Come sarà il mondo tra altri 30 anni, nel 2049? Il sequel di Blade Runner è ben tratteggiato nella rubrica di Roberto Giovannini. Ma nella realtà come andranno le cose? Ogni anno che passa le previsioni diventano più incerte perché la velocità e la radicalità del cambiamento crescono; le variabili in gioco diventano più numerose e più complesse; gli squilibri della politica si fanno più violenti e coprono, con il rumore di fondo, squilibri ambientali ancora più pericolosi.

I grandi fenomeni innescati o moltiplicati dal 20° secolo (dal boom demografico al cambiamento climatico, passando per le migrazioni che rischiano di assumere un carattere biblico) produrranno conseguenze che si possono solo intravedere. È uno scenario di lungo periodo che può servire come bussola per orientarsi. Ma, visto che il terreno su cui camminiamo è molto accidentato, è bene concentrarsi sui prossimi passi per evitare di cadere in un crepaccio.

Uno degli strumenti che l’Unione europea sta mettendo in campo per affrontare due problemi urgenti e di primissimo piano, la crisi economica e la crisi ambientale, è l’economia circolare. Come abbiamo più volte ricordato su questo magazine, la posta in gioco è alta. Secondo la Commissione europea, le misure contenute nel pacchetto sull’economia circolare presentato nel dicembre 2015 produrranno vantaggi consistenti: risparmi annuali pari a 600 miliardi di euro; 580.000 nuovi posti di lavoro con un risparmio annuo di 72 miliardi di euro per le imprese europee grazie a un uso più efficiente delle risorse e quindi a una riduzione delle importazioni di materie prime; un taglio del 2-4 % delle emissioni serra.

Sulle nuove norme si è aperto un dibattito all’europarlamento che ha già portato al rafforzamento di alcuni paletti (per esempio riciclo dei rifiuti urbani al 70% al 2030 invece del 65%; percentuale di rifiuti smaltita in discarica ridotta al 5% invece del 10%).

Ma l’Italia si sta attrezzando per questa sfida? In questo numero di Materia Rinnovabile diamo conto della strategia italiana sulla bioeconomia presentata a novembre e del primo master in bioeconomia ed economia circolare, realizzato grazie a una sinergia tra quattro dei principali atenei italiani (Università di Torino, Università di Milano Bicocca, Università di Bologna e Università di Napoli Federico II).

Ma, come osserva in un’intervista di Mario Bonaccorso il co-fondatore di GFBiochemicals, Pasquale Granata, “dopo la strategia bisognerà mettere a punto un piano d’azione dettagliato. Credo che siano tre le misure urgenti da prendere: la prima riguarda la creazione di un mercato, così come fatto efficacemente per le bioplastiche con la legge che ha messo al bando i sacchetti non biodegradabili; la seconda un sostegno alla domanda attraverso politiche di appalti pubblici verdi che abbiano alla base un sistema chiaro di standard ed etichettature; la terza la comunicazione e la divulgazione della bioeconomia affinché i consumatori e l’opinione pubblica italiana sappiano che non stiamo parlando di una nicchia, ma di un settore che già oggi crea ricchezza e occupazione, in un quadro di ecosostenibilità”.

È una linea di sviluppo chiara. Il problema è che al momento questo percorso è bloccato su molti fronti. A cominciare da quello, essenziale, del recupero delle sostanze di scarto che, all’uscita del sistema produttivo, possono essere considerate materie seconde anziché rifiuti. La Gran Bretagna ha prodotto un flusso continuo di decreti end of waste per la catalogazione di questi materiali. L’Italia ha cominciato con fatica l’estate scorsa e molte Regioni non hanno recepito i provvedimenti mettendo a rischio molti investimenti e molti posti di lavoro. Se non si sblocca l’economia sana è difficile far ripartire il paese nella direzione giusta.