Nell’anno rosa di Barbie si è tornati a parlare dell’impatto ambientale dei giocattoli. Accanto alle diatribe sul patinato messaggio femminista del film di Greta Gerwig, compaiono infatti i dati sulle vendite della bambola più famosa del mondo (86 milioni di pezzi all’anno nel 2021) e, insieme, la domanda fondamentale che assilla chiunque si preoccupi della sostenibilità dell’industria dei balocchi: che fine faranno le plastiche biondine, e tutti gli altri compagni di giochi, una volta dismessi ed esiliati dalla cameretta?

Se l’economia circolare dei giocattoli è stata fino a ora affidata a episodiche iniziative private o alla buona volontà di genitori e associazioni, la spinta – europea e non solo – verso l’adozione di schemi di responsabilità estesa del produttore potrebbe finalmente portare a una svolta per il fine vita dei giocattoli. A patto, certo, di riuscire a risolvere alcune criticità peculiari di un settore particolarmente delicato ed esigente.

Perché i giocattoli non si riciclano?

L’industria dei giocattoli è oggi un vero colosso, con un valore globale stimato intorno ai 107 miliardi di dollari (dati: Statista) e un trend di crescita che non accenna a rallentare, proiettato verso i 150 miliardi di dollari nel 2028. Per di più, è uno dei pochi settori che non ha subìto flessioni a causa della pandemia, al contrario avvantaggiandosi dei bambini chiusi in casa per vendere ancora di più. Eppure viene spesso ritenuta un’industria “minore”, poco considerata quando si tratta di stabilire standard e politiche per renderne più sostenibili gli impatti ambientali.

Il fatto che non esistano leggi e regolamenti ad hoc per la sostenibilità e circolarità dei giocattoli, come invece esistono per altri settori quali il tessile o l’elettronica, non è però solo una questione di dimensioni. “Il problema è che si tratta di una categoria di prodotti troppo diversificata per poter raccogliere tutto nella stessa cesta”, ci fa notare Lars Vogt, direttore delle politiche UE per Toy Industries of Europe (TIE), che ha fra i suoi membri associazioni di categoria nazionali, aziende e multinazionali come Lego, Mattel e Hasbro.

Insomma, si va dai palloncini alle bambole, dai mattoncini al Monopoli, dagli orsacchiotti ai robot elettronici: tutti manufatti che, malgrado la grande prevalenza della plastica, sono composti da un eterogeneo mix di materiali. Il che significa che una volta dismessi, a meno che non vengano intercettati dal mercato second hand o non ricadano in un’altra categoria di prodotti (ad esempio i giochi elettronici nei RAEE), vanno a finire in discarica insieme ai rifiuti indifferenziati.

Il perché è anche una questione di convenienza economica, come spiegava in un nostro precedente articolo l’ufficio comunicazione di TerraCycle, società americana nata con il preciso obiettivo di riciclare il non (ancora) riciclabile: “Quando l’oggetto è un mix di materiali complessi, come la stragrande maggioranza dei giocattoli, le operazioni di raccolta, cernita e riciclo costano di più del valore del materiale riciclato risultante. Ecco perché i sistemi di riciclo tradizionali in Europa e nel mondo non recuperano i giocattoli”.

Per colmare questa lacuna, TerraCycle ha allora siglato una serie di partnership con alcuni leader del mercato globale dei giocattoli – come Hasbro, LOL Surprise! e Mattel – per offrire programmi di take-back e riciclo gratuiti a cui i cittadini possono iscriversi e raccogliere rifiuti per conto delle proprie comunità. In pratica, una forma di EPR volontario e organizzato dai privati.

 

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Il nodo della sicurezza

C’è poi da considerare l’aspetto della sicurezza, che per il mondo dei giocattoli diventa la questione fondamentale, assolutamente non negoziabile. “I giocattoli sono soggetti a standard di sicurezza molto rigidi – spiega Vogt a Materia Rinnovabile – Tanto per cominciare, devono essere costruiti in modo da non rompersi appena i bambini li usano e se si rompono, lo devono fare in modo innocuo, senza che spuntino parti taglienti o pericolose. Questo significa anche che certe componenti, come le parti elettroniche e le batterie, non devono essere facilmente accessibili né smontabili, il che pone ovviamente delle difficoltà in termini di gestione del fine vita del prodotto. Purtroppo però su questo aspetto il settore giocattoli non può scendere a compromessi.”

Il design per il disassemblaggio non ha quindi vita facile nel Paese dei balocchi, come pure un altro pilastro di quello che potrebbe essere un sistema EPR efficace: l’utilizzo di materiale riciclato nei nuovi prodotti. “L’uso di materie prime riciclate nei giocattoli deve sottostare a controlli molto rigidi lungo la filiera di approvvigionamento – precisa Vogt – Ci sono alcune aziende che hanno cominciato a farlo, ma solo per specifiche linee di prodotti [l’italiana Clementoni ha creato una linea di giochi fatta con plastica e pannolini riciclati, nda]. In ogni caso, solo qualche anno fa, quando ho iniziato a lavorare per TIE, era considerato impossibile realizzare giocattoli sicuri con materiali riciclati, e ciò mi fa ritenere che in futuro, grazie allo sviluppo delle tecnologie di riciclo, questa pratica sarà più diffusa.”

I pionieri dell’EPR per i giocattoli

Nonostante le difficoltà specifiche del settore, c’è chi sta provando a organizzare un sistema EPR pubblico e obbligatorio anche per i giocattoli. La Francia, pioniera in molti regolamenti anti-spreco e per l’economia circolare, ha infatti stabilito nella ormai famosa Loi anti-gaspillage pour une économie circulaire l’introduzione della responsabilità estesa del produttore per l’industria dei giochi. Il primo passo è stato quello di individuare un ente che potesse aiutare produttori e distributori ad assolvere ai nuovi obblighi dietro il pagamento di un “contributo ambientale”. La FJP, la federazione francese dell'industria del giocattolo, ha sostenuto la candidatura del consorzio Ecomaison (già Eco-Mobilier), che è così diventato la PRO (Producer Responsibility Organization) di riferimento per tutto il settore.

“Il sistema EPR per i giocattoli della Francia è il primo e, per quanto ne sappiamo, finora unico esempio al mondo”, commenta a Materia Rinnovabile Matthieu Goutti, responsabile della filiera giocattoli per Ecomaison. Un motivo di orgoglio, certo, ma anche l’inizio di un non facile percorso da costruire da zero, senza esempi a cui ispirarsi.

Tuttavia il consorzio Ecomaison, come spiega Goutti, già gestiva il fine vita di vari prodotti per la casa, come mobili, bricolage e materiali da costruzione, e si è così potuto avvalere dell’esperienza nel trattare prodotti compositi. Un bagaglio utile soprattutto quando si tratta di indirizzare i giocattoli dismessi ai centri di riciclo: “Oggi esistono in Francia vari centri di smistamento e riciclo di materiali come legno, plastica e metallo – spiega Goutti – La sfida è trovare le modalità migliori per raccogliere i giocattoli e indirizzarli verso questi siti, con i quali comunque collaboriamo già da dieci anni per l’EPR dei mobili”. La sfida più grande sarà però organizzare la raccolta.

“In assenza di uno schema EPR, finora i giocattoli non sono stati adeguatamente raccolti per il riutilizzo o il riciclo – continua – I tre punti di raccolta principali all'inizio saranno le associazioni per il riuso, i negozi di giocattoli (attraverso programmi di take-back) e i centri pubblici di raccolta dei rifiuti. Stiamo inoltre cercando di organizzare la raccolta nelle scuole.”

Il programma è insomma appena cominciato e non ci sono ancora dati su quantità e impatti positivi, ma Ecomaison guarda lontano: “Una volta che i prodotti saranno stati adeguatamente raccolti dai nostri partner conclude Matthieu Goutti – saremo in grado di valutare quali giocattoli sono più difficili da riciclare e dove intervenire con innovazione ed ecodesign”. Non solo recuperare i materiali già in uso, quindi, ma anche riprogettare e migliorare i prodotti in ottica circolare: tutto ciò a cui uno schema EPR davvero efficace dovrebbe aspirare.

 

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Immagine: Carson Arias, Unsplash