A tre giorni dalla fine s’infiamma il dibattito sul testo del Global Stocktake, che nella sua seconda iterazione rimane estremamente aperto e complesso, segnale che i negoziati entrano in una fase complicata e andranno ai tempi supplementari. Nelle chat sono già iniziate come da tradizione le scommesse su data e ora finali del negoziato, vista l’abitudine di usare tattiche stancanti, che spesso vanno a svantaggio dei Paesi meno sviluppati, che hanno poche risorse umane e per cui allungare la permanenza può essere costoso.

Si iniziano a vedere i primi giornalisti collassati sui tavoli, le occhiaie sui volti dei negoziatori, le code lunghe per i caffè, venduti a 4€, per combattere la stanchezza. Le prossime 48 ore sono cruciali per il risultato e già a fine giornata di domenica si potrebbero vedere nuovi testi.

Sono arrivati intanto i ministri che dovranno cercare di mettere un punto fermo sul testo finale, incluso l’Italiano Gilberto Pichetto Fratin. Intervenuto a SkyTg24 ha ribadito che il negoziato “è partito bene, trovando un accordo su quello che era uno dei temi più preoccupanti, il Fondo Loss and Damage. Si è trovato un percorso sul meccanismo di fondo, ora bisogna ragionare su quello che è il bilancio rispetto agli obiettivi di Parigi di evitare che la temperatura terrestre superi 1,5° al 2030” ha detto, anche se l’obiettivo dovrebbe essere rimanere entro 1,5°C di aumento medio delle temperature globali per la fine del secolo. Un risultato che “è difficile per ragioni di guerra, per ragioni di alcuni Paesi dove continua ancora a crescere l’emissione carbonica e occorre un equilibrio su quello che chiedono 198 paesi. Sono 198 voci da conciliare”.

 

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Intanto i negoziatori proseguono a tutto campo, dal Global Stocktake al Global Goal on Adaption, fino alla finanza climatica e all’Articolo 6. Per quest’ultimo le probabilità di un risultato per chiudere l’annoso tema rimangono ridotte, secondo varie fonti intervistate.

Nel testo negoziale del Global Stocktake sono praticamente contenute tutte le posizioni possibili, con ben quattro diciture sulla questione phase out, che sembra tenere testa alle ostinate reazioni degli Stati produttori di petrolio, con il beneplacito di USA e Cina. La prima opzione chiede di percorrere “un’uscita dalle fonti fossili secondo la migliore scienza disponibile”; la seconda che lo dovranno fare “allineandosi con il report speciale IPCC su 1,5°C e con l’Accordo di Parigi”; la terza che si dovrà percorrere “un’uscita dai combustibili fossili non compensati da CCS riconoscendo la necessità di raggiungere il picco nei loro consumi entro il 2030, sottolineando l’importanza per il settore energetico di essere predominantemente libero dai combustibili fossili molto prima del 2050”; la quarta, più laconica, afferma di “uscire dai combustibili fossili non compensati da CCS” e raggiungere il net zero nei sistemi energetici “entro o intorno” al 2050.

OPEC alle strette

Non si è fatta attendere la risposta del mondo della scienza alla lettera dell’OPEC sulla necessità di bloccare qualsiasi menzione sulle fonti fossili. I ricercatori del gruppo LINGO (Leave it in the Ground Initiative) hanno pubblicato una valutazione dei decessi e dei danni che si verificheranno a causa delle espansioni di petrolio e gas pianificate dai principali Paesi OPEC. Il documento, visionato da Materia Rinnovabile, rivela che le emissioni prodotte dai principali progetti di estrazione di petrolio e gas nei Paesi membri dell'OPEC del Golfo causeranno più di 43 milioni di morti premature nella regione entro la fine del secolo. I danni totali delle emissioni derivate da gas e petrolio estratte nella regione potrebbero ammontare a circa 19.800 miliardi di dollari nell'area del Consiglio di cooperazione del Golfo e fino a 80.000 miliardi di dollari a livello globale. Si tratta di 70 volte il PIL annuale dell'Arabia Saudita e di 800 volte l'importo destinato ai finanziamenti annuali per il clima (100 miliardi di dollari). Numeri che dovrebbero preoccupare gli economisti di un Paese fortemente esposto ai rischi climatici.

COP29? In Azerbaigian

Intanto è sicuro che l’Azerbaigian ospiterà il vertice delle Nazioni Unite sul clima del prossimo anno. Mentre la Russia aveva bloccato i Paesi dell’UE (Albania e Bulgaria), l’Azerbaigian e l’Armenia si bloccavano a vicenda. Giovedì, in uno dei passi concreti verso un trattato di pace, Armenia e Azerbaigian hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui concordano che l’Armenia ritirerà la sua candidatura e sosterrà quella dell’Azerbaigian. “La Repubblica di Armenia e la Repubblica di Azerbaigian condividono l’opinione che esiste una possibilità storica per raggiungere la pace tanto attesa nella regione.” Certo è che sarà il terzo negoziato di fila in uno Stato produttore di petrolio e c’è da aspettarsi non poche complicazioni, dato che il Paese del Caucaso non brilla per rispetto dei diritti umani.

 

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Photo by COP28