In tutti gli sport ci sono talenti naturali, campioni con doti innate. Nella corsa della circular economy tra i favoriti alla partenza troviamo l’alluminio, con i numeri per grandi prestazioni. È un vantaggio che nasce da un dato di base: la differenza tra i costi della produzione da materia prima vergine e quelli del riciclo.

Il problema dell’alluminio non è infatti la disponibilità di materia prima, perché in natura non manca certo la risorsa fondamentale: la bauxite, il principale minerale da cui si ricava, è uno degli elementi più diffusi. Il nodo critico è dato dai costi di lavorazione perché il prezzo per produrre un chilo di alluminio è molto alto soprattutto in termini di energia (13 chilowattora). Mentre usando il materiale riciclato al posto di quello vergine si ottiene un risparmio energetico pari al 95% e si evita l’emissione di 9 tonnellate di anidride carbonica per ogni tonnellata di materiale riciclato. Per esempio in Italia nel 2014 grazie al riciclo di 47.100 tonnellate di imballaggi in alluminio si sono tagliate 402.000 tonnellate di CO2 ed è stata risparmiata energia per oltre 173.000 tonnellate equivalenti di petrolio.

E dunque è inevitabile che, per motivi economici e ambientali, il recupero dell’alluminio diventi una priorità. Anche perché sul fronte del riuso l’alluminio ha dimostrato di essere particolarmente versatile: con 2 lattine si fa una penna, con 3 lattine un paio di occhiali, con 37 lattine una caffettiera, con 70 lattine una pentola, con 130 lattine un monopattino, con 640 lattine un cerchione per auto, con 800 lattine una bicicletta.

Sono tutti esempi interessanti e utili perché permettono di cogliere in maniera intuitiva il legame tra un atto della nostra vita quotidiana (separare i rifiuti) e un beneficio della nostra vita quotidiana (bere il caffè utilizzando una macchinetta che a parità di prestazioni ha un prezzo più basso). Questo continuo rimando all’ecologia come stile di vita e di consumo è stato ed è ancora necessario per coinvolgere milioni di persone. Oggi però è arrivato il momento di un salto di percezione: quello che occorre mettere a fuoco è la dimensione complessiva della sfida della circular economy, in modo da prendere le decisioni di indirizzo economico necessarie a rilanciare un modo di produrre su cui si misurerà la capacità competitiva dei paesi e dei blocchi economici.

Da questo punto di vista l’alluminio è interessante per vari motivi. Perché può essere riciclato al 100% infinite volte senza perdere le sue caratteristiche originali. Perché l’Italia ha un particolare vantaggio in questo recupero visto che non dispone di miniere di bauxite. Perché, avendo buone caratteristiche di leggerezza e resistenza alla corrosione, l’alluminio sta giocando un ruolo crescente in un settore ad alto impatto ambientale come il trasporto (se negli anni ‘50 e ‘60 in un’automobile c’erano mediamente 40 chili di alluminio, oggi si va verso il raddoppio).

L’alluminio può diventare dunque un test per misurare le dimensioni di un rilancio dell’economia circolare di cui per ora vediamo solo l’inizio: se i numeri sono ancora ridotti, i trend mostrano la necessità di un salto di qualità. Secondo uno studio della Ellen MacArthur Foundation, nel 2010 sono stati prelevati in natura 65 miliardi di tonnellate di materiali: diventeranno 82 miliardi nel 2020. E dei 2,7 miliardi di tonnellate di rifiuti generati in Europa nel 2010 solo il 40% è stato riusato o riciclato o compostato. In totale, secondo l’Unep, si registrano 52 miliardi perdite per mancato recupero del rame, 34 per quello dell’oro, 15 per quello dell’alluminio, 7 per quello dell’argento.

Mentre dando spazio all’economia circolare nei settori manifatturieri dell’Unione europea – prosegue il ragionamento della Ellen MacArthur Foundation – si avrebbero 380 miliardi di dollari di risparmi nello scenario di transizione e 520-630 nello scenario avanzato: è il 3-3,9% del pil della Ue del 2010. In pratica, solo per il risparmio di materia prima l’economia circolare può far guadagnare a livello globale 700 miliardi di dollari.

È uno scenario realistico o un sogno? I segnali vanno nella direzione dell’economia circolare sia dal punto di vista dell’andamento immediato del mercato sia delle proiezioni. La volatilità dei prezzi nella prima decade del ventunesimo secolo è stata più alta di ogni decennio del secolo precedente. E tre miliardi di membri della nuova classe media globale si affacceranno sul pianeta entro il 2030 arrivando a un raddoppio abbondante di quella attuale.

Del resto la necessità di una svolta era stata delineata da tempo. Già all’inizio del secolo lo State of the World 2004 anticipava il tema non limitandosi a tracciare il profilo teorico del nuovo modello produttivo, ma elencando decine di esempi di innovazioni vincenti sia sotto il profilo economico sia sotto quello ecologico. E tra gli esempi delle potenzialità del riciclo citava i 32 miliardi di lattine buttate via nel 2002 dagli statunitensi come una miniera che sarebbe stata sufficiente a ricostruire l’intera flotta aerea commerciale del mondo una volta e mezza.

 

 

Worldwatch Institute, State of the World 2004. Consumi, Edizioni Ambiente; www.edizioniambiente.it/libri/44/state-of-the-world-2004/