*da Dubai

“Fuoriuscire dalle fonti fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050 in linea con la scienza.” Questa frase, insieme al resto del documento uscito dal negoziato sul clima di Dubai, avrà una portata immensa sui sistemi industriali. Non certo un meccanismo pienamente vincolante, ma dato che è stato comunque siglato anche da numerose nazioni produttrici di petrolio, sotto la presidenza di un petroliere, va ben tenuto in considerazione.

In Italia il Governo si è concentrato sui riferimenti al nucleare per la decarbonizzazione, al ruolo dei biofuel e dell’idrogeno a basse emissioni come carburanti a basse emissioni. “L'accordo ‒ spiega il ministro del MASE, Pichetto Fratin ‒ sancisce la necessità di profonde e rapide riduzioni delle emissioni di gas serra, in un quadro di contestuale forte affermazione delle rinnovabili. Tra i tanti risultati apprezzabili vi è il riconoscimento di un ruolo chiave per il nucleare e l'idrogeno.” E aggiunge "di particolare importanza anche l'evidenza che si è data alla necessità di ridurre le emissioni nei trasporti, con veicoli a zero e basse emissioni, nei quali rientrano anche i biocarburanti, grazie alla riconosciuta mediazione italiana nel coordinamento europeo". 

Il tema che però nessuno affronta è quale impatto questo avrà sull’oil&gas, dando per scontato che entro fine 2025 chiuderanno le centrali a carbone italiane. Un punto di vista arriva dall’Inviato speciale per il Clima, Francesco Corvaro: “C’è una prima indicazione che segna quello che ha detto Kerry due sere fa: l’era della pietra non è finita perché è terminata la pietra”. Un avviso quanto meno a prestare attenzione.

Il settore petrolifero

Una delle prime voci del settore petrolifero a commentare l’approvazione del Global Stocktake è stata quella di Michele Marsiglia. Il presidente di Federpetroli ha dichiarato a Materia Rinnovabile: “Siamo piuttosto scettici perché, dopo la dichiarazione ufficiosa del Presidente della COP28 qualche giorno fa contro lo stop alle fonti fossili, è stata partorita questa decisione forzata che ha avuto comunque un lungo travaglio, non proprio in discesa. Oggi il mercato del fossile riguarda comunque l’80-85% del fabbisogno mondiale dei nostri consumi. Fino al 2050 vedremo di adeguarci, però penso che ancora il mondo dovrà vivere sia di petrolio che di gas che di idrocarburi.”

Per il portavoce di ENI “la Cop28 è stata gestita con grande pragmatismo. Il forte impegno sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica è cruciale, e per la prima volta l’accordo finale esprime la necessità di bilanciare i target sull’abbattimento delle emissioni con le esigenze di sicurezza energetica, accesso all’energia e sviluppo competitivo. Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo hanno condiviso così la complessità delle sfide poste dalla transizione energetica e hanno rinunciato all’enfasi sui propri legittimi interessi. Questo è il grande risultato”.

Nessun commento però sull’eventualità che l’accordo abbia influenza su progetti e piani strategici futuri. Un momento di verità con cui la grande azienda di Stato dovrà confrontarsi nei prossimi anni, dove crescerà la pressione sulla transizione dalle fossili e che vedrebbe il cane a sei zampe dover rinunciare alle nuove esplorazioni non più tardi del 2030, sfruttando entro la metà del secolo i campi operativi e finanziare così la transizione alle rinnovabili, al nucleare e ai combustibili a basse emissioni.

L’automotive

“L'impegno per la riduzione delle emissioni di CO₂ sarà decisivo per la competitività della filiera automotive, in ottica di decarbonizzazione sia dei processi che dei prodotti”, ha dichiarato a Materia Rinnovabile ANFIA, Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica. “Siamo pienamente concordi con il tenore di molti punti chiave del Global Stocktake, in particolare per la previsione di un'accelerazione sugli zero e low-carbon fuels, che abbiamo sempre ritenuto essere la strada da percorrere per il phase out dei carburanti fossili, e per l’impegno specifico sui trasporti, in riferimento ai quali si parla di ‘a range of pathways’, inclusa, ovviamente, la diffusione dei veicoli a zero e basse emissioni e delle loro infrastrutture.”

“Il testo chiaramente parla di fuoriuscita dalle fonti fossili a cominciare da questa decade”, ci spiega Luca Bergamaschi del think tank ECCO. “Questo passaggio di fatto chiude la porta a nuovi investimenti in gas che non servono né per la transizione né per la sicurezza energetica, come abbiamo visto con la crisi del 2022. Tutelare i consumatori e le imprese oggi significa pianificare l'uscita dal gas già da domani. Parliamo di un testo firmato da 200 Paesi che riconoscono lo stato attuale dei mercati e della scienza.” Un’indicazione a gradualmente terminare future esplorazioni nell’upstream per ridurre anche l’esposizione di rischio, dato che i costi sarebbero poi pagati dai cittadini.

Investimenti e finanza

I mercati non hanno reagito particolarmente, triste segnale di come le decisioni ONU non abbiano una forza radicale nell’indirizzare l’andamento di Borsa, mentre invece dovrebbero riflettersi, soprattutto su quelle compagnie che non hanno iniziato una strategia di diversificazione.

Nessuna reazione on the record dal mondo finanziario. Un executive investment manager di una società finanziaria italiana ha dichiarato sotto anonimato che “sebbene non sia una decisione vincolante, l’accordo di Dubai offre un indirizzo importante per il mondo finanziario su quali sono le tecnologie con maggiore potenziale d’impatto e più economiche, in particolare le rinnovabili, i NegaWatt e il mondo e l’elettrificazione”.  Per Luca Bergamaschi “dobbiamo chiederci come meglio spendere capitali che fra 10-15 anni poi avranno un ritorno proporzionato alle aspettative del valore futuro che oggi per il gas sono molto basse”.

La scienza

L’accordo di COP28 non è stato ripudiato nemmeno dalla scienza italiana. Secondo Serena Giacomin, Presidente di Italian Climate Network e fisica, “restano due velocità, un distacco ancora molto evidente tra scienza e politica. Ma, se dal punto di vista scientifico restano insoddisfazione e preoccupazione, dal punto di vista politico la COP28 compie un passo importantissimo: la menzione esplicita approvata da quasi 200 Paesi del mondo alle fonti fossili e alla necessità impellente di un abbandono del loro utilizzo da parte di tutti. Si sancisce, così, un impegno approvato su carta alla transizione dai grandi Paesi emettitori, oltre che da quelli vulnerabili e in via di sviluppo più determinati ad agire”.

Il settore elettrico

Agostino Re Rebaudengo, Presidente Elettricità Futura è convinto che “COP28 passerà certamente alla storia. Ed è importante che l’accordo abbia anche specificato che è nei prossimi dieci anni che bisogna accelerare la fuoriuscita dalle fossili. Questo decennio è davvero quello decisivo. Secondo i dati di IRENA è tecnicamente fattibile ed economicamente sostenibile passare dagli attuali 300 GW/anno di nuove rinnovabili nel mondo a 1.000 GW/anno entro il 2030.

Che l’obiettivo sia alla nostra portata, in Italia e a livello mondiale, lo dimostra il fatto che nel mondo oltre l'80% di nuova potenza elettrica realizzata nel 2022 è stata rinnovabile (300 GW su 360 GW), perché le rinnovabili riducono i costi e assicurano le forniture. L’Italia nel 2022 ha risparmiato 25 miliardi grazie alle rinnovabili, che attualmente rappresentano ancora soltanto il 43% dell’elettricità. Portare le rinnovabili all’84% del mix elettrico significa davvero aumentare la sicurezza energetica e rafforzare l’economia nazionale”.

 

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Immagine: Hugo Saykes, Pexels