Un’economia circolare ideale è un’economia che oltre a far circolare il più possibile i materiali al proprio interno prima di restituirli alla natura, quando li restituisce lo fa in maniera da ripristinare gli stock naturali esattamente lì dove li ha intaccati. Creando così una condizione di equilibrio tra input e output materiali della natura nel quale il riprodursi delle condizioni iniziali garantisce – in teoria all’infinito – la riproducibilità del processo economico. 

La condizione essenziale di rinnovabilità dei cicli delle biomasse è il mantenimento dell’equilibrio negli stock di nutrienti e nella composizione del suolo fertile soprattutto per quel che riguarda la componente organica. Il suolo fornisce infatti azoto, fosforo, potassio e altro alle piante, che si procurano invece dall’acqua e dall’atmosfera gli altri elementi di cui hanno bisogno (carbonio, idrogeno, ossigeno). Certo, non c’è alcuna garanzia che il sistema di utilizzo umano mantenga l’equilibrio dei flussi e la giusta composizione degli stock, ma senza dubbio fino a quando parte delle biomasse coltivate finiscono in discarica, le sostanze in esse contenute non sono restituite ai suoli dai quali sono prelevate. Questi ammanchi possono essere – e in effetti sono – compensati localmente con apporti minerali e sintetici (anzi, sovracompensati, con conseguenze negative per la qualità delle acque). Ma così il costo fisico di quello che è un vero e proprio spreco di nutrienti è soltanto spostato altrove, a causa della materia e dell’energia necessarie per la produzione di fertilizzanti di sintesi, e dei composti chimici che finiscono nell’atmosfera.

È dunque in una logica di sistema complessivo che va inserita la progettazione di filiere di utilizzo, delle biomasse in genere e di quelle residue in particolare, che tendano a chiudere i cicli e ridurre gli sprechi, privilegiando la piccola scala e il livello locale per tenere conto dei costi ecologici della raccolta e del trasporto. 

Le biomasse residue da attività agricole e forestali, dalla zootecnia, i rifiuti organici delle industrie agricole, e della filiera legno-carta e la frazione organica dei rifiuti solidi urbani prodotti da distribuzione e consumo (Forsu) sono al centro dell’attenzione di due filiere che tendono a chiudere i cicli: quella del compostaggio e quella del recupero energetico attraverso la digestione anaerobica. Queste permettono di chiudere il ciclo dei nutrienti e di conservare il suolo fertile, utilizzando il compost e il digestato come ammendanti/fertilizzanti, e al contempo di migliorare il bilancio degli scambi di carbonio con l’atmosfera.

Qualche numero può aiutare a delineare un quadro complessivo. 

Sull’entità delle biomasse residue delle attività primarie abbiamo due stime in apparenza molto distanti. Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), in riferimento al 2006, per l’Italia le ha valutate in 18 Mt, considerando però solo le coltivazioni principali ed esprimendo il dato in “sostanza secca”. L’altra è la stima più completa ed espressa in peso “tal quale”, fornita dal Sustainable Europe Research Institute di Vienna: pari a circa 76 Mt (anno 2011). In realtà le differenze metodologiche tra queste due stime possono essere notevolmente ridotte attualizzandole, estendendole a tutte le coltivazioni ed esprimendole entrambe in termini di peso “tal quale”. In tal modo si arriva ad almeno 60 Mt. La differenza residua è dovuta probabilmente alla inclusione nelle stime del Seri di parti delle piante non considerate nello studio Ispra (per esempio radici, piante legnose a fine vita) e all’utilizzo da parte quest’ultimo di coefficienti specifici per le cultivar italiane. 

Inoltre lo studio di Ispra – al fine di determinare le potenzialità per il recupero energetico di queste e delle altre biomasse combustibili e residue – evidenzia altre tematiche da considerare: la stagionalità della disponibilità di questi materiali, la distribuzione polverizzata e i conseguenti costi di raccolta e trasporto. Concludendo che “qualunque valutazione di fattibilità tecnico-economica per il loro recupero deve pertanto essere condotta a livello locale”. Infine, precisa Ispra, di questi materiali risultava già utilizzato in vario modo il 43% della sostanza secca e un terzo in peso effettivo; ed è probabile che la quota sia cresciuta nel frattempo. Va segnalato al riguardo che la stima delle quantità e la conoscenza dell’effettiva destinazione dei residui colturali e di potatura potrebbe essere resa, per gli anni più recenti, più semplice e precisa grazie all’introduzione da parte di Istat di alcuni quesiti ad hoc nelle indagini strutturali sul settore agricolo.

Per quanto riguarda le deiezioni animali, la stima per il 2013, ricavabile dai dati forniti dal Centro ricerche produzione animale (Crpa) e riportati anche nello studio Ispra è di 117 Mt, tra liquame (68 Mt) e letame (49 Mt). Gran parte del letame è restituita alla terra, ma è in rapida crescita l’utilizzo energetico. Dai 312 impianti di digestione anaerobica per la produzione di biogas censiti da Ispra per l’anno 2007, 147 erano quelli che trattavano liquame e letame, esclusivamente (88) o in combinazione con scarti organici (agro-industriali e Forsu) e/o colture dedicate alla produzione di energia, per un assorbimento annuo di circa 3 Mt di materia. Nel giro di 7 anni si è passati a circa 1.300 impianti (inclusi quelli che trattano fanghi di depurazione civile) per una potenza installata di 1.000 MWe, e come ha dichiarato in un’intervista a La Stampa Piero Gattoni, è previsto che “entro il 2030 in Italia dovrebbero contarsi circa 2.300 impianti e la potenza elettrica installata dovrebbe raddoppiare”.

In Italia il bilancio delle biomasse utilizzate, esclusi i residui di coltura non immessi nel mercato, vede gli input ai consumi finali delle famiglie attestarsi in totale intorno ai 73 Mt. Di questi, solo 3 Mt sono recuperati come rifiuti per il compostaggio. Ovviamente, non tutti i 73 Mt potrebbero essere recuperati: circa 16 Mt sono costituiti da bevande e tabacco, 2 Mt da carta, 1 Mt da prodotti tessili e d’abbigliamento e 1 Mt da legna da ardere. Rimangono dunque 53 Mt di beni agricoli (19 Mt), prodotti della zootecnia e della pesca (circa 1 Mt), e generi alimentari trasformati industrialmente (33 Mt). Accettando un grande margine di incertezza, si può dire che queste due ultime voci corrispondano a 27 Mt di sostanza secca.

 

 

Per quanto riguarda lo spreco di cibo, un’indagine del 2011 del Dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari dell’Università di Bologna lo ha quantificato lungo l’intera filiera agroalimentare in Italia a circa 20 Mt. Nello stesso anno un report della Commissione europea ha stabilito che in Europa la quantità di cibo che viene sprecata ammonta a 89 milioni di tonnellate l’anno, ovvero 179 chilogrammi pro capite. Per l’Italia ciò vorrebbe dire 10,8 Mt, che è un livello più facilmente riconciliabile con i 7 Mt di scarti indutriali da noi stimati (non tutto spreco), ai quali vanno aggiunti gli sprechi domestici. Più del 40% dello spreco totale alimentare, infatti, si concretizza a livello domestico. Finisce nella pattumiera (dati Adoc – Associazione per la difesa e l’orientamento dei consumatori) “il 35% dei prodotti freschi, il 19% del pane, il 16% di frutta e verdura. Senza considerare gli sprechi di ristoranti, bar e mense”.

 

Per produrre ciò che serve ad alimentare questi sprechi, nel 2012 sono stati immessi inutilmente nell’ambiente circa 143.100 t di azoto reattivo (mentre 85.800 t è l’azoto connesso alle perdite lungo la filiera). Prendendo per buono il 40% come quota del totale degli sprechi della filiera da attribuire al consumo finale domestico, e applicandolo alla stima di 20 Mt di sprechi totali, in Italia avremmo 8 Mt di sprechi domestici, mentre considerando il 40% dei 10,8 Mt, avremmo uno spreco alimentare da parte delle famiglie di 4,3 Mt, pari all’8% dei 53 Mt che arrivano ai consumatori. 

Anche le biomasse consumate dagli uomini (circa 5 Mt di escrementi espressi in sostanza secca) rappresentano una risorsa valorizzata nella produzione di biogas. Parte di questi, infatti, a seguito della depurazione alimentano digestori per la produzione di biogas (fino al 40% di quelli censiti nel 2007). 

Quelli forniti qui, così come nei precedenti articoli, sono solo alcuni dei numeri necessari per comporre un quadro quantitativo generale dei cicli di utilizzo delle biomasse. Se ne potrebbero fornire molti altri: per esempio dettagli sulla composizione e destinazione degli scarti delle industrie agroalimentari e della filiera legno-carta, o – per alcune voci – dettagli territoriali. Tuttavia, purtroppo, da essi non emerge ancora quel quadro sufficientemente preciso, completo e coerente che la progettazione di un’economia circolare estesa per le biomasse italiane richiederebbe.

 

Bibliografia

 

Immagine in alto: ©Gesina Roters, francobolli delle poste olandesi sul tema del riciclo e del risparmio energetico, 2011