Dal flacone di deodorante vuoto ai rami secchi del giardino comunale, dalla lattina di soda accartocciata al forno a microonde dismesso. Sono i rifiuti provenienti dalle nostre case o dalle piccole imprese, quelli spazzati dalle strade o raccolti dai parchi e altre aree pubbliche in città. Li chiamiamo rifiuti urbani, e rappresentano il 27% del totale dei rifiuti generati all’interno dell’Unione Europea. Una grossa fetta di spazzatura che, a causa del complesso mix di materiali che la compongono, richiede una gestione sempre più attenta e strutturata.
Come è facile immaginare, la parte più problematica di questa grande mole di scarti è quella costituita dai cosiddetti rifiuti urbani residui, vale a dire tutto ciò che non viene riutilizzato o riciclato. Tutto quello che, in poche parole, finisce nell’inceneritore o nella discarica. Due alternative che non solo minacciano l’ambiente e la salute dell’uomo, ma che comportano l’estrazione e la creazione di nuova materia prima, bloccando la circolarità dei flussi produttivi.

Riciclo e smaltimento: i conti non tornano

Per contenere la situazione, l’attuale obiettivo dell’UE è quello di dimezzare i rifiuti destinati alla discarica o all’inceneritore e contemporaneamente alzare il tasso di riciclo al 60% entro il 2030. Obiettivi ambiziosi che secondo il Rapporto dell’Agenzia europea per l’ambiente diffuso la scorsa settimana sono sempre più lontani e difficili da raggiungere.
Il Rapporto dell’Agenzia “Reaching 2030’s residual municipal waste target – why recycling is not enough” parla chiaro. Da cinque anni la quantità di rifiuti urbani residui si è stabilizzata intorno a 113 milioni di tonnellate annue. In questo lasso di tempo le quantità di rifiuti prodotti e i tassi di riciclaggio sono cresciuti di pari passo, arrivando nel 2020 a un tasso di riciclo pari al 48%. Dimezzare i rifiuti residui significherebbe ridurne la quantità a circa 56,5 milioni di tonnellate annue rispetto alle 113 attuali. Tuttavia, anche se i paesi coinvolti centrassero l’obiettivo di riciclare il 60% di rifiuti urbani, con l’attuale andamento le tonnellate di rifiuti residui nel 2030 potrebbero comunque superare gli 80 milioni. La sfida verrebbe così persa per ben 23 milioni di tonnellate in eccesso.
Per aggiustare il tiro e provare fare quadrare i conti, il tasso medio di riciclaggio dovrebbe aumentare almeno al 72%. Considerando che molti degli Stati membri sono già in difficoltà per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2025, è però improbabile che venga raggiunto un tasso di riciclaggio così alto in soli otto anni.
Quale può essere allora la soluzione? La risposta è semplice quanto complessa da realizzare: ridurre a monte la produzione di rifiuti.

Prevenire è meglio che riciclare

Nella gerarchia di interventi per la gestione dei rifiuti la prevenzione è al primo posto. Se lo smaltimento tramite discarica o inceneritore è da considerarsi l’ultima spiaggia, la migliore delle soluzioni è evitare il più possibile la creazione di rifiuti difficili da riciclare o addirittura non riciclabili.
Prevenire questo genere di scarti non solo salvaguarderebbe le risorse e le materie prime, ma ridurrebbe anche i costi di gestione dell’intera catena. Evitando, sempre in ordine gerarchico di priorità, le operazioni di riutilizzo, di riciclaggio e le altre forme di recupero. All’equazione si aggiungono gli ovvi (e primari) benefici per l’ambiente.
Per questo la prevenzione è un obiettivo di lunga data delle politiche dell’UE, che dal 2013 vede i propri Stati membri sviluppare e aggiornare programmi in materia. Tuttavia, considerato il costante aumentare di rifiuti, nessuno di questi programmi sembra ancora avere avuto effetti diretti o misurabili su ampia scala. Per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030 e dimezzare i rifiuti residui delle città, serviranno misure di prevenzione molto più decise e ambiziose, volte per esempio al prolungamento della durata della vita dei beni di consumo e all’introduzione di nuovi vincoli.
Bisogna quindi spostare l’attenzione dal fondo al vertice della gerarchia dei rifiuti, affrontando il problema alla radice, limitando la produzione del materiale di scarto.
Per una panoramica delle disposizioni normative per la rimodulazione dei target in caso di difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi UE per i rifiuti urbani, rinviamo all’editoriale di Vincenzo Dragani, Direttore responsabile di “Reteambiente – Osservatorio di normativa ambientale”, pubblicato sulle pagine di Materia Rinnovabile.

Immagine: Taylor Rooney (Unsplash)