L’Amazzonia brucia. Possiamo fare qualcosa. Entrambi messaggi veri che vanno però contestualizzati.

I dati scientifici che riguardano gli incendi infatti sono stati spesso riportati in maniera inesatta: sia per quanto riguarda l’aumento percentuale della deforestazione amazzonica rispetto agli anni passati (non 80% ma 30-35%), sia per quanto riguarda il peso che la foresta amazzonica ha a livello globale nella produzione di ossigeno (meno del 10% e non 20% come è stato riportato più volte). Dati corretti aiutano a non cadere in sensazionalismi dannosi che vanno ad alimentare il clima di polarizzazione ricercato dai populismi moderni.

Gli incendi vanno contestualizzati anche nel panorama sociale e geopolitico. Il presidente brasiliano Bolsonaro, infatti, sta portando avanti la tesi secondo la quale la deforestazione è uno strumento essenziale per lo sviluppo economico del suo paese. Questo attira la fantasia dei sostenitori di Bolsonaro che vedono ora la Foresta Amazzonica come una miniera d’oro nazionale con cui arricchirsi.

La foresta amazzonica però, pur essendo per il 60% all'interno del territorio brasiliano, svolge funzioni importanti che vanno ben oltre i confini nazionali. 5,5 milioni di chilometri quadrati, abitata da più di 500 popolazioni indigene, ospita 3 milioni di specie vegetali e animali, assorbe 2 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno, fornendo tra il 5 e il 10% dell’ossigeno globalmente. È una risorsa vitale per mantenere gli equilibri planetari ed limitare l’aumento di temperatura globale.

Lo spettroradiometro per immagini a risoluzione moderata (MODIS) sul satellite Aqua della Nasa ha catturato queste immagini di diversi incendi che si sono verificati negli stati di Rondônia, Amazonas, Pará e Mato Grosso tra l’11 agosto (sopra) e il 13 agosto 2019 (sotto).
Credit:NASA Earth Observatory

Bolsonaro ha però ripetutamente dichiarato di non “credere” che il clima stia cambiando e che la Foresta Amazzonica è di tutti i brasiliani. È un approccio miope e basato su affermazioni provocatorie. La scienza ci dice che il clima sta effettivamente cambiando e le inchieste dimostrano che la deforestazione non va assolutamente a vantaggio della maggioranza dei brasiliani, ma di pochi manager.

Gli incendi infatti sono quasi sempre dolosi e causati – legalmente o meno – da persone specializzate, che vendono poi i terreni deforestati ad aziende agricole e di allevamento come AgroSB Agropecuária SA, che riforniscono a loro volta multinazionali come JBS. JBS SA è il fornitore di manzo, pollo e pellame più grande al mondo che gestisce il macello (13 milioni di animali uccisi ogni giorno) e la spedizione dei prodotti finiti, con 350.000 clienti in più di 150 paesi e un fatturato annuale di 50 miliardi di dollari.

Non stupisce quindi che JBS veda nella foresta amazzonica, e nella deforestazione di nuove aree, un metodo veloce ed efficace per massimizzare i propri profitti. La politica brasiliana fino a Bolsonaro aveva cercato di arginare queste mire espansionistiche delineando aree di embargo dove era vietato deforestare e pascolare. Con l’arrivo del nuovo presidente, molto vicino ai vertici dell’agribusiness brasiliano, tutto è cambiato. A marzo, Bolsonaro ha licenziato Ricardo Galvão, direttore dell’Inpe (Istituto nazionale di ricerche spaziali del Brasile) accusandolo di mentire sui dati riguardanti la deforestazione (dati scientifici che riportavano l’effettivo incremento di aree disboscate dall’inizio del governo Bolsonaro). Ha quindi assegnato il ministero dell’agricoltura a Ricardo Salles, da sempre vicino ai vertici di JBS SA. Questa mossa politica ha avuto un effetto immediato nei controlli, nelle sanzioni e nei sequestri, calati drasticamente dopo l'insediamento del nuovo presidente.

La mappa mostra i rilevamenti di incendi attivi in Brasile osservati dai satelliti Terra e Aqua tra il 15 e il 22 agosto 2019. Gli incendi negli stati di Pará e Amazonas sono concentrati a bande lungo le autostrade BR-163 e BR-230, che collegano gli agricoltori nell’Amazzonia meridionale con il porto strategico sul Rio delle Amazzoni a Santarém. Credit: NASA Earth Observatory

I sequestri e le sanzioni sono essenziali per tenere testa a un business, come quello agricolo industriale, che, specialmente in Brasile, può causare danni irreversibili ad uno degli ecosistemi più importanti al mondo. Nel 2017 per esempio l’Istituto brasiliano per l’ambiente e le risorse naturali rinnovabili (IBAMA) aveva scoperto che JBS comprava bestiame da aziende che operavano in aree “protette” dove era proibito pascolare, multando la multinazionale per 7,7 milioni di dollari. Sempre nel 2017, J&F Investimentos, azionista di maggioranza di JBS aveva accettato di pagare una multa di 3,2 miliardi di dollari, tra le più alte della storia, per il proprio ruolo nella corruzione sistematica di agenti governativi volta a rovesciare il governo del presidente Temer.

Un’inchiesta dettagliata dell’Investigative Bureau of Journalism e The Guardian ha fatto luce su queste e moltissime altre ombre dietro a JBS, mostrando come la scalata dell'azienda ai vertici dell'agribusiness globale. Fino ad arrivare nei freezer italiani: nel 2018 l’Italia ha infatti importato da JBS 13.500 tonnellate di manzo, seconda in Europa dietro al Regno Unito.

Il mercato è florido perché, a causa dei pochi controlli, la carne proveniente da quelle zone costa meno. Anche quando effettuati i controlli sono applicati all’ultima azienda che processa la carne, esonerando così tutti i fornitori da cui passano i pascoli di bestiame. Non è facile quindi capire se un’azienda produttrice è responsabile di deforestazione illegale. Cosa possono fare i cittadini nel concreto? Diminuire il consumo di carne rossa, mangiare il più possibile prodotti locali, capire il valore economico dietro alle scelte di consumo alimentare: pagare meno per un prodotto che percorre migliaia di chilometri significa pagare di più in futuro in termini ambientali e di salute.