C’è una nuova idea di società che si sta diffondendo in molte città, da Parigi a Boston, da Amsterdam a Barcellona. Anzi, si tratta più di un movimento, che affonda le radici nell’idea stessa di economia circolare. Sono le Fab City, veri e propri ecosistemi urbani che stanno sorgendo a immagine e modello dei fabrication laboratory, sparsi oramai in tutto il mondo. I Fab Lab sono luoghi fisici dove spazi, tecnologie, software, strumenti e maestranze vengono condivisi per giungere alla rapida prototipazione di nuovi prodotti, spesso legati alla digitalizzazione e alla sostenibilità. La Fab City nasce proprio in quest’ottica: un nuovo modello urbano pensato per città autosufficienti capaci di produrre localmente ciò di cui necessitano, ma connesse globalmente. Cibo, materiali e processi sono collegati tra loro in un sistema ecologico capace di ridurre drasticamente il bisogno di materie prime e di energia, riutilizzando risorse e materiali locali. È su queste basi che lo studio di design danese Space10, in collaborazione con il Fab City Research Laboratory dello Iaac (Institut d’arquitectura avançada de Catalunya) e Ikea, hanno creato il primo prototipo di Fab City a Barcellona. Un concorso di idee ha visto partecipare architetti, designer Ikea, biologi, produttori locali e artigiani, in un progetto che è andato oltre al concetto di riciclo e upcycle.

 

 

Il movimento Fab City

Lanciato a Lima nel 2011, alla conferenza internazionale Fab7 dall’Institut d’arquitectura avançada de Catalunya, dal Mit Center for Bits and Atoms, dalla Fab Foundation e dalla municipalità di Barcellona, il movimento Fab City è presto cresciuto in tutto il mondo. L’impegno assunto dalla città di Barcellona è quello di diventare una città autosufficiente almeno per il 50% entro il 2054. Ovvero produrre tutto ciò che la città consuma, fare da sorgente per progetti open source pensati per smart city e riciclare la maggior parte dei materiali. Nel 2014 l’appello viene lanciato a livello globale e l’anno successivo sono almeno 12 le grandi città, tra cui Amsterdam, Parigi e Boston aderiscono al progetto oltre a 2 nazioni (Bhutan e Georgia), facendo così crescere il movimento in tutto il mondo.

 

L’esperimento Poblenou a Barcellona

Poblenou, “villaggio nuovo” in catalano, è un quartiere della città spagnola che negli anni ha subito profonde trasformazioni: da villaggio industriale si è evoluto in quartiere dedicato all’arte, al design e soprattutto all’Ict (Information and communications technology). Ed è qui che Space10 ha partecipato, nel 2016, al Made Again Challenge: un distretto di un chilometro quadrato trasformato in Fab City, dove testare attivamente il modello circolare di economia. Una decina di Fab Lab connessi tra loro hanno aperto letteralmente le porte anche ai cittadini mettendo a disposizione fresatrici, stampanti 3D, macchine per il taglio laser. Qui si è testato un nuovo concetto di produzione, diverso da come l’abbiamo sempre vissuto. Non più materiali e prodotti realizzati a migliaia di chilometri di distanza, inviati e venduti a consumatori passivi, ma un sistema produttivo capace di impiegare risorse locali per esigenze locali. Gli stessi abitanti del quartiere sono stati coinvolti nel progetto. Hanno raccolto spazzatura, plastica, legno, metallo e si son fatti ispirare da tessuti come Ecoalf, prodotto con fibre realizzate a partire dalla plastica raccolta sulle coste spagnole. O dai pannelli realizzati in materiali riciclati da Smile Plastics. O ancora da Piñatex, eco pelle prodotta a partire dalle foglie d’ananas. Ne son nati così oggetti totalmente nuovi, complementi d’arredo originali, certamente sui generis, ma che andavano al di là del puro esercizio di stile o dell’atto di riciclare. Perché l’idea è quella di creare un rete all’interno della città, capace di comunicare, produrre, condividere. E di ridurre. Ridurre i consumi, lo spreco di materiali, i rifiuti e di conseguenza anche le emissioni legate alle attività produttive e industriali. Ma l’esperimento è andato anche oltre: un gruppo di biologi, di esperti di funghi e designer hanno creato un “laboratorio biologico”. Una sorta di compostatore biologico indoor, dove coltivare organismi viventi in grado, da una parte di digerire alcuni materiali organici che finirebbero altrimenti in discarica, dall’altra di fornire materiali da costruzione biobased, a partire dal micelio. L’apparato vegetativo del fungo può essere infatti impiegato per l’isolamento degli edifici al posto delle schiume poliuretaniche. In teoria ogni quartiere potrebbe avere il proprio laboratorio biologico, dove coltivare funghi o alghe.

 

 

Certo passare da un paradigma a un altro non sarà semplice, neppure potrà accadere nel breve termine. Ma l’idea stessa di una città circolare può dare un forte impulso alla collaborazione e alla creazione di nuove opportunità, che potrebbero riequilibrare l’impatto che la nostra società ha sul pianeta. 

 

Space10, space10.io

Fab City Research Laboratory, iaac.net/research-departments/fab-city-research-laboratory