Sono serviti 30 anni per avere la prima menzione, in sede ONU, che indicasse una possibile fine dello sfruttamento di petrolio, gas e carbone. Nelle ultime 24 ore sembrava quasi saltasse anche il più annacquato riferimento alle fossili. Invece, con una mossa abilissima, la Presidenza di COP28, guidata dal sultano Ahmed Al-Jaber, ha approvato, a pochi minuti dall’inizio della plenaria finale, il Global Stocktake, il documento per indirizzare l’azione futura di tutte le nazioni sul clima. “Fuoriuscita (transition away) dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato e equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050 in linea con la scienza”, recita il testo approvato sul punto più importante. Ovvero il destino delle fonti fossili.

Un accordo storico

È un accordo storico. Per la prima volta in assoluto c’è un linguaggio sull’uscita dei combustibili fossili”, dichiara sorridendo Al Jaber, dando via a un lungo applauso nella Plenaria, dove ancora in molti non si capacitano della rapida approvazione. Non mancano i distinguo, anche di chi ha dato il consenso, come il gruppo AOSIS dei piccoli Stati insulari che ha ribadito come “il testo finale non sia del tutto in linea con la scienza”. Quel che è certo è che questa è una base, che richiederà future trasformazioni e rinnovata ambizione. Ma la decisione è incisa nella storia.

Per Harjeet Singh, responsabile della strategia politica globale presso Climate Action Network International, “dopo decenni di evasione, la COP28 ha finalmente puntato i riflettori sui veri colpevoli della crisi climatica: i combustibili fossili. Tuttavia, la risoluzione è viziata da scappatoie che offrono all’industria dei combustibili fossili numerose vie di fuga, facendo affidamento su tecnologie non provate e non sicure”.

“La storia sarà scritta se tutte le nazioni, le imprese, i leader locali e le voci della società civile, che si sono uniti per formare una forza senza precedenti per il cambiamento, saranno determinati a conseguire l’eliminazione graduale dei combustibili fossili. Ciò significa, con urgenza, fermare tutti i piani di espansione fossili che ci stanno spingendo oltre il limite di 1,5°C”, ha dichiarato alla stampa presente a COP Kaisa Kosonen, climate advisor di Greenpeace International.

Infatti sebbene si apra una strada chiara per fare pressione sui settori economici legati alle fonti fossili e un’indicazione inequivocabile della direzione del mercato e della finanza globale, meglio leggere l’intero blocco di decisioni approvate a Dubai, dato che anche un solo lemma può fare la differenza.

Energie alternative?

Partiamo dalla decisione di triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030. Un obiettivo sfidante che dovrà essere inserito negli obiettivi nazionali (NDC) entro il 2025 (anzi nel documento si richiede una presentazione entro 9-12 mesi prima di COP30 in Brasile). Questo è un segnale verde per investimenti a tutto spiano nelle rinnovabili, che si accompagna all’accelerazione delle tecnologie a zero e basse emissioni, comprese, tra l’altro, le energie rinnovabili, il nucleare, le tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio, in particolare nei settori difficili da abbattere, e la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio.

Una strada prioritaria per gli investimenti su tutte le tecnologie possibili, con grande gioia di chi chiede da sempre la neutralità tecnologica per la decarbonizzazione, invece che concentrare su elettrificazione e rinnovabili. Il Governo italiano ha celebrato in maniera sproporzionata la menzione al nucleare (di cui il Paese non dispone e per almeno un decennio non disporrà). Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha commentato le “importanti affermazioni su nucleare, biocarburanti e idrogeno”, dimenticandosi di citare l’impatto sul mercato delle rinnovabili e sull’Oil&Gas. Sebbene limitato ai settori hard-to-abate, dove ridurre le emissioni è più difficile, l’introduzione dei CSS come strumento chiave per la decarbonizzazione ha raccolto numerose critiche della società civile che ha bollato le tecnologie di cattura, stoccaggio e uso della CO2 come una falsa soluzione. Al momento molte di queste tecnologie hanno dimostrato limitata funzionalità in campo di progetti pilota e quasi zero nella scalarizzazione a livello industriale.

Quadro di riduzione

Meno attenzionati dai media sono gli obiettivi di riduzione globali al 2030. La decisione prende atto delle conclusioni contenute nella relazione di sintesi del Sesto rapporto di valutazione dell'IPCC e “riconosce che è necessario limitare [entro fine secolo] il riscaldamento globale a 1,5°C senza superarlo o con un superamento limitato; richiede riduzioni delle emissioni globali profonde, rapide che siano pari al 43% cento entro il 2030 e il 60% al 2035, raggiungendo il net zero a metà secolo”.

Confermata la necessità di attenersi alla scienza (anche se poi il documento finale di Dubai non è in linea con essa) e di allineare gli NDC nazionali a questi obiettivi. Se gli NCD che saranno presentati a COP30 non saranno allineati a questo obiettivo, sarà l’ennesima sforatura degli obiettivi definiti dalla scienza come sicuri. Ma a quel punto non ci sarà più tempo, dovremo prepararci a un mondo significativamente più caldo e pericoloso.

Gas climalteranti non-CO2, combustibili alternativi e sussidi

Altro elemento storico è la prima menzione per una “riduzione sostanziale” di tutti i gas serra non-CO2, incluso il metano, entro il 2030. Sarebbe stato utile un obiettivo chiaro di riduzione di almeno il 30% rispetto ai livelli del 2020. Andrà verificato da vicino cosa farà il settore oil&gas, specie in Paesi come la Russia che continuano a non avere nessun controllo e quali conseguenze avrà sulle industrie che emettono F-gas e perossido di azoto che dovrebbero almeno dichiarare degli obiettivi volontari di riduzione nei prossimi 7 anni.

Menzione attesa anche quella di “eliminare gradualmente, quanto prima possibile, i sussidi inefficienti ai combustibili fossili che non affrontano la povertà energetica o agevolano la transizione”, che dopo essere stata inclusa nei G20 per la prima volta entra all’interno del linguaggio ONU (non era mai stata esplicitata così chiaramente). Ora tutti i Paesi del mondo saranno invitati a fare un inventario dei sussidi (come già fa l’Italia con il suo catalogo di sussidi ambientalmente dannosi), un’azione che potenzialmente potrebbe generare oltre 300 miliardi di dollari nella finanza climatica. Green light infine per idrogeno, biofuel e e-fuel che diventano una via, insieme all’elettrificazione per trasporti e settori hard to abate. Con tutti i problemi che questo comporterà.

Natura, un collegamento con l’accordo di Montreal-Kunming

Era mancata lo scorso anno, a COP27, l’enfasi sulla protezione, conservazione e ripristino di natura ed ecosistemi per raggiungere i goal dell’Accordo di Parigi, dato che solo dopo Sharm el-Sheik si sarebbe tenuta la Conferenza sulla Biodiversità (che ha portato nel dicembre 2022 all’Accordo di Montreal-Kunming). Con questo nuovo testo, oltre ad aumentare gli sforzi per arrestare e invertire la deforestazione e il degrado delle foreste entro il 2030, si riconosce il ruolo di tutti gli ecosistemi terrestri e marini e della biodiversità che agiscono come pozzi e serbatoi di gas serra, in linea con l’Accordo di Montreal-Kuming. Un’ulteriore arma per rafforzare la sfida della COP Biodiversità, spesso negletta, che dà appuntamento in Colombia nel 2024, e che concentrerà molta della sua attenzione sul clima e sulle risorse economiche da mobilitare in quell’ambito.

Delusione invece sulla mancata menzione alla riduzione delle emissioni di gas serra provenienti dai sistemi alimentari nonostante la presidenza degli Emirati Arabi Uniti avesse promesso di mettere il cibo “sul tavolo” alla COP28, tema sostenuto dall’Italia stessa. Emile Frison, esperto del panel IPES-Food, ha dichiarato: “La COP28 è iniziata con la firma di 158 nazioni per una dichiarazione per adattare e trasformare i sistemi alimentari come parte dell’azione per il clima. La palese omissione nel testo finale è un tradimento dell’urgenza evidente”. In questo caso la patata bollente è rilanciata nel campo del negoziato biodiversità.

Adattamento

Grande soddisfazione per il testo sul Global Goal on Adaptation, ha commentato un’esperta della delegazione negoziale italiana. Ed effettivamente da più parti è stato salutato come un risultato soddisfacente. Sono vari i goal stabiliti. Entro il 2030 tutti i Paesi dovranno aver condotto valutazioni aggiornate dei rischi climatici, degli impatti dei cambiamenti climatici e dell’esposizione a rischi e vulnerabilità e usare i risultati di queste valutazioni per informarne la formulazione dei piani nazionali di adattamento, degli strumenti politici e di processi e/o strategie di pianificazione. Entro cinque anni ogni Paese dovrà avere sistemi di allerta precoce multi-rischio, osservatori climatici e centri dati per il decision-making legati al climate change, una priorità assoluta per ridurre le perdite e i danni.

Sempre entro il decennio dovranno essere istituiti piani di adattamento, partecipativi e pienamente trasparenti, con adeguati strumenti politici e processi e/o strategie di pianificazione, coprendo, a seconda dei casi, ecosistemi, settori, persone e comunità vulnerabili. Questa sarà una grande priorità per le agenzie di cooperazione allo sviluppo e di sviluppo territoriale, visto che fondamentale sarà la formazione del personale e degli stakeholder coinvolti. Il tema chiave per tutto questo sarà come pagarlo, sostenendo in particolar modo i Paesi meno sviluppati.

Finanza climatica

Approvato il Loss and Damage e raccolte risorse e impegni per oltre 86 miliardi di dollari, ora si guarda al nuovo obiettivo finanziario di lungo termine. Per i Paesi in via di sviluppo rimane un elemento chiave per raggiungere gli obiettivi di adattamento e mitigazione. Serve mobilitare, da parte dei Paesi industrializzati “4.300 mila miliardi di dollari l’anno per la mitigazione e 215-387 miliardi di dollari all’anno fino al 2030 per l’adattamento, cifra che complessivamente dovrà poi superare i 5.000 miliardi di dollari l’anno fino al 2050”. Questo sarà il tema centrale della COP29 a Baku, Azerbajian, nel 2024, per cui vari negoziatori hanno dichiarato che “servirà avere i ministri delle finanze con sé, non quelli dell’ambiente”. Tanta attenzione sarà data a processi complementari come i meeting di primavera delle Banche Multilaterali di Sviluppo, il G7 e gli incontri intermedi delle parti.

Rachel Cleetus della Union of Concerned Scientists è stata chiara sugli obiettivi di decarbonizzazione: “Non ci arriveremo senza risorse economiche”. Per gli economisti la vera chiave non sono solo i goal politici ma la riforma dell’architettura economica petrocapitalista. “La strada verso l’eliminazione graduale dei combustibili fossili passa innanzitutto attraverso massicci flussi finanziari per enormi investimenti nelle energie rinnovabili”, commenta Avinash Persaud, inviato speciale per il clima della prima ministra Mottley delle Barbados. “Ora abbiamo un piano per arrivarci. L’attuazione di tale piano richiede che i governi e le banche multilaterali di sviluppo siano più efficaci, più grandi e più audaci. Quindi, la mia prossima tappa da Dubai sarà Washington e gli incontri primaverili delle banche multilaterali di sviluppo”.

 

Photo by COP28 / Christopher Pike