L’Italia ci riprova con l’energia dell’atomo. Ad oltre 35 anni dallo storico referendum popolare che nel 1987 decretò la fine della breve stagione nucleare della Penisola, sembra sia arrivato il momento di un nuovo tentativo.

E così il ministro Gilberto Pichetto Fratin, che sul ritorno al nucleare insisteva da tempo, il 21 settembre ha presieduto a Roma la prima riunione della neonata Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile (PNNS). Un tavolo di confronto allargato a soggetti istituzionali pubblici, al mondo della ricerca e a quello delle imprese, che avrà il compito di coordinare e dare impulso allo sviluppo di tecnologie d’avanguardia per reattori di ultima generazione e per il decommissioning, nonché alla sperimentazione nel campo della fusione nucleare.

La sfida più grande sarà dimostrare che il concetto di “nucleare sostenibile” non è un ossimoro.

Quale nucleare?

Ritorno al nucleare in nome della decarbonizzazione e della sicurezza energetica: è un po’ questo il mantra che, non solo in Italia, sta negli ultimi tempi accompagnando la rinascita dell’atomo. Nella comunicazione ufficiale diramata dal MASE in merito alla nuova Piattaforma, si fa infatti riferimento all’aggiornamento del PNIEC, il Piano nazionale per energia e clima, che si propone di raggiungere gli obiettivi di mitigazione “anche attraverso la diversificazione delle fonti e l’integrazione delle diverse soluzioni tecnologiche disponibili”. Come il nucleare, appunto.

Ma quale nucleare? “Non si tratta evidentemente di proporre il ricorso in Italia alle centrali di grande taglia della terza generazione, ma di valutare le nuove tecnologie sicure del nucleare innovativo”, ha precisato il ministro Pichetto Fratin.

Chi c’è nella Piattaforma per un Nucleare Sostenibile

Sicuro, innovativo e sostenibile sono quindi le parole d’ordine che dovrebbero far digerire un eventuale revival del nucleare in Italia. E la Piattaforma voluta dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica avrà il compito di riunire tutte le forze che oggi operano nel settore per dare sostanza a questi tre aggettivi: università, centri di ricerca, associazioni scientifiche, soggetti pubblici operanti nella sicurezza nucleare e nel decommissioning, imprese del comparto energetico, dell’impiantistica e delle applicazioni mediche.
Coordinata dal Ministero con il supporto di Enea e Rse (il programma Ricerca di sistema elettrico), la piattaforma sarà suddivisa in gruppi di lavoro tematici che affronteranno tutti gli aspetti – tecnologici, logistici, sociali - necessari per quella che, in pratica, vorrebbe essere una ricostruzione dell’industria nucleare italiana. 

I nodi da risolvere

Se è vero che l’energia dell’atomo può essere considerata “pulita” da un punto di vista di emissioni di carbonio, non sono però pochi i rovesci della medaglia.
I nodi da sciogliere sarebbero essenzialmente tre, ma belli grossi: sicurezza, rifiuti e costi. A cui si aggiungono la questione delle tempistiche di sviluppo delle tecnologie, troppo lunghe per una transizione energetica sempre più urgente, e il problema dell’accettabilità sociale.

Lo stato della ricerca sul nucleare in Italia

Sulle tre questioni principali – sicurezza, rifiuti, costi – si sta concentrando in questi anni la ricerca internazionale sul nucleare. E nonostante si possa pensare che l’Italia, visto il tabù sul tema, sia rimasta indietro, i progetti in fieri di Enea dimostrano il contrario.
Su richiesta di Materia Rinnovabile, l’ufficio comunicazione dell’Agenzia ci fornisce infatti un lungo prospetto sulle ricerche in corso, che vanno dalle sperimentazioni sulla fusione ai reattori di IV generazione fino ai mini-reattori modulari.

La fusione

Partendo dal settore più avanguardistico, “l’Enea – scrivono dall’ufficio comunicazione - vanta una tradizione pluridecennale nel campo della fusione con oltre 50 brevetti registrati negli ultimi 20 anni; coordina il programma italiano di ricerca sulla fusione, partecipa ai progetti mondiali ITER e Broader Approach”. La corsa alla fusione nucleare muove ingenti capitali anche in Italia: “nel campo della fusione – ci fanno sapere da Enea - ad oggi le imprese italiane hanno vinto oltre 1,8 miliardi di euro di commesse” nell’ambito del progetto ITER, che coinvolge le sette maggiori potenze economiche del mondo (Unione europea, Cina, India, Giappone, Corea, Russia e Stati Uniti) nella realizzazione di un reattore dimostrativo sperimentale in Francia che ha raccolto investimenti per 20 miliardi di euro.

I reattori di IV generazione

Ma se la fusione sembra ancora una chimera, la ricerca più interessante ai fini pratici è quella sui reattori di IV generazione o Lead-cooled Fast Reactor (LFR), su cui Enea (come del resto molti altri in tutto il mondo) sta lavorando da vent’anni. La differenza rispetto ai reattori di I, II (circa il 90% di quelli attualmente in funzione nel mondo) e III generazione è il metodo di raffreddamento, che diventa la discriminante dal punto di vista della sicurezza.
Il sistema di refrigerazione degli LFR – spiegano da Enea - “utilizza piombo invece di acqua; in questo modo, grazie alle caratteristiche fisiche del piombo, è possibile garantire la presenza del refrigerante in qualsiasi condizione incidentale e garantire un nucleare civile sostenibile, sicuro, affidabile, resistente alla proliferazione” (ovvero al rischio di utilizzo “improprio” per lo sviluppo di armi atomiche).

E c’è di più. Andando avanti con la ricerca sui metalli liquidi e sulla progettazione del nocciolo, questo tipo di reattori permetterebbe “la chiusura del ciclo del combustibile, garantendo il completo riciclo del plutonio e degli attinidi minori, responsabili della radiotossicità dei rifiuti radioattivi”.
Un nucleare circolare e sicuro, insomma: obiettivo tuttavia raggiungibile in non meno di 20-25 anni, puntualizzano da Enea. Troppi per essere davvero utile nell’ambito della transizione energetica.

Piccoli reattori modulari

La soluzione nucleare prêt-à-porter utile già nei prossimi anni ai fini della decarbonizzazione, si legge sul prospetto di Enea, potrebbe invece essere quella dei piccoli reattori modulari: gli Small Modular Reactor (SMR) e gli Advanced Modular Reactor (AMR).
I primi, praticamente, non sono altro che mini centrali di III generazione, le cui ridotte dimensione unite alla modularità permettono di tagliare notevolmente i costi. Rimane però il grande problema delle scorie nucleari a lunga vita.

I reattori AMR, invece, sarebbero refrigerati con metallo liquido, il che permetterebbe di utilizzare uranio naturale come combustibile e minimizzare la produzione di scorie. In questo momento Enea, con altri partner industriali, sta partecipando alla progettazione di due AMR in Francia e Regno Unito insieme alla startup newcleo: la particolare caratteristica di questi impianti sarà (almeno nelle intenzioni) la possibilità di utilizzare come combustibile le scorie radioattive già prodotte in passato, arrivando così a chiudere perfettamente il ciclo.

Una roadmap per il nucleare italiano

Per Enea, in conclusione, non ci sono dubbi sul fatto che le nuove tecnologie nel campo della fissione nucleare possano dare un “contributo decisivo alla decarbonizzazione”.
La Piattaforma lanciata dal MASE segue dunque questa linea, con l’obiettivo, in tempi molto ristretti (9 mesi) di sviluppare “una roadmap, con orizzonte 2030 e 2050, per seguire e coordinare gli sviluppi delle nuove tecnologie nucleari nel medio e lungo termine, valutando nel medio termine le possibili ricadute in ambito italiano, in particolare nel settore degli SMR e dei reattori di IV generazione”.

La sindrome nimby

Rimane però l’ultimo nodo, quello dell’accettabilità sociale del nucleare. Probabilmente preso sottogamba, è in realtà un problema enorme in Italia, e ne sa qualcosa Sogin, la società pubblica che da oltre vent’anni si occupa dello smantellamento delle centrali dismesse. La costruzione di un Deposito Nazionale per le scorie radioattive è diventata una storia infinita proprio a causa della cosiddetta sindrome nimby. Anche la lunga consultazione pubblica indetta da Sogin sull’esempio francese (e lì funziona!), da noi ha prodotto una Carta nazionale delle aree idonee per l’eventuale realizzazione del Deposito (la CNAI) che è però ferma al Ministero da più di un anno in attesa di approvazione. Il motivo principale sono, appunto, le continue proteste della cittadinanza e dei Comuni: nessuno vuole un deposito di rifiuti nucleari sul proprio territorio, nonostante, paradossalmente, qualcuno le scorie vicino a casa le abbia già, e non stoccate con lo stesso livello di sicurezza che si avrebbe nella nuova struttura.

Viene dunque spontaneo chiedersi come si pensi di far accettare a quella stessa cittadinanza l'eventuale costruzione di una o più centrali nucleari, per quanto piccole, modulari, sostenibili o circolari siano.

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Immagine: la ex centrale di Garigliano (ph Sogin)