Su Twitter il profilo @MRinnovabile è arrivato a quota mille e viaggia al ritmo di 2 nuovi followers al giorno: su un campione di 100 tweet, nel periodo 10-17 dicembre 2015, gli account potenzialmente raggiunti (direttamente dall’attività dell’account o indirettamente grazie all’interazione di altri profili) sono stati oltre 80.000.
E contemporaneamente sono arrivati segnali importanti di cambiamento. L’Unione europea, sia pure dopo un primo stop e un ridimensionamento delle norme, ha varato il pacchetto sull’economia circolare di cui diamo ampio conto in questo numero. Poi c’è stata la Conferenza di Parigi del dicembre scorso. Alcuni, adottando un punto di vista rigorosamente scientifico, l’hanno bocciata perché le conclusioni non contengono le misure necessarie a metterci al riparo dalla minaccia climatica. Io credo che un simile giudizio non colga il punto essenziale: il summit Onu non era un incontro scientifico perché, da questo punto di vista, l’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change) aveva già tracciato a più riprese un esauriente quadro della situazione; si trattava di trovare un accordo politico. E per trovare un accordo politico attorno ai temi che muovono i mercati bisognava raggiungere un’intesa economica.
Le premesse di questa intesa sono state trovate grazie a una mediazione su scala globale. L’accordo è stato raggiunto sui contenuti difesi dall’Unione europea e dagli ambientalisti (mantenere il riscaldamento ben sotto i 2 gradi di aumento e fare ogni sforzo per non superare la soglia di 1,5 gradi rispetto all’epoca preindustriale); con le modalità care agli Stati Uniti (niente regole dall’alto, solo le leggi della domanda e dell’offerta); con i tempi voluti dalla Cina (quando Pechino aveva già cominciato a considerare molto pericolosa la pressione dell’inquinamento sul suo territorio e aveva maturato una leadership produttiva nel settore delle fonti rinnovabili).
I risultati di questo sforzo sono ancora insufficienti ma non trascurabili. Per la prima volta hanno coinvolto 186 paesi responsabili di oltre il 95% delle emissioni serra. E hanno già portato a raggiungere metà dell’obiettivo di riduzione della CO2. Per la prima volta nella storia dell’umanità si è innescato un meccanismo di governance dei beni comuni che vede una distribuzione globale degli impegni. Certo, è una governance debole perché non si è partiti, come vorrebbe la logica, dal target da raggiungere per poi distribuire i compiti, ma si è fatto il percorso inverso: ogni paese ha assunto volontariamente un obiettivo e lo ha comunicato. Tuttavia il meccanismo si è messo in moto e c’è una ragionevole possibilità che la macchina dell’economia, una volta individuato uno scopo capace di mobilitare la pubblica opinione portando profitti e consensi, corra più veloce della politica. Ci crede anche la cordata di imprenditori guidati da Bill Gates e Mark Zuckerberg che ha deciso di mobilitare 20 miliardi di dollari per accelerare la ricerca green.
È in questo quadro che Materia Rinnovabile intende rilanciare la sfida nel 2016. Quest’anno rafforzeremo la nostra presenza attraverso nuove iniziative. Ci sarà una diffusione sempre più articolata della rivista e degli Insight, lo strumento di approfondimento che ha visto la luce alla fine del 2015. A gennaio è partito il Centro Materia Rinnovabile, nato per fornire assistenza alle imprese impegnate nella transizione green e per dimostrare che l’economia circolare è un formidabile strumento per accelerare la sinergia tra ecologia ed economia. Infine abbiamo cominciato a organizzare convegni e momenti di incontro del mondo che si riconosce nel recupero della materia come asse per il rilancio dell’economia, dell’occupazione e del sostegno dei territori interessati dai vari progetti. Sarà un anno interessante.