“A questo punto, il problema è che abbiamo un problema.”
– Capitan Ovvio

 

Il 2012 verrà ricordato come un anno di svolta. Durante Rio+20, la Conferenza Onu sullo sviluppo sostenibile, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon ha lanciato la Sfida Fame Zero, iniziativa attraverso la quale la Fao – agenzia dell’Onu per l’alimentazione e l’agricoltura istituita nel 1945 con il mandato di ridurre gli sprechi alimentari – e una serie di partner hanno definito un’azione globale volta a limitare le perdite alimentari e lo spreco di cibo. Sulla stessa scia e con simili finalità, il governo olandese ha recentemente organizzato la conferenza internazionale “No more food to waste” (16-19 giugno 2015). Dai lavori della conferenza emerge una lista dettagliata di desiderata e di azioni da intraprendere.

Accade spesso che i cittadini percepiscano le organizzazioni internazionali e multilaterali come entità pachidermiche. Sono enormi e appaiono molto potenti anche se impacciate e a volte rumorose; è preferibile che si tengano a una certa distanza, non essendo sempre chiaro il loro modo di agire. Va detto però che gli elefanti sono animali particolari, perché tramite dei sensori posizionati sui piedi percepiscono i tremori causati da altri animali ed elefanti, anche se molto lontani. Ecco perché avvertono l’arrivo di un terremoto in anticipo rispetto agli altri. Il risultato della conferenza è proprio questo: ha anticipato con chiarezza quanto sta accadendo sul pianeta. 

 

Con i piedi per terra

Ridurre gli sprechi alimentari significa mitigare questioni sociali e ambientali drammatiche sotto ogni punto di vista. Il Wfp (World Food Programme) stima che 795 milioni di persone, pari a 1/9 della popolazione mondiale, “non abbiano cibo a sufficienza per condurre una sana vita attiva”, mentre la Fao valuta che circa 1/3 di tutto il cibo prodotto nel mondo finisca nella spazzatura. L’impronta ecologica di tutto ciò è pari a un sorprendente 7% delle emissioni di gas serra. Il valore economico complessivo di questo spreco è attualmente stimato in 360 miliardi di euro l’anno e raggiungerà probabilmente i 500 miliardi di euro l’anno nei prossimi 15 anni. Vale a dire che lo spreco alimentare ammonta ogni anno a circa due volte il Pil della Grecia (185 miliardi di euro l’anno, si colloca tra il 43° e il 53° Pil internazionale secondo Ppp) e supera di gran lunga il debito greco totale, pari a 320 miliardi di euro. (A proposito, secondo Eurostat nel 2014 il 44% dei greci viveva al di sotto della soglia di povertà.)

Considerato questo contesto e la crisi economica del 2008, a causa del netto incremento della povertà registrato in tutta Europa, le organizzazioni locali sono state le prime a spronare all’azione. I governi nazionali e le istituzioni dell’Unione europea hanno poi intrapreso lo stesso cammino. Già dal 1985, con l’iniziativa “Restos du Cœur” portata avanti dal comico e poi candidato presidenziale francese Coluche e poi nel 1986, con l’istituzione della Federazione europea dei banchi alimentari, l’azione degli enti di beneficienza e dei volontari aveva già dato risultati significativi, tra cui il programma dell’Unione europea per gli indigenti. Ciò non toglie che la vasta portata del problema impongano la pianificazione di nuove azioni.

 

The Waste Makers, Vance Packard, Pelican Book, 1960

 

Spronare all’azione i cittadini dei paesi membri dell’Ue: il caso della Germania

Nel marzo del 2012 uno studio dell’Università di Stoccarda ha stabilito che i cittadini tedeschi sprecano 82 kg di cibo pro capite l’anno. I rifiuti alimentari delle famiglie ammontano a un totale di 6,7 milioni di tonnellate di cibo l’anno, equivalenti a circa 230 euro pro capite. Il Ministero per l’Agricoltura e l’Alimentazione ha perciò avviato l’iniziativa “Troppo buono per il cestino!”, che punta a ridurre lo spreco alimentare condividendo responsabilità e impegno lungo l’intera catena di valore. Il progetto consiste in una campagna di informazione pubblica con messaggi video, un sito web dedicato che offre informazioni e suggerimenti utili per la vita quotidiana, la diffusione dell’applicazione “Zu gut für die Tonne”, che consiglia come preparare 400 deliziose ricette con gli avanzi e il contributo di chef famosi. Bmel, Slow Food Deutschland e.V. e Bundesverband Deutsche Tafel organizzano giornate nazionali contro lo spreco alimentare, al grido di “Wir retten Lebensmittel!” (“Salviamo il cibo!”). Durante questi eventi, presso produttori e supermercati viene raccolto il cibo che andrebbe altrimenti gettato. I partecipanti preparano quindi un gustoso “menu di avanzi” che viene poi consumato dai cittadini in conviviali banchetti di strada. 

Un’indagine condotta nell’ottobre del 2014 dall’associazione di ricerca per i consumatori GfK per conto del Ministero per l’Agricoltura e l’Alimentazione ha misurato i risultati della campagna: oltre ad aver stabilito che un cittadino tedesco su due era a conoscenza dell’iniziativa, l’indagine ha rilevato che il 58% degli intervistati è oggi più attento a ciò che acquista per evitare di produrre sprechi, il 46% utilizza meglio i propri avanzi e il 36% pone maggiore attenzione alle corrette pratiche di conservazione dei cibi.

Dal punto di vista del settore industriale, lo studio German National Research Strategy – Bioeconomy 2030, Our route towards a biobased economy, suggerisce che la maggior parte dei problemi sollevati dalla produzione di rifiuti alimentari verrà risolta con l’avvento della bioeconomia. Nello specifico, i rifiuti alimentari organici diventeranno una materia prima per la nuova bioindustria emergente. Non esistono in effetti piani dettagliati che comprovino questi potenziali risultati, ma molti indicatori segnalano come questa sia senz’altro la strada futura. Come già accaduto per la produzione colture alimentari di base da destinare a fonte energetica, la novità continuerà certamente a sollevare dibattiti pubblici. 

 

Don’t waste bread!, Clarke & Sherwell Ltd - Ministry of Food, 1914–1919

 

Un tocco francese

La Francia, invece, ha intrapreso un percorso totalmente differente. Secondo il Ministero francese per l’Ambiente, a partire dal 1974 lo spreco alimentare è raddoppiato: oggi i cittadini francesi gettano 20 kg di cibo pro capite ogni anno. Di questi 20 kg, 7 sono costituiti da cibi confezionati e non consumati. Nel complesso finiscono nella spazzatura tra i 100 e i 160 euro pro capite l’anno, con un impatto sui redditi familiari pari a 12-20 miliardi di euro l’anno, senza considerare gli effetti collaterali. 

Nel 2010, il Consiglio nazionale francese per la riduzione dei rifiuti ha istituito un gruppo di lavoro specifico per la prevenzione degli sprechi alimentari, inteso a suggerire le possibili azioni in tal senso. Il Consiglio ha elaborato una serie di raccomandazioni che puntano a collegare la strategia nazionale per la prevenzione degli sprechi di cibo al programma alimentare nazionale, prevedendo nello specifico alcune azioni:

  • attuazione di una legislazione che chiarisca le responsabilità delle organizzazioni che desiderano donare cibo e di quelle che ricevono gli alimenti donati;
  • consolidamento della formazione specializzata per cuochi professionisti;
  • inclusione dello spreco alimentare come argomento dei programmi curricolari scolastici;
  • chiarimenti sulla legislazione e sulla normativa esistente con specifico riferimento ai mercati della ristorazione e della nutrizione;
  • chiarimenti sulla legislazione e sulla normativa esistente con specifico riferimento alle etichette con date di scadenza consigliate e precise;
  • costituzione di un’associazione tra i principali interlocutori del settore alimentare;
  • sviluppo di linee guida e buone prassi che tengano conto di tutte le fasi della catena alimentare;
  • definizione di una serie di accordi volontari;
  • proseguimento delle campagne di comunicazione pubblica e di aumento della consapevolezza.

Nel 2013 il Ministero dell’Agricoltura ha definito un successivo accordo anti-spreco a livello nazionale, basato su 11 differenti misure emerse dall’impegno degli attori dell’intera catena alimentare (agricoltori, grande distribuzione, agribusiness, vendita al dettaglio, ristorazione e ristoranti commerciali, autorità locali). Nell’agosto del 2014, ha aderito anche il Ministero dell’Ambiente, proponendo un programma nazionale per la prevenzione degli sprechi per il periodo 2014-2020. Tra gli altri obiettivi, punta a una riduzione degli sprechi del 50% entro il 2025, mediante l’attuazione di sei azioni specifiche: 

  • sostenere e rafforzare la battaglia contro la produzione dei rifiuti nel settore della ristorazione;
  • prendere in esame i legami tra prodotti alimentari e imballaggi;
  • incentivare l’utilizzo dei contenitori da asporto per ciò che avanza nei ristoranti;
  • promuovere azioni contro gli sprechi alimentari a livello locale; 
  • monitorare l’avanzamento di normative destinate ai grandi produttori di rifiuti organici;
  • costituire un’associazione tra i principali interlocutori che si occupano del problema dei rifiuti alimentari.

Tra i due esempi europei di metodi per affrontare la riduzione degli sprechi alimentari, l’approccio incrementale adottato dalle autorità francesi è forse quello più maturo e completo per gestire la complessità del problema. Ma c’è da prendere in considerazione un altro aspetto dell’agire politico tipico dei francesi: la predilezione per i grandi balzi in avanti, che conosciamo con il nome di giacobinismo.

 

Lick the platter clean. Don’t waste food, World War II Posters, 1942 - 1945, National Archives at College Park

 

Un assessore che sovverte le regole 

Nello scorso maggio, Arash Derambarsh è salito agli onori delle cronache nazionali e internazionali. Derambarsh, assessore municipale di 35 anni per il partito “Divers Droit” (destra diversa) nel sobborgo periferico di Courbevoie, nord-ovest di Parigi, ha promosso una petizione online per porre fine agli sprechi di cibo. In soli quattro mesi, ha raccolto oltre 200.000 firme e conquistato un’improvvisa visibilità internazionale. Il 21 maggio, l’Assemblea nazionale ha adottato all’unanimità tre emendamenti alla legge sulla transizione energetica, che obbligano innanzitutto i distributori alimentari a prevenire qualsiasi spreco di cibo ancora adatto al consumo umano. Pertanto, i supermercati non potranno più utilizzare la candeggina per danneggiare l’invenduto prossimo alla scadenza, una pratica comune dettata da priorità in termini di gestione dei rischi sanitari, che fa però indignare Derambarsh, attivista locale da sempre impegnato per una migliore distribuzione del cibo.

Qualora per il supermercato sia impossibile evitare gli sprechi, gli altri emendamenti obbligano a donare le merci in eccesso ad associazioni di beneficienza e altre organizzazioni riconosciute. Nel caso in cui questa soluzione non sia applicabile, il cibo in eccesso deve essere destinato all’alimentazione animale o al compostaggio per l’agricoltura e il giardinaggio, e, come ultima ratio, destinato alla produzione di energia. A partire da luglio 2016, i supermercati con superficie superiore ai 400 metri quadrati sono obbligati a sottoscrivere convenzioni specifiche con le organizzazioni di beneficienza, pena due anni di reclusione o multe fino a 75.000 euro.

Dopo aver ottenuto questo unanime consenso in Francia, Derambarsh punta a far adottare regole simili a livello di Unione europea, e poi a livello globale. Agisce con un metodo simile a quello utilizzato nel suo paese e con il quale ha ottenuto tanto successo. Una petizione online, diffusa tramite change.org in sei diverse lingue (incluso il fiammingo), è già stata firmata da oltre 550.000 cittadini europei. L’obiettivo è quello di raggiungere un milione di firme. Qualcosa si muove: il 9 luglio 2015 la Commissione per l’ambiente, la sanità pubblica e la sicurezza alimentare del Parlamento europeo ha adottato un emendamento al pacchetto di leggi sull’economia circolare, con 45 voti a favore e 19 contrari; l’emendamento è quindi stato approvato dalla sessione plenaria del Parlamento con 394 voti a favore, 197 contrari e 82 astenuti (il testo finale non è ancora disponibile al momento della stesura di questo articolo).

Con lo sguardo sempre rivolto al futuro, Derambarsh ha svelato in un’intervista a The Guardian la sua intenzione di riproporre il problema – tramite l’associazione One fondata da Bono Vox, cantante degli U2 – a settembre del 2015, quando durante l’Assemblea delle Nazioni Unite verranno discussi gli obiettivi di sviluppo del millennio. A novembre la questione verrà sollevata durante il summit economico dei G20 in Turchia e poi durante la conferenza COP21 sull’ambiente che si terrà a Parigi a dicembre.

 

Rimanere nei binari giusti

Sembra che l’elefante di cui si è detto all’inizio si sia definitivamente messo in moto. Sebbene sia molto lento all’inizio, quando inizia a camminare è molto più veloce della maggior parte degli esseri umani e meno incline ad arresti improvvisi.

Il progredire verso la cancellazione dello spreco alimentare secondo le modalità promosse dall’assessore francese solleva però anche numerose problematiche, alcune delle quali evidenziate tanto dai distributori quanto dalle organizzazioni di beneficienza. Una delle difficoltà più importanti è come conservare la qualità dei cibi donati. In che modo e con quali costi, per esempio, i supermercati dovranno conservare il cibo da donare? E soprattutto, come riusciranno gli enti destinatari dei cibi a immagazzinarli e poi distribuirli? L’organizzazione delle necessarie infrastrutture logistiche, ovvero dei sistemi di trasporto e refrigerazione, ha costi molto elevati. In che modo verranno coperti? 

Una delle possibili e più promettenti soluzioni è il principio della responsabilità condivisa o estesa del produttore (Epr). La rivista Materia Rinnovabile continuerà a documentare il dibattito in corso sulla possibile applicazione dell’Epr per contrastare lo spreco alimentare e sulle promettenti innovazioni su cui si basa la bioeconomia.