L’inquinamento, il sovrasfruttamento, la pesca illegale, non documentata e non regolamentata e i cambiamenti climatici sono diventati gravi minacce per gli ecosistemi acquatici. Per sbloccare il potenziale dei mari e degli oceani, è essenziale una gestione adeguata della pesca. Gli ecosistemi marini e d’acqua dolce del mondo – il Mondo Blu – forniscono servizi ecosistemici essenziali, biodiversità, cibo e mezzi di sostentamento per centinaia di milioni di persone. Però, fino a ora gli esseri umani hanno attinto solo a una parte delle sue risorse, senza rispettare la biodiversità, né contribuire al ripristino della popolazione ittica o senza impegnarsi in una gestione adeguata delle coste.

Per arrivare all’utilizzo sostenibile delle risorse acquatiche viventi, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) promuove attivamente politiche e pratiche sostenibili nell’industria ittica e nell’acquacoltura, comprese iniziative mirate a creare una bioeconomia circolare nel Mondo Blu.

Nel 2013 la Fao ha lanciato la Blue Growth Initiative (Bgi) che si basa sul Codice di condotta per l’industria ittica responsabile della Fao e si concentra sull’innovazione e l’utilizzo sostenibile delle risorse viventi acquatiche. Per saperne di più riguardo alla Blue Growth Initiative, Materia Rinnovabile ha intervistato Jacqueline Alder Fishcode Manager del Dipartimento dell’Industria ittica e dell’acquacoltura.

 

Qual è l’obiettivo fondamentale della BGI?

“L’obiettivo della Bgi è l’efficienza nell’uso delle risorse derivate da prodotti marini. Fondamentalmente, stiamo riducendo ed eliminando le perdite e gli sprechi di cibo. In particolare stiamo implementando modi innovativi di usare le parti del pesce che non vengono mangiate, come la pelle e lo scheletro. Queste parti vengono spesso disperse nell’ambiente o nella stessa acqua in cui i pesci vengono catturati. Abbiamo identificato dei mercati in cui queste parti possono essere riutilizzate, alcuni dei quali imprevedibili, come l’industria della moda.”

 

 

Cosa si può fare con la pelle del pesce?

“A seconda dell’uso che se ne vuole fare, si può essiccarla e poi tingerla in modo da renderla simile al cuoio, o applicarvi della cera gommosa così da trasformarla in un tessuto lucido impermeabile. Viene usata per produrre accessori, più che un intero vestito. Per esempio in Marocco ho visto scarpe di pelle di pesce. Pesci diversi offrono disegni differenti: alcuni hanno squame molto piccole, che creano un trama molto piacevole; mentre le squame più grandi creano una pelle con una trama meno definita.”

 

Dove si sta sviluppando questa idea innovativa?

“Abbiamo progetti in Brasile, Marocco e alle Seychelles. Nel mondo industrializzato sta anche diventando un’industria emergente, specialmente in paesi nordici come le Isole Færøer. Questi paesi stanno diventando un hub per la bioeconomia marina, non solo per quanto riguarda la pelle di pesce, ma anche per altri prodotti come alghe e altri vegetali marini.

Alla Fao speriamo di trasferire queste tecnologie e questi processi, che sono emersi nei paesi nordici, in quelli in via di sviluppo così da poter coinvolgere più donne e giovani nella creazione di nuove industrie nel settore della moda marina.”

 

 

Perché le donne avranno i maggiori benefici?

“La cosa bella dell’industria ittica è che le donne si occupano di gran parte dei processi successivi alla pesca. Gli uomini prendono il pesce e poi le donne lo lavorano. Però, spesso il loro lavoro non viene ricompensato equamente. Così, se aggiungono altri processi, possono trarre maggiore guadagno dal loro lavoro. Questo può dar loro più potere e migliora il reddito delle loro famiglie. E le donne sono spesso quelle che gestiscono la casa. L’incremento del reddito delle donne si tradurrà in miglioramenti immediati nelle loro famiglie, come un aiuto per le spese universitarie e l’acquisto di cibi nutrienti. C’è dell’altro: la moda è spesso legata alle donne. Quindi, le donne nel settore ittico possono aprire piccole attività che producono nuovi indumenti o formare cooperative in modo da potersi ritrovare per lavorare e vendere la pelle, ricavando un reddito da ciò che altrimenti verrebbe buttato via. Questo può ispirare particolarmente le donne giovani a creare accessori con gli scarti del pesce in modo da risvegliare la consapevolezza del bisogno di usare e riutilizzare in modo sostenibile le nostre risorse marine. Fa tutto parte dell’economia circolare in costruzione.”

 

Qual è il potenziale della bioeconomia nei paesi emergenti?

“Penso che il potenziale della bioeconomia sia fantastico, considerato quello che abbiamo visto negli ultimi dieci anni. Parallelamente alla pelle di pesce abbiamo usato altre parti per produrre integratori alimentari, macinando tutti gli scarti in una polvere che viene utilizzata dalle mamme per l’allattamento e per la nutrizione dei bambini, dato che favorisce lo sviluppo cerebrale. Ha un potenziale in molti settori: nell’industria ittica e in agricoltura, e per la creazione di prodotti, materiali e fonti alternative di cibo. L’innovazione non ha confini: per esempio, c’è un gruppo in Islanda che usa la pelle di pesce per rimpiazzare quella umana, per le persone affette da diabete o vittime di ustioni. È importante notare che questi neo-prodotti non creeranno problemi alla sicurezza alimentare perché utilizzano ciò che viene scartato dall’industria alimentare. In realtà, la bioeconomia può giocare un ruolo nella lotta alla fame attraverso lo sviluppo di alimenti mediante l’acquacoltura. Usare le alghe come fonte alimentare può rimediare alla mancanza di cibo attraverso l’acquacoltura. Il settore ittico è generalmente uno degli ambiti in cui abbiamo il potenziale maggiore per aumentare la produzione di cibo dato che le terre emerse sono limitate. Dobbiamo essere sicuri che tutto ciò che viene coltivato sia utilizzato e niente venga buttato via. Gli scarti del pesce dovrebbero essere riciclati nel sistema agricolo per migliorare la qualità del suolo o trasformati in un materiale utile.”

 

 

La produzione globale di alghe è più che raddoppiata tra il 2000 e il 2014 raggiungendo un totale di oltre 30 milioni di tonnellate (in peso umido), secondo la Fao, con la Cina al primo posto nella produzione mondiale. Ma, è solo un additivo nutriente per una zuppa di tofu, una guarnizione per un’insalata croccante e un ingrediente per il sushi o può diventare una piattaforma di lancio per la rivoluzione della bioeconomia?

“Stiamo solo cominciando a vedere usi alternativi per le alghe oltre al semplice uso alimentare. Possiamo trasformarle in materiali. Le loro sostanze attive hanno anche catturato l’attenzione di una serie crescente di settori industriali – dalla produzione di carta e tessuti a prodotti cosmetici e parafarmaceutici. Ci sono aziende che stanno utilizzando le alghe per gli imballaggi perché si decompongono nell’ambiente sia in acqua che nei sistemi di compostaggio: alcuni materiali ricavati dalle alghe cominciano a farlo in meno di una settimana. Questi usi alternativi dei prodotti marini possono veramente avere un impatto sulle economie dei paesi in via di sviluppo.”  

 

 

Blue Growth Initiative, www.fao.org/policy-support/policy-themes/blue-growth/en

Tutte le foto ritraggono alcune delle creazioni dei designer vincitori del “Fashion Challenge event”, sponsorizzato da Nordic Council. Foto di Tommy Ton – Blue Fashion Challenge event