedendo una stretta collaborazione tra pubblico e privato e una maggiore interazione tra il sistema scientifico e tecnologico spagnolo e quello internazionale”.
Il ruolo dell’agroalimentare
A fare la parte del leone nella strategia spagnola sulla bioeconomia sono i settori agricolo, alimentare e forestale, che sono considerati i primi beneficiari di uno sviluppo economico basato sull’impiego delle risorse biologiche. Da una parte, sono fornitori di materie prime che non devono competere con l’alimentazione, dall’altra sono destinatari di gran parte dell’innovazione biotecnologica sviluppata.
A fotografare la loro importanza nel sistema produttivo del paese iberico sono i dati forniti dal ministero dell’Agricoltura, secondo cui il settore agricolo rappresentava nel 2013 il 2,5% del Pil nazionale e generava un valore aggiunto lordo di 21,707 miliardi di euro, dando lavoro a 740.000 persone. L’industria alimentare rappresentava il 2,7% del Pil e generava un valore aggiunto di 28,448 miliardi di euro, occupando 480.000 addetti in oltre 28.000 imprese. E, in totale, il settore agroalimentare costituiva oltre il 17% dell’export nazionale.
Ancora: la silvicoltura valeva 762 milioni di euro, il settore della pesca e dell’acquacoltura oltre un miliardo di euro, l’industria della carta 3,3 miliardi, l’industria del legno e del sughero circa 1,9 miliardi.
La sfida lanciata dalla strategia spagnola è di mantenere la sostenibilità della produzione primaria dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Tutto questo, secondo Madrid, sarà possibile migliorando l’efficienza produttiva, i processi organizzativi e logistici grazie alle tecnologie e all’innovazione. Gli scarti prodotti dall’agricoltura e dall’industria alimentare dovranno divenire materia prima per la produzione di nuovi biomateriali e bioenergie.
Secondo l’Associazione delle imprese dell’energia rinnovabile, nel periodo 2007-2014 il Pil medio annuo generato dal settore delle bioenergie (inclusa la biomassa per la generazione di elettricità) e dei biocombustibili per il trasporto è stato di 3,562 miliardi di euro. Nello stesso periodo sono stati creati una media annua di 47.880 posti di lavoro diretti e indiretti.
Il caso Abengoa Bioenergy
Certo una linea d’ombra sul settore l’ha tracciata il caso della Abengoa Bioenergy, che è stata a un passo dalla bancarotta e sta dismettendo tutti gli impianti sparsi per il mondo, riuscendo a evitare il capitolo 11 della legge fallimentare negli Stati Uniti solo a patto di una ristrutturazione pesante del debito.
Alla fine dello scorso anno la sussidiaria Abengoa Bioenergy Biomass of Kansas è stata costretta a vendere il proprio impianto a base di cellulosa di Hugoton alla Synata Bio per 48,5 milioni di dollari. La vendita ha incluso lo stabilimento per la produzione di etanolo cellulosico con una capacità di 25 milioni di galloni all’anno, l’impianto di cogenerazione elettrica e 400 acri di terreno. Mentre è stata esclusa la proprietà intellettuale contenuta nel processo e gli accordi di licenza con la Abengoa Bioenergy New Technologies. Nel 2011, il Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti aveva concesso un credito garantito di 134 milioni di dollari per la costruzione dell’impianto.
Nell’agosto 2016 è stata la Green Plains Inc. a mettere le mani, sborsando 237 milioni di dollari in contanti, su tre impianti di etanolo della Abengoa Bioenergy negli Stati Uniti: a Madison, in Illinois; a Mount Vernon, in Indiana e a York, in Nebraska, per una capacità produttiva totale di 236 milioni di galloni all’anno.
Ma non è tutto: la stessa Green Plains ha acquisito anche gli impianti di Ravenna (Nebraska) e Colwich (Kansas), mentre l’impianto di Portales (Nuovo Messico) è passato al Natural Chem Group.
Sul fronte europeo, invece, l’impianto per la produzione di biodiesel di Abengoa Bioenergía San Roque S.A. a Cadice, nel sud della Spagna, è stato ceduto per otto milioni di euro alla Cepsa (Compañía Española de Petróleos S.A.U.), a cui peraltro era destinato già il 100% del biodiesel prodotto utilizzando soia, colza e olio di palma. Lo scorso giugno la belga Alcogroup ha rilevato l’impianto Europoort, a Rotterdam (nei Paesi Bassi). E sono in vendita gli stabilimenti di La Coruña, Salamanca e Cartagena.
In Francia sarebbero in fase avanzata le trattative per la cessione dell’impianto di bioetanolo di Lacq (Pirenei atlantici, Aquitania). I candidati all’acquisto della bioraffineria che impiega 70 addetti e produce 250 milioni di litri ogni anno sono Oceol, un raggruppamento delle principali cooperative e aziende agricole della regione, e un fondo d’investimento europeo.
La biochimica made in Spain
Nel campo della chimica verde, la principale bioraffineria spagnola è quella di Succinity GmbH, la joint-venture creata nell’agosto 2013 tra Corbion Purac, la società olandese che è leader mondiale per la produzione di acido lattico e dei suoi derivati, e il gigante chimico tedesco Basf. Il suo impianto, che si trova presso il sito di Corbion Purac a Montmeló, in Catalogna, produce su scala commerciale acido succinico biobased per il mercato globale, con una capacità annua di 10.000 tonnellate.
“Abbiamo realizzato un’analisi del ciclo di vita – fa sapere la società che ha il proprio quartier generale a Düsseldorf, in Germania – che dimostra come l’impronta di carbonio dell’acido succinico biobased ‘Succinity’ sia oltre il 60% inferiore a quella dell’acido succinico a base fossile”.
Nel 2004 il Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti ha inserito l’acido succinico nella lista dei dodici migliori intermedi chimici ottenibili da biomassa. Non manca, quindi, la concorrenza sul fronte degli attori industriali: da BioAmber in Canada (Sarnia), con il supporto di Mitsui e Lanxess, a Reverdia, joint-venture tra Dsm e Roquette, in Italia (Cassano Spinola). Le sue applicazioni sono numerose: come materia prima per bioplastiche, rivestimenti, adesivi, sigillanti e prodotti per la cura personale. Inoltre, l’acido bio-succinico è impiegato anche per gli alimenti e gli aromi come acidificante e conservante a base di materie prime di origine vegetale.
Il processo industriale di “Succinity” si basa su materie prime rinnovabili, le quali, grazie al microrganismo proprietario Basfia succiniciproducens, vengono impiegate in modo flessibile, in un processo a ciclo chiuso efficiente che non genera particolari flussi di rifiuti.
Le biotecnologie industriali
Accanto alla joint-venture tra Basf e Corbion Purac, sono nate in Spagna una serie di piccole e medie imprese che hanno posto al centro della loro attività lo sviluppo di una nuova chimica innovativa basata sull’impiego delle biotecnologie e la trasformazione degli scarti agroalimentari.
Uno dei casi più significativi è quello di Neol Bio. La società andalusa guidata da Javier Velasco, che ha il proprio quartier generale a Granada, ha sviluppato un microrganismo in grado di trasformare gli scarti agricoli in nuovi bioprodotti (bioplastiche e biolubrificanti soprattutto). “Nella sola Almerìa – dicono dalla Neol Bio – l’agricoltura produce due milioni di tonnellate di scarti, per un valore di 30 milioni di euro all’anno, che possono essere riutilizzati grazie alle biotecnologie”.
Lo scorso novembre, la società biotecnologica andalusa ha siglato un accordo di collaborazione con il Laboratorio nazionale per l’energia rinnovabile, che fa capo al Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, al fine di produrre alcoli grassi da zuccheri lignocellulosici. L’obiettivo: sviluppare biocarburanti liquidi per il trasporto a costi competitivi. Nel 2015, Neol Bio si è inoltre aggiudicata due gare per la realizzazione di una bioraffineria a Puertollano (progetto ClaMber), nella regione di Castilla-La Mancha, che produrrà da differenti residui agricoli biocarburanti ad alto valore aggiunto. L’investimento totale ammonta a 20 milioni di euro, quattro/quinti dei quali messi a disposizione dal Fondo europeo di sviluppo regionale.
Secondo Asebio, l’Associazione spagnola della bioindustria, la Spagna è tra i paesi leader mondiali nel campo della biotecnologia industriale. L’Istituto nazionale di statistica (Ine) ha censito 2.831 imprese biotech con circa 173.000 addetti, di cui 9.135 impegnati in attività di ricerca e sviluppo.
Tra queste c’è la Alkol Biotech, una società di ingegneria genetica focalizzata sullo sviluppo di nuove varietà vegetali adattate alle esigenze dei mercati della bioindustria. “La nostra ricerca è rivolta a nuove colture come materia prima per la produzione di biocarburanti, bioplastiche e altri bioprodotti”, afferma Al Costa, amministratore delegato dell’impresa spagnola. “Puntiamo a migliorare le colture per consentire la produzione sostenibile di qualsiasi prodotto a base biologica.” La nuova varietà di canna da zucchero è la EUnergyCane, un ibrido che viene fatto crescere nei campi di Motril, in Andalusia, e garantisce una più forte resistenza ai virus e ai parassiti, più elevati rendimenti a livello di zucchero e fibra, maggiore resistenza agli agenti chimici. La società guidata da Costa punta a creare una varietà di canna da zucchero in grado di crescere anche nei climi più freddi e secchi.
I biocarburanti Repsol
Anche il colosso spagnolo del petrolio e del gas naturale Repsol, una delle dieci maggiori società petrolifere al mondo, ha messo i biocarburanti al centro del proprio piano di sviluppo di energia sostenibile. Nel 2010 – ultimo dato disponibile fornito dalla società quotata alla borsa di Madrid – sono state 1,2 milioni le tonnellate di biodiesel commercializzate e 273.000 le tonnellate di bioetanolo. “Selezioniamo – dicono alla Repsol – i biocarburanti più adatti al mercato e li aggiungiamo alla benzina e al diesel nelle più alte proporzioni consentite dalla legislazione di ciascun paese”.
Per dare impulso al nuovo business delle energie rinnovabili, nel 2010 è stato prima creato il ramo d’azienda Nuove energie, che ha permesso alla società spagnola di lanciare i biocarburanti di seconda generazione. In seguito, la newco Kuosol, una joint-venture paritaria con il gruppo messicano Kuo su cui sono stati investiti un totale di 80 milioni di dollari, per lo sviluppo di bioenergie dalla coltivazione della Jatropha curcas, una pianta oleaginosa con un alto contenuto di olio e non commestibile coltivata su 10.000 ettari di terreno nello Yucatan.
I nuovi biocarburanti avanzati, sviluppati nel Technology Center di Repsol, sono testati industrialmente nelle raffinerie spagnole di Puertollano e Cartagena. Il processo consente anche di sviluppare un co-prodotto, il biopropano, che è un gas con caratteristiche identiche al propano, ma al 100% rinnovabile.
Uno dei primi utilizzi dei biocarburanti di seconda generazione prodotti da Repsol si è avuto nel volo Madrid-Barcellona operato da un Airbus A320 di Iberia nel 2011, dove è stato impiegato un prodotto miscelato con carburante Jet A1 convenzionale e un biocarburante derivato dalla camelina, che avrebbe consentito una riduzione del 20% delle emissioni di gas serra.
Allo studio di Repsol si trova anche l’impiego di alghe come materia prima per la produzione di biocarburanti. Un progetto che ha portato a una partecipazione del 20% in Alga Energy, un’impresa leader nel campo della ricerca sulle microalghe, che vanta come proprio azionista anche Iberdrola, la maggiore società produttrice di elettricità e gas naturale in Spagna, e che lo scorso novembre è stata selezionata dalla Commissione europea tra le sei pmi del continente con il più alto potenziale di crescita. Alga Energy gestisce un impianto produttivo di biocarburante da microalghe, con una capacità di un milione di litri all’anno, ad Arcos de la Frontera, vicino a Cadice. Lo stabilimento, che fa parte del programma CO2Algaefix co-finanziato dalla Commissione europea, copre un’area di 10.000 metri quadrati e punta a una produzione annua di 100 tonnellate di biomassa secca.
Un secondo impianto della società, che coinvolge anche l’agenzia spagnola per il trasporto aereo (Aena) e la compagnia aerea Iberia, sorge vicino all’aeroporto Barajas di Madrid. Anche qui vengono prodotti biocarburanti mediante l’utilizzo di particolari microalghe con grandi capacità fotosintetiche e ricche di acidi grassi (caratteristiche che consentirebbero un impiego ridotto di acqua e di terreno per la produzione dei vegetali), che sono sperimentati sui voli della compagnia aerea spagnola. Oltre alla produzione di biocarburanti, nel sito si provano, allo scopo di migliorarle, tutte le tecnologie finora utilizzate per catturare la CO2 prodotta dagli aeroporti.
Le microalghe
Le microalghe sono il primo anello nella catena alimentare acquatica. Senza la loro presenza non ci sarebbe la vita. Oltre a fornirci ossigeno attraverso la fotosintesi oggi possono anche aiutarci ad affrontare molte delle sfide legate al cambiamento climatico e all’aumento della popolazione mondiale. Data la loro composizione ricca di proteine, carboidrati e lipidi, le microalghe sono la fonte di molti prodotti benefici in una vasta gamma di settori, quali l’alimentazione umana, i mangimi, l’agricoltura, l’acquacoltura e la cosmetica. Non solo: la comunità scientifica internazionale concorda sul fatto che, nel breve futuro, le microalghe saranno competitive per generare energia pulita e biocarburanti di seconda generazione, contribuendo così a uno sviluppo sostenibile in termini ambientali ed economici. Questo perché:
- sono una risorsa naturale inesauribile molto produttiva;
- consentono una raccolta giornaliera;
- non hanno bisogno di terre fertili e non sono in competizione con l’alimentazione umana;
- crescono in acque marine, dolci, salmastre e nelle acque reflue;
- consentono un maggiore abbattimento di CO2 (fino a 2 chilogrammi per ogni chilogrammo di biomassa prodotta).
Il ruolo della società
Per un paese dove il tasso di disoccupazione si è assestato al 18,4% alla fine del 2016 (dati Eurostat), la bioeconomia rappresenta una grande opportunità per conciliare crescita economica, creazione di posti di lavoro qualificati e sostenibilità ambientale. Per realizzarne completamente tutto il potenziale, il governo spagnolo vuole ottenere il pieno sostegno dell’opinione pubblica. Per questo motivo la strategia assegna un ruolo fondamentale alla corretta informazione e alla formazione.
“La società – si legge – deve identificare e comprendere il valore aggiunto generato dallo sviluppo di questa strategia per la nostra economia, con un impegno chiaro a impiegare le nostre aree agricole utili per fornire cibo per il consumo umano e animale, accompagnato dallo sviluppo di altre catene di valore basate sull’uso di tecnologie per trasformare la materia organica in bioprodotti e bioenergie, assicurando che tutta la biomassa generata sia sfruttata pienamente”. Va, infine, favorita “la creazione di un mercato della bioeconomia, attraverso un supporto alla domanda di bioprodotti, che passa soprattutto – secondo quanto previsto dal piano d’azione – da una politica di appalti pubblici verdi, con i relativi sistemi di etichettatura e standardizzazione”.
Garante del coordinamento di tutte le azioni necessarie a implementare la strategia nazionale è un Gruppo di monitoraggio creato dal Consiglio per la politica scientifica, tecnologica e dell’innovazione interministeriale, che raggruppa rappresentanti dei ministeri coinvolti, dei settori produttivi, della comunità scientifica e della società civile. La bioeconomia è davvero un’opportunità che la Spagna non vuole perdere.
The Spanish Bioeconomy – 2030 Horizon, tinyurl.com/hwq5ebe
Succinity GmbH, www.succinity.com
Alga Energy, www.algaenergy.es/en
Intervista a Jose Manuel Gonzalez, Centro per lo sviluppo tecnologico industriale (Cdti) del ministero spagnolo per l’Economia, l’Industria e la Competitività
di M. B.
Fatta la strategia, ora bisogna fare un mercato per la bioeconomia
La strategia spagnola sulla bioeconomia ha la propria cabina di regia nel ministero per l’Economia, l’Industria e la Competitività, in particolare nella Segreteria di Stato per la Ricerca, lo Sviluppo e l’Innovazione. Una delle persone che siede in questa cabina di regia è Jose Manuel Gonzalez, del Centro per lo sviluppo tecnologico industriale, che è anche il rappresentante spagnolo per la bioeconomia in Horizon 2020 e nella Biobased Industries Joint Undertaking. “Materia Rinnovabile” lo ha intervistato.
Quale elemento caratterizza maggiormente la bioeconomia spagnola?
“Sicuramente il ruolo strategico che gioca il settore agroalimentare, che rappresenta più del 5,3% del Pil, il 7% degli occupati, più di 900.000 aziende agricole, 30.000 imprese e quasi il 20% delle esportazioni nel nostro paese. Ma non solo: il settore è caratterizzato da un alto tasso d’innovazione, che si basa su un’ottima ricerca di base e applicata. Questo è testimoniato anche dagli ottimi risultati conseguiti dai progetti spagnoli che applicano ai bandi europei.”
L’agroalimentare è la spina dorsale. Che ruolo gioca invece la chimica biobased?
“Anche il settore chimico in Spagna è fortemente connesso all’agroalimentare. Una delle imprese principali è Fertiberia, che è leader spagnolo nel campo dei fertilizzanti e uno dei principali a livello europeo. Ma ci sono molte altre imprese che meritano la nostra attenzione. Il suo ruolo nella bioeconomia si articola su piani diversi: contribuisce ad accrescere l’efficienza della produzione agricola e sviluppa nuovi innovativi biofertilizzanti riducendo in questo modo l’impiego delle materie prime fossili. In Spagna, l’intera industria chimica è fortemente impegnata nella ricerca di vie alternative al petrolio, che possano portare sul mercato prodotti biobased sostenibili da tutti i punti di vista. In questo quadro si colloca anche la scelta operata dalla Commissione europea dell’Andalusia come una delle sei model demostrations regions per guidare il cammino verso una produzione chimica sostenibile in Europa (le altre sono Groningen-Drenthe, Paesi Bassi, Kosice, Slovacchia, Scozia, Irlanda Sud-orientale e Vallonia, Belgio, ndr).”
Anche la Repsol è impegnata nello sviluppo di biocarburanti...
“Sì, certamente. In Spagna c’è una significativa produzione di biodiesel da parte di Repsol e un’avanzata attività di ricerca nel campo dei biocarburanti con l’utilizzo delle alghe (macro e micro). Può diventare molto competitiva in questo campo. Mi sembra però, anche a livello europeo, che ultimamente ci sia stato un po’ di rallentamento, dovuto senz’altro anche al basso prezzo del petrolio che non favorisce la ricerca di alternative.”
Anche la situazione difficile di Abengoa Bioenergy non facilita. Cosa ne pensa?
“Penso che il fallimento di Abengoa Bioenergy sia davvero un peccato. La società aveva una consolidata leadership a livello internazionale, fondata su tecnologie d’avanguardia. Queste ultime, in ogni caso, restano. La loro esperienza nel processare differenti tipi di biomassa è impressionante. Credo che un nuovo impulso potrebbe essere dato al settore dall’impiego dei rifiuti solidi urbani come materia prima.”
La strategia spagnola fa esplicito riferimento alla necessità di introdurre misure di supporto dal lato della domanda. È allo studio l’introduzione di un sistema di appalti pubblici verdi?
“La necessità di favorire l’arrivo al mercato dei prodotti biobased è alla base del confronto che si è aperto nell’ambito del gruppo di lavoro attivato dal ministero dell’Economia, dell’Industria e della Competitività. È fondamentale far comprendere alla società cosa è esattamente la bioeconomia, per creare maggiore consapevolezza. Così come coinvolgere il settore privato, la comunità universitaria e della ricerca, perché per sviluppare questo meta-settore sono necessari anche nuovi profili di laureati, nuovi percorsi formativi, in linea con le esigenze del settore privato. Alcune università molto note hanno già creato un piano di studi focalizzato sulla bioeconomia. E a breve potrebbero anche avviare un master in bioeconomia.
Sono temi questi che sono stati al centro della prima riunione del Consiglio direttivo della bioeconomia che si è tenuta il 28 febbraio a Madrid, dove è stato discusso il piano d’azione per il 2017 insieme alla costituzione dell’Osservatorio sulla bioeconomia.
Al fine di accelerare l’ingresso nel mercato dei bioprodotti, saranno considerati alcuni strumenti come gli appalti pubblici verdi, accompagnati da un sistema di standardizzazione e di etichettatura.”
Chi farà parte dell’Osservatorio?
“Tutti gli stakeholder della bioeconomia: le imprese, il mondo della ricerca, il ministero dell’Economia, dell’Industria e della Competitività (la Segreteria di Stato per la Ricerca, lo Sviluppo e l’Innovazione), il ministero dell’Agricoltura, dell’Alimentazione e dell’Ambiente, il ministero per l’Energia, il Turismo e l’Agenda digitale e anche le Regioni. Queste ultime hanno una parte essenziale nell’implementazione della strategia nazionale sulla bioeconomia. Come ministero abbiamo chiesto alle 17 Regioni autonome di elaborare strategie specifiche sulla bioeconomia. Andalusia, Estremadura, Castilla-La Mancha e Valencia lo stanno già facendo. Mentre 16 hanno inserito il settore agroalimentare nelle loro strategie di specializzazione intelligente. È un ottimo punto di partenza. Anche i rappresentanti delle differenti associazioni saranno inclusi (consumatori, agricoltori, ambientalisti e settore finanziario).”
Che spazio ha il Mediterraneo nella bioeconomia spagnola?
“In uno scenario di scarsità d’acqua, vi è la necessità di sviluppare l’economia circolare e di rafforzare il ruolo che le risorse biologiche devono giocare in essa. Per la regione mediterranea è essenziale assicurare la produzione e lo sfruttamento sostenibile delle risorse biologiche all’interno delle varie catene del valore che compongono la bioeconomia; l’agricoltura e la produzione alimentare, compresa la produzione di bestiame, la silvicoltura e l’economia blu, i bioprodotti e la bioenergia. La sostenibilità deve essere considerata nel suo insieme (persone, redditività e il pianeta). A causa del quadro limitato delle acque in questa regione, la valorizzazione di rifiuti provenienti da fonti diverse deve contribuire a sistemi di produzione più efficienti e sostenibili e a generare nuovi posti di lavoro, alla crescita e alla competitività dei settori della bioeconomia.
La bioeconomia spagnola si concentra principalmente sull’agroalimentare ma anche sulla pesca, l’acquacoltura e la ricerca marina. La ricerca nel campo delle alghe e in generale sulla biomassa marina ha un ruolo strategico per il presente e il futuro della bioeconomia nel nostro paese. Ma anche in tutta l’area mediterranea, per ripristinare la giusta centralità del Sud Europa.”
Cdti – Centro para el Desarrollo Tecnológico Industrial, www.cdti.es
Intervista a Isabel Garcia Carneros, direttrice operativa Asebio
di M. B.
La via spagnola al biotech
Asebio è l’associazione spagnola delle imprese biotech. Rappresenta società attive in tutti i campi applicativi delle biotecnologie. “Materia Rinnovabile” ha intervistato Isabel Garcia Carneros, che ne è la direttrice operativa, per comprendere quale ruolo giocano le biotecnologie industriali nella crescita della bioeconomia.
Qual è lo stato dell’arte delle biotecnologie industriali in Spagna?
“Le prime iniziative spagnole per promuovere e incoraggiare la bioeconomia, insieme alla presenza di un settore bioindustriale sviluppato, di opportunità di mercato già esistenti e di un avanzato sistema di cooperazione, hanno creato l’ambiente ottimale per il prosperare della nostra industria. Il progresso nel campo delle bioraffinerie, la ricerca nei nuovi processi di produzione e i miglioramenti nella catena di valore ci hanno permesso di acquisire la conoscenza necessaria per conseguire rapidi avanzamenti, creare nuove tecnologie per l’utilizzo della biomassa e generare nuove nicchie di mercato.
A livello nazionale, diversi organismi pubblici si sono allineati alle politiche e alle strategie europee. Si sta quindi creando un contesto politico propizio alla creazione di bioraffinerie e all’implementazione della bioeconomia in Spagna. Per esempio, il segretariato di stato per Ricerca, sviluppo e innovazione, che dipende dal ministero dell’Economia e competitività, con la partecipazione dei settori industriale, accademico e scientifico, ha pubblicato la strategia spagnola per la bioeconomia, pensata per potenziare l’attività economica migliorando la competitività e la sostenibilità nel settore della produzione, promuovendo e incoraggiando lo sviluppo e l’applicazione pratica delle tecnologie nate dalle collaborazioni tra il sistema scientifico-tecnologico e le aziende private spagnole. Al cuore della strategia spagnola ci sono l’agricoltura, il settore marino, le industrie forestale e alimentare e l’uso efficiente e sostenibile dei loro prodotti, sottoprodotti e scarti, per trasformarli in una nuova linea di bioprodotti, incluse le bioenergie, per i quali le biotecnologie industriali sono essenziali.
Va anche segnalato che la Commissione europea (DG Growth) ha selezionato il progetto presentato dall’Andalusia per trasformare la regione in un modello per la ricerca e lo sviluppo nell’ambito dell’economia circolare e dei sistemi per la simbiosi industriale. L’obiettivo di tutto questo è rendere più efficiente e sostenibile l’uso delle risorse e delle materie prime disponibili, come le biomasse, e la gestione degli scarti.”
Qual è il ruolo delle biotecnologie industriali nello sviluppo della bioeconomia spagnola?
“Le biotecnologie rappresentano una grande opportunità per risolvere le attuali sfide globali che la comunità internazionale si trova di fronte, offrendo potenzialmente soluzioni alla crescente domanda di cibo, di mangimi animali, di carburanti e altri materiali. Le biotecnologie industriali ci consentono di sviluppare soluzioni molto più redditizie per un gran numero di prodotti, riducendo nel contempo l’impatto ecologico. Sfruttando questo passo avanti nelle tecnologie, possono essere creati nuovi prodotti e processi di produzione, trasformando i cosiddetti materiali o prodotti ‘alternativi’ in soluzioni economicamente ed ecologicamente efficienti per una vasta serie di applicazioni quotidiane, creando più competitività e ampliando il mercato. Questo aiuta le aziende a sviluppare e commercializzare prodotti e processi che possiedono un intrinseco valore innovativo, che è altamente rilevante quando devono misurarsi con i competitori tradizionali.
Così, questi strumenti contribuiscono a contenere l’impatto ambientale dei processi produttivi senza ridurne l’efficienza, le prestazioni o la redditività. Il crescente impiego di biotecnologie industriali da parte di aziende tradizionali permette l’inclusione e l’applicazione delle tecnologie in settori maturi, migliorandone l’efficienza e la sostenibilità.”
Quali sono i punti forti e quelli deboli dell’industria biotech spagnola?
“La Spagna possiede un nutrito network di università e notissimi centri di eccellenza specializzati in diverse aree di grande importanza per le bioraffinerie, come la chimica, il settore dell’energia e quello delle biomasse; e anche una notevole infrastruttura industriale cresciuta esponenzialmente negli ultimi 10 anni. Il triangolo formato da scienza, tecnologia e settore privato rappresenta un grande bacino di conoscenza con una lunga tradizione di cooperazione, caratteristica che favorisce il successo nello sviluppo di un sistema globalmente integrato. Inoltre, un crescente numero di imprese biotech innovative spagnole sono entrate con successo nel mercato globale, facendo aumentare l’interesse internazionale per la nostra industria delle biotecnologie.
Nonostante in termini di ricerca e di sviluppo accademico la qualità sia alta, la quantità di questa conoscenza che viene trasformata in prodotti industriali presenti sui mercati è insufficiente. È quindi importante promuovere la creazione di istituti e aziende produttrici di tecnologia che utilizzino questa conoscenza, trasformandola in un bene industriale concreto. L’amministrazione pubblica deve anche sostenere le aziende incoraggiandole a innovare. L’accesso ai capitali di rischio e ai mercati finanziari, come anche un forte supporto governativo alle politiche di ricerca e sviluppo, sono garanzie fondamentali quando si investe nella bioindustria.”
In che modo viene supportata l’innovazione nel biotech in Spagna?
“Come istituzione pubblica, il Centro per lo sviluppo delle tecnologie industriali (Cdti) dà un contributo fondamentale allo sviluppo della tecnologia in Spagna finanziando progetti di ricerca con fondi pubblici e anche privati, dedicati alle biotecnologie.
È già possibile vedere riferimenti al sostegno istituzionale alla bioeconomia. Il ministero dell’Agricoltura, della Pesca, dell’Alimentazione e dell’Ambiente (Mapama) supporta esplicitamente le bioraffinerie attraverso il suo programma nazionale per l’innovazione e la ricerca agroalimentare e forestale, il programma nazionale per lo sviluppo rurale dal 2014 al 2020 e la strategia spagnola per la bioeconomia. Questi programmi promuovono l’utilizzo ottimale della biomassa presente in Spagna, fornendo una soluzione alle sfide tecnologiche del futuro prossimo.
In aggiunta, il ministero dell’Economia e della Competitività ha varato una serie di meccanismi di supporto a ricerca e sviluppo, per stimolare queste industrie (la strategia spagnola per scienza e tecnologia e innovazione e il piano nazionale per la ricerca e l’innovazione scientifica e tecnica). Anche il ministero dell’Industria, Energia e Turismo (Minetur) ha adottato gli obiettivi stabiliti dalla direttiva Ue sulle energie rinnovabili (28/2009/CE) nel suo piano di azione nazionale per le energie rinnovabili (Panero) per il periodo 2011-2020.
Il documento elenca gli obiettivi che la Spagna deve raggiungere entro il 2020: il 20% dell’ammontare totale dell’energia utilizzata dovrà provenire da una fonte rinnovabile – e il 10% nel caso dei trasporti. Il ministero ha anche posto la re-industrializzazione della Spagna come obiettivo fondamentale, impegnandosi a sviluppare industrie che operino a stretto contatto con le bioraffinerie. Inoltre, dobbiamo sfruttare il grande interesse dimostrato da varie regioni della Spagna nel rivalorizzare le loro biomasse e impiantare bioindustrie, portando vantaggi sociali, economici ed ecologici a queste aree.”
Quali sono i principali cluster per le biotecnologie industriali e la chimica verde?
“Come accade per l’Andalusia, ci sono altri portatori di interesse in tutta la Spagna che lavorano su progetti di ricerca in questo campo, tra cui iniziative del settore privato, organizzate con il supporto della pubblica amministrazione, come succede per il progetto Clamber (Castilla-La-Mancha Bio-Economy Region), che è attualmente in corso. Questo progetto intende gettare le fondamenta affinché la regione diventi leader nel campo delle ricerche sulla gestione delle biomasse nell’Europa meridionale. Il progetto comprendeva lo sviluppo di iniziative di ricerca innovative per trasformare gli scarti agricoli in prodotti a valore aggiunto e anche la costruzione di una versatile raffineria pilota modulare.”
Esiste un problema di disponibilità di biomassa in Spagna?
“La Spagna ha un grande potenziale in fatto di biomassa. Questo contribuisce a creare solide fondamenta per lo sviluppo di bioraffinerie, dato che la biomassa è la materia prima dalla quale si ricavano energia, prodotti chimici e altre sostanze. Disponiamo di una grande quantità di biomassa, che aumenta di anno in anno, anche se è sottoutilizzata. Inoltre la Spagna presenta le condizioni ottimali, grazie alla posizione geografica e al suo clima, per produrre certi tipi di biomassa. Si sta anche lavorando per facilitare l’utilizzo di terreni attualmente incolti e improduttivi, infondendo così energia nelle aree industriali e rurali.
Secondo il rapporto tecnico intitolato ‘Valutazione del potenziale di energia dalla biomassa’, realizzato dall’Istituto spagnolo per la diversificazione e il risparmio dell’energia (Idae, ‘Evaluacion del potencial de energia de la biomasa’), la Spagna ha il potenziale per produrre quasi 40 milioni di tonnellate di biomassa agricola all’anno, delle quali 17,7 milioni arriverebbero dalle colture dedicate alla biomassa e 21,6 milioni dal settore della lavorazione del legno. Lo studio suggerisce anche la rivalorizzazione la biomassa costituita dagli scarti agroalimentari come pure di quella proveniente dalle colture dedicate alla produzione di energia.
Un altro rapporto interno dell’Idae ha mostrato che sarebbe possibile (da un punto di vista agronomico) dedicare il 50% del terreno attualmente incolto – circa due milioni di ettari – a colture destinate alla produzione di energia. La maggior parte delle terre incolte è costituita da terreni non irrigati attualmente inutilizzati, il che significa che, una volta messi in uso, non si avrebbe un impatto negativo sulla produzione di cibo. Infine, è importante sottolineare l’importanza dell’agricoltura: è responsabile del 79% della produzione di biogas agroindustriale e del 67% del totale del di biogas potenzialmente disponibile in Spagna.”
Ci sono piani per l’utilizzo della biomassa marina?
“Attualmente, nel campo della biomassa marina (principalmente delle macroalghe) si è focalizzati sul continuare la ricerca di bioprodotti e carburanti competitivi. Sebbene non ci siano veri piani ‘istituzionali’ del genere, la comunità scientifica e vari gruppi di ricerca, in particolare nel nord della Spagna, sono molto attivi in questo campo.”
Asebio – Asociación española de bioempresas, www.asebio.com/en/index.cfm
Idae – Instituto para la diversificación y ahorro de la energía, www.idae.es
Intervista a Javier Velasco Álvarez, amministratore delegato di Neol Bio
di M. B.
La bioeconomia nel vocabolario della politica
Javier Velasco Álvarez è amministratore delegato di Neol Bio, una delle più dinamiche aziende spagnole di biotecnologie industriali. È anche coordinatore del Gruppo di lavoro sulle biotecnologie industriali di Asebio, l’Associazione spagnola della bioindustria. In questa intervista esclusiva con “Materia Rinnovabile” ci parla della bioeconomia in Spagna: i suoi punti di forza e le sue debolezze, il ruolo della società e le misure necessarie alla sua crescita.
Quali sono i punti di forza e le debolezze della bioeconomia spagnola?
“La Spagna ha un forte settore agroalimentare e una grande disponibilità di spazi geografici che possono e devono trarre il meglio dai benefici offerti dalla bioeconomia, promuovendoli al massimo. L’attività agricola è però condizionata dalla disponibilità idrica, che è in diminuzione, e dalla necessità di una gestione sostenibile basata sulla scienza e sulla tecnologia. Ne risultano dei settori produttivi già consolidati, accanto ad altri che stanno ancora emergendo e sono in fase di sviluppo. Inoltre, la Spagna ha capacità significative di creare un importante know-how nella bioeconomia nei suoi centri di ricerca pubblici e nelle università, in collaborazione con le imprese attive in questo campo, che stanno sviluppando tecnologie molto interessanti. Come penso valga anche per altri paesi europei, esiste, però, ancora qualche disallineamento tra il settore pubblico della ricerca e sviluppo e gli interessi delle imprese private.
Detto ciò, ritengo che la principale debolezza della bioeconomia spagnola sia la mancanza di grandi aziende chimiche che potrebbero agire da traino e diventare gli utilizzatori finali dei bioprodotti creati. Questo problema si è aggravato con i problemi finanziari di cui Abengoa ha sofferto ultimamente.”
In che modo il fallimento di Abengoa Bioenergy ha influenzato lo sviluppo della bioeconomia in Spagna?
“Naturalmente i problemi che hanno colpito Abengoa Bioenergy hanno avuto effetti negativi sulla bioeconomia in Spagna, perché questa impresa è stata una forza trainante del settore e ha fatto da guida a molti progetti industriali e di ricerca e sviluppo (Babilafuente, Hugoton ecc.). Io, però, sono geneticamente ottimista e, come nel caso dell’energia, credo che i bioprogetti ‘non possono essere né creati né distrutti; piuttosto si trasformano da una forma all’altra’. Ho fiducia che le tecnologie e, ancora più importante, le persone che ne sono artefici, troveranno altri finanziamenti e ricominceranno, arricchite dalla lezione appresa.”
Quali sono gli altri principali attori della bioeconomia spagnola?
“Direi che le imprese leader della bioeconomia in Spagna sono quelle di biotecnologie industriali come Biopolis, Inkemia, AlgaEnergy e, naturalmente, la mia azienda Neol Bio. Alcune grandi imprese, come Fertiberia nel settore chimico e dei fertilizzanti ed Ence (energia, pasta e carta), sono anche molto attive nell’ambito della ricerca e sviluppo e nei progetti industriali. Le grandi aziende petrolifere ed energetiche (Repsol, Cepsa, Endesa ecc.) hanno preso parte a progetti di ricerca e sviluppo, ma secondo me dovrebbero svolgere un ruolo più attivo.”
Può spiegarci in che settori opera la sua azienda?
“L’obiettivo di Neol Bio è lo sviluppo di bioprocessi da residui di materie grezze, in particolare per la produzione di oli microbici e oleochimici. Abbiamo messo a punto diversi bioprocessi per la conversione microbica degli scarti agricoli e industriali in prodotti dal valore aggiunto. Alcune di queste tecnologie sono state sviluppate per industrie nostre clienti, mentre altre sono state create utilizzando risorse interne e adesso costituiscono parte della proprietà industriale dell’azienda come brevetti e know-how.
La tecnologia più rilevante sviluppata da Neol Bio è MicroBiOil®, una piattaforma per la produzione di oli a valore aggiunto e oleochimica di derivazione microbica da risorse rinnovabili.
Nel campo degli ingredienti alimentari abbiamo sviluppato un bioprocesso per ottenere oli ricchi di Dha attraverso la coltura di microalghe selezionate dall’ecosistema della penisola iberica.”
La strategia nazionale è stata presentata l’anno scorso. A che punto è la sua implementazione?
“Sì, la ‘Strategia spagnola per la bioeconomia Orizzonte 2030’ è stata presentata l’anno scorso e, anche se abbiamo alcune incertezze dovute alla situazione politica, è stato predisposto un primo piano d’azione. Il miglior risultato è che la bioeconomia sia già entrata a far parte del vocabolario di diversi ministeri e autorità regionali e che esista la volontà di comprendere quale sia la percezione di questo tema da parte della società, così come di favorire lo scambio di opinioni tra i rappresentanti dei settori produttivi, i consumatori, gli opinionisti, le ong ecc.
La strategia attribuisce un importante ruolo alla società. Qual è la percezione della bioeconomia nell’opinione pubblica spagnola?
“Lo sviluppo di una strategia di comunicazione con tutti gli attori sociali ed economici è un elemento essenziale per ottenere progresso tecnologico e applicarlo alla realtà produttiva, e dovrebbe costituire una priorità nello sviluppo della strategia per la bioeconomia.
Stando ad alcuni recenti studi sulla percezione pubblica, la maggior parte degli intervistati condivide una visione ottimistica dei benefici potenziali della bioeconomia, i più importanti dei quali sono considerati la riduzione di rifiuti e dell’inquinamento. Molti intervistati concordano però sull’esistenza di alcuni importanti rischi che devono essere tenuti a mente nel corso dello sviluppo della bioeconomia: per esempio il rischio di sovrasfruttamento delle risorse naturali e la sicurezza alimentare, sia nei paesi dell’Unione europea sia in paesi terzi.
La società spagnola nel suo insieme deve essere messa al corrente degli obiettivi e dei princìpi dell’economia basata sull’utilizzo di risorse di origine biologica, del suo impatto favorevole sull’ambiente, con la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili una volta che le tecnologie avranno ottenuto la giusta valutazione. I cittadini vanno anche informati sulla gamma di nuovi prodotti che arriverà gradualmente sui nostri mercati e sarà disponibile ai consumatori.”
Quali misure sono presenti in Spagna a sostegno della bioeconomia? E quali pensa debbano essere attuate nel breve termine?
“Per raggiungere gli obiettivi operativi, saranno intraprese azioni in cinque aree specifiche: 1) creazione di innovazione attraverso la conoscenza e la sua applicazione pratica in contesti di impresa; 2) promozione dell’interazione tra i diversi attori coinvolti nella bioeconomia; 3) sviluppo del mercato per i prodotti esistenti o i nuovi prodotti che derivano dal contesto dei bioprocessi; 4) incremento della domanda attraverso l’analisi delle procedure per gli acquisti della pubblica amministrazione e, infine, 5) diffusione della conoscenza della bioeconomia attraverso la cooperazione e la comunicazione dei successi ottenuti.
Per promuovere la ricerca nel pubblico e nel privato e favorire gli investimenti per l’innovazione da parte delle imprese nell’area dei progetti di ricerca per la bioeconomia, un obiettivo importante consiste nell’analizzare i modelli di collaborazione di successo fra pubblico e privato volti alla creazione di innovazione imprenditoriale (per esempio Bioaster, Novo Nordisk, Wageningen), proponendo misure simili da applicare anche in Spagna.”
Neol Bio, neolbio.com/en