Università e centri di ricerca d’eccellenza, grandi imprese e start-up innovative, cluster, impianti pilota, un sistema logistico di primissima qualità, l’agricoltura e la chimica come settori trainanti dell’economia. Non potrebbero esserci condizioni migliori per sviluppare la bioeconomia. E queste condizioni sono tutte presenti nei Paesi Bassi, presidente di turno dell’Unione europea che si prepara a ospitare la Quarta Conferenza europea degli stakeholder della bioeconomia dal 12 al 13 aprile a Utrecht. 

Tra Amsterdam e Rotterdam la bioeconomia è un concetto ben radicato. Si fonda su due elementi: una strategia a medio-lungo termine, “Hoofdlijnennotitie Biobased Economy” (2012), che pone il settore al centro delle politiche d’innovazione e di crescita sostenibile nazionali. Ma anche partnership pubblico-private che riuniscono – con il supporto governativo – imprese, organizzazioni non profit e centri di ricerca (Manifest Bio-based economy nel 2011, Innovation Contract for the Bio-based economy nel 2012).

Considerato l’imminente esaurimento delle riserve di gas olandesi (non dureranno più di vent’anni secondo gli esperti), il governo de L’Aia punta innanzitutto a trovare fonti energetiche alternative. I Paesi Bassi vantano considerevoli competenze nel campo dell’energia rinnovabile e occupano una posizione di leadership a livello mondiale. Il governo sostiene fortemente il settore e l’ha inserito nei nove top sectors della programmazione della politica industriale messa a punto nel febbraio 2011 dal ministero degli Affari economici.

L’obiettivo è arrivare a una produzione energetica rinnovabile del 14% nel 2020 e del 16% nel 2023, grazie a un programma nazionale strategico strutturato su tre direttrici: risparmio energetico, sviluppo delle fonti rinnovabili e uso efficiente di quelle fossili. 

Ma i Paesi Bassi sono anche un importante hub delle biotecnologie, settore in cui il governo punta a raggiungere una posizione leader a livello mondiale entro il 2025. Per questo motivo anche il biotech è stato inserito tra i settori prioritari dell’economia olandese. Nel 2013 il finanziamento totale è stato di circa 310 milioni di euro, di cui 143 provenienti da capitali privati e 167 da fondi pubblici.

Ma la vera parte del leone i Paesi Bassi la giocano nell’ agroalimentare, con un valore aggiunto di 42 miliardi di euro nel 2014 e 641.000 occupati. Il settore può vantare un elevato tasso d’innovazione, anche grazie alla stretta relazione con l’Università Agraria di Wageningen, una vera e propria autorità mondiale per la ricerca e la formazione nel campo, punto di riferimento anche per la bioeconomia europea. 

Per metà olandese (l’altra metà è britannica) è Unilever, colosso proprietario di alcuni dei marchi più noti dell’alimentazione e fondatore – insieme a Coca-Cola, Nestlé e Danone – della Bioplastic Feedstock Alliance (Bfa) con l’obiettivo di favorire l’impiego di bioplastiche nel packaging alimentare. A fornire la tecnologia necessaria è sempre un’impresa olandese: lo spin-off di Royal Dutch Shell, Avantium, il quale ha tra i propri maggiori investitori il fondo belga Capricorn Venture. La tecnologia brevettata si chiama YXY e grazie a essa sarà possibile sostituire il Pet con il Pef (polietilene furanoato). Secondo Tom van Aken, amministratore delegato di Avantium, “YXY è in grado di originare nuove materie plastiche biobased con eccezionali proprietà funzionali e a un costo competitivo, integrando perfettamente il processo di produzione con le filiere esistenti”. 

Olandese è anche Friesland Campina, una delle cinque più grandi aziende lattiero-casearie del mondo (fatturato annuo di 11,3 miliardi di euro), che sta lavorando all’introduzione sul mercato di un nuovo cartone biobased per bevande prodotto con un materiale ricavato da rifiuti organici certificati, che si aggiungerà a un cartone già rinnovabile. La società mira a ridurre la propria carbon footprint di un ulteriore 20% rispetto a quella generata con gli attuali imballaggi. 

Quando si parla di chimica si parla invece di grandi compagnie come Royal Dsm, AkzoNobel, Royal Dutch Shell, Corbion. Tutte società che stanno investendo grandi capitali nella bioeconomia. Nei Paesi Bassi il settore chimico è tradizionalmente favorito sia dalla disponibilità delle materie prime necessarie, sia da un ottimo sistema di trasporto multimodale che si serve di navi, autocarri, treni, oleodotti e gasdotti. In base ai dati dell’Associazione olandese di categoria (Vnci), nel 2013 il giro d’affari netto del settore ha registrato un ammontare totale di circa 57 miliardi di euro (51 miliardi escludendo i prodotti farmaceutici). Sempre nel 2013 l’export complessivo ha raggiunto la cifra di 75 miliardi di euro, mentre l’import si è attestato a 52 miliardi di euro (+3% rispetto al 2012), con un saldo commerciale positivo di 23 miliardi di euro. 

La struttura imprenditoriale olandese è caratterizzata dal fenomeno della formazione di “gruppi” che consentono rilevanti economie di scala, soprattutto in materia di costi di trasporto e di smobilizzo delle materie prime, grazie alle ottime infrastrutture sviluppatesi nelle aree dei porti di Amsterdam, Delfzijl, Flushing-Terneuzen, Heerlen-Geleen e Rotterdam-Moerdijk. 

Non è un caso che i porti olandesi siano tra i principali protagonisti della bioeconomia. Uno su tutti è il porto di Rotterdam, che non solo mira a diventare l’hub logistico della biomassa utilizzata in Europa ma è anche coinvolto, insieme ad AkzoNobel, in un progetto che vuole sperimentare il possibile impiego dei rifiuti solidi urbani per la produzione di biocarburanti e biochemicals, impiegando la tecnologia della canadese Enerkem.

Nei Paesi Bassi, inoltre, hanno il proprio quartier generale due veri e propri colossi della nuova economia che impiega le risorse biologiche come materia prima: Dsm e Corbion Purac. Entrambe le società stanno sviluppando acido succinico biobased attraverso joint-venture con altri due colossi chimici europei. Dsm con la francese Roquette ha dato vita a Reverdia, che produce il proprio Biosuccinium nello stabilimento italiano di Cassano Spinola (Piemonte). Corbion Purac con la tedesca Basf ha costituito Succinity GmbH, che ha il proprio impianto produttivo a Montmelò, in Spagna. 

Attraverso un’altra joint-venture con la statunitense Poet, Dsm ha avviato negli Usa la produzione di un biocarburante avanzato: nel settembre 2014 nello stato dell’Iowa è stato inaugurato il loro primo impianto commerciale che utilizza scarti agricoli. “Un giorno storico – l’ha definito Feike Sijbesma, amministratore delegato di Dsm – che segna il passaggio dall’età fossile all’età biorinnovabile”. 

In effetti i Paesi Bassi sanno sfruttare al massimo la loro vocazione storica all’internazionalizzazione. Ne è una testimonianza anche la grande apertura alle collaborazioni con partner stranieri da parte dei cluster locali. 

Lo scorso ottobre a Bruxelles, nel corso del Forum europeo sulle biotecnologie industriali e la bioeconomia, Biobased Delta ha lanciato Intercluster 3BI, insieme ai francesi di Iar-Pole, ai tedeschi del Bioeconomy Cluster di Halle e ai britannici di BioVale. Si tratta di una partnership tra quattro dei maggiori cluster europei, che comprende bioraffinerie per la conversione delle risorse biologiche in alimenti, mangimi, materiali, prodotti chimici e carburanti. Lo spirito è condividere la ricerca, lo sviluppo e la realizzazione di nuovi approcci altamente tecnologici per la conversione di biomassa, materie prime rinnovabili e rifiuti in prodotti e applicazioni a valore aggiunto. 

Biobased Delta è il cluster del sud-ovest dei Paesi Bassi; si presenta con uno slogan che mette insieme i punti di forza dell’economia nazionale: “l’agricoltura incontra la chimica”. I residui agricoli sono considerati alla base dell’innovazione industriale biobased. In modo particolare per la chimica, perché il cluster olandese fa parte a sua volta del più grande cluster chimico al mondo formato dalle regioni di Anversa, Rotterdam e della Ruhr.

Biobased Delta ospita al proprio interno Biorizon, un centro di ricerca condiviso (che ha come partner anche il centro di educazione alla bioeconomia di Ghent, Bio Base Europe), specializzato nello sviluppo di tecnologie per la produzione di composti aromatici provenienti da fonti rinnovabili da utilizzare per materiali ad alte prestazioni, prodotti chimici e rivestimenti. L’obiettivo è ambizioso: essere nei prossimi anni nella top 3 mondiale per quanto riguarda questa tipologia di ricerca. In questo quadro si colloca – oltre a un’intensa attività di relazioni internazionali dal Brasile al Canada – il protocollo d’intesa firmato nel gennaio del 2014 a Reims, presso la sede di Iar-Pole, da Willem Sederel, direttore generale di Biobased Delta, e dal Presidente François Hollande in persona, proprio allo scopo di favorire l’utilizzo di Biorizon da parte dell’industria francese.

Ma non solo: tra le iniziative del cluster olandese va segnalato anche il Campus chimica verde, un acceleratore d’impresa per le innovazioni provenienti dall’impiego di fonti rinnovabili. Nella sede della Sabic Innovative Plastics (società controllata dal colosso petrolchimico saudita Sabic), a Bergen op Zoom, imprese grandi e piccole, centri di ricerca, università e istituzioni di governo lavorano a stretto contatto in un ambiente d’innovazione aperto per sviluppare nuove tecnologie rigorosamente biobased, attraverso la valorizzazione dei flussi di residui del settore agricolo e alimentare.

Un progetto di respiro internazionale è anche Big-C, il BioInnovation Growth mega-Cluster, un’iniziativa di specializzazione intelligente transfrontaliera che mira a trasformare il mega cluster industriale composto dalla regione belga delle Fiandre, dai Paesi Bassi e dalla regione tedesca della Renania settentrionale-Vestfalia in un leader globale della bioeconomia. Siamo di fronte non solo al più grande cluster chimico d’Europa, ma anche a un cluster importante per agricoltura e silvicoltura. Ma soprattutto, è qui che si registra la più elevata emissione di CO2 e la maggiore generazione di rifiuti urbani di tutto il Vecchio Continente. Qui la bioeconomia si lega perfettamente al nuovo paradigma dell’economia circolare.

Ad animare Big-C da parte olandese è la Fondazione BE-Basic, l’ennesimo progetto di partnership pubblico-privata, coordinato dall’Università tecnologica di Delft con la finalità di supportare la ricerca e sviluppo di nuovi bioprodotti sostenibili. Al suo avvio, nei primi mesi del 2010, ha ricevuto un finanziamento di 120 milioni di euro dal governo de L’Aia per supportarne l’attività, che è, anche in questo caso, fortemente orientata all’internazionalizzazione. Fanno parte di BE-Basic diverse università europee, come l’Imperial College di Londra e l’Università tecnologica di Dortmund. Inoltre sono attive collaborazioni in Malesia, Brasile, Stati Uniti e Vietnam.

Fiore all’occhiello del progetto è il Bioprocess Pilot Facility, un impianto pilota messo a disposizione di start-up e grandi imprese per lo scale-up industriale dei loro processi basati sull’impiego di risorse biologiche. Verificare se una buona idea sviluppata in laboratorio è in grado di diventare realmente un nuovo bioprodotto è, infatti, una fase molto importante. Il Bioprocess Pilot Facility consente di suddividere l’investimento necessario all’impianto tra più imprese. “Investire in un impianto pilota dedicato per una sola impresa – sostiene Arno van de Kant, direttore del Business development per Bpf – può essere oneroso (15-20 milioni di euro), e – dato forse ancora più importante – si ha bisogno di tecnici di processo esperti e di operatori che migliorino il processo”. 

Per i Paesi Bassi lo sviluppo della bioeconomia è strategico. “Considerati i nostri punti di forza nell’industria chimica, nell’agroalimentare e nella logistica – rivendica van de Kant – stiamo cercando di essere tra i primi a realizzare con successo l’approdo a un’economia circolare sostenibile”.

 

 

BioEconomy Utrecht 2016, www.bioeconomyutrecht2016.eu

Bioplastic Feedstock Alliance, bioplasticfeedstockalliance.org

Le poste olandesi (PostNL) hanno una lunga tradizione di emissione di francobolli di altissima qualità grafica e comunicativa, e per questo sono riconosciuti in tutto il mondo.
In questo articolo, nell\'ordine:

  • il foglio completo dei francobolli di Daan Roosengaarde, un puzzle che rappresenta l’Olanda come un network di luci visto dallo spazio;
  • un francobollo disegnato dallo Studio Tord Boontje;
  • il foglio di francobolli commemorativo del Museo del mare di Rotterdam;
  • francobolli disegnati da Irma Boom per il Rijksmuseum nel 2013, dove ogni francobollo riporta parti di opere d’arte che si possono completare
  • applicandovi a lato il francobollo successivo.
  • dalla serie Nederlandse Molens (2013) di Loost Veekkamp, grafico e illustratore;
  • dalla serie Kinderpostzegels (2013) di Anton Corbijn, fotografo e cineasta.

Vedi il sito: www.iconenvandepost.nl

 


 

Intervista a Yvonne van der Meer, direttrice del dipartimento di materiali biobased dell’Università di Maastricht.
A cura di Mario Bonaccorso

 

Il segreto della tripla elica

 

“I punti di forza dell’Olanda nel campo dell’industria e delle infrastrutture della conoscenza nei settori di punta della chimica e dell’agroalimentare costituiscono un buon punto di partenza per lo sviluppo di una fiorente economia biobased. Quasi tutte le province olandesi hanno dato vita a programmi di economia biobased per sfruttare in contesto nazionale le opportunità disponibili a livello locale.” Lo sostiene in questa intervista a Materia Rinnovabile Yvonne van der Meer, direttrice del dipartimento di materiali biobased dell’Università di Maastricht. Abbiamo parlato con lei della bioeconomia in Olanda: del ruolo della biomassa, della logistica e delle università. “Le catene di valore dell’economia biobased sono in via di definizione, e per creare valide attività economiche è necessario affrontare complessi aspetti logistici” afferma.

 

L’Olanda è stato uno dei primi paesi in Europa ad adottare una strategia nazionale per la bioeconomia. Quali sono gli aspetti principali di questa strategia? 

“La strategia nazionale riconosce che la transizione verso un’economia biobased sostenibile si basa in larga misura su una conoscenza e innovazione di alto livello, in grado di distinguersi sul piano internazionale. Un gran numero di industrie e organizzazioni di ricerca provenienti da diversi settori e discipline ha dato vita a un contratto di innovazione per la ‘crescita verde, dalla biomassa al business’. Questo ci mostra come sia possibile utilizzare quale punto di partenza gli attuali punti di forza dell’Olanda, per ottenere vantaggi economici e competitività dalla transizione verso un’economia biobased. Per la transizione è necessario sperimentare nuovi concetti, creare alleanze strategiche per compiere ulteriori progressi ed entrare sul mercato. Nel 2015 i settori di punta della chimica, dell’agroalimentare e dell’energia hanno presentato un programma di ricerca nazionale chiamato Biobased Economy 2015-2027. Questi settori di punta sono frutto della collaborazione del settore industriale, scientifico e del governo.”

 

Cosa differenzia la bioeconomia olandese dalle altre bioeconomie europee?

“I settori di punta utilizzano un approccio così detto a tripla elica in cui l’industria, il mondo scientifico e il governo cooperano alla promozione della crescita economica sostenibile. Ciò è tipico del sistema di innovazione olandese, in cui vengono promosse agende comuni e cooperazione in progetti innovativi attraverso la creazione di partnership pubblico-privato. I punti di forza dell’Olanda nel campo dell’industria e delle infrastrutture della conoscenza nei settori di punta della chimica e dell’agroalimentare costituiscono una buona base di partenza per lo sviluppo di una fiorente economia biobased. Quasi tutte le province olandesi hanno istituito programmi di economia biobased per sfruttare in contesto nazionale le opportunità disponibili a livello locale.

I campus Brightlands di Limburg, nel sudest dell’Olanda, sono un eccellente esempio di cooperazione a triplice elica nel campo del cibo, della salute e dei servizi e dei materiali smart: hanno il sostegno della provincia di Limburg e sono hotspot di innovazione in cui partner pubblici e privati creano insieme programmi di ricerca e innovazione, R&D e infrastrutture pilota, oltre a programmi educativi per formare i futuri leader dell’innovazione.”

 

L’Olanda aspira a diventare il fulcro della bioeconomia europea. Qual è il ruolo dei sistemi logistici nello sviluppo della bioeconomia? Importare biomassa da paesi lontani non significa rendere la bioeoconomia meno sostenibile dal punto di vista ecologico?

“Personalmente non credo in una bioeconomia sostenibile in cui la biomassa debba arrivare da lontano. Le rotte di produzione dell’economia biobased sono ancora in formazione, ed è una vera sfida riuscire a creare un sistema di produzione coerente che sia sostenibile ed efficiente. Un sistema di questo tipo potrebbe avere una scala molto inferiore rispetto a quelle attuali. Le catene di valore dell’economia biobased sono in via di definizione, e per creare valide attività economiche è necessario affrontare complessi aspetti logistici. Io intendo la bioeconomia come parte di un’economia circolare in cui saranno create catene del tutto nuove per i cicli di vita dei prodotti, che terranno conto della riparazione, del riutilizzo e del riciclaggio. Per questo sono necessari nuovi materiali e prodotti innovativi. Ma anche nuove concezioni di logistica, potenzialmente molto gratificanti in termini di sostenibilità.”

 

Qual è il ruolo delle università olandesi?

“Le università olandesi contribuiscono allo sviluppo dell’economia biobased attraverso il progresso scientifico e tecnologico e il trasferimento di sapere e tecnologia. Vi sono molti esempi di collaborazione tra pubblico e privato, come il Top Institute Food and Nutrition e la fondazione BE-Basic. Nella zona di Limburg sono stati recentemente inaugurati due istituti con il sostegno della stessa provincia che si occupano di materiali biobased e intermedi chimici biobased. Si tratta dell’Aachen-Maastricht Institute for Biobased Materials, legato all’università di Maastricht e alla tedesca RWTH Aachen University, e il Chemelot Institute for Science and Technology, legato al DSM, all’università di Maastricht e al Maastricht University Medical Center, alla University of Technology di Eindhoven e alla provincia di Limburg. 

Inoltre, le università olandesi contribuiscono alla bioeconomia anche offrendo agli operatori la formazione di cui necessitano. Dal 2015 l’università di Maastricht offre un master di due anni sui materiali biobased al Brightlands Chemelot Campus. È un programma multidisciplinare unico che ha in curriculum il coinvolgimento attivo nel settore industriale e utilizza il problem based learning, un metodo di insegnamento per piccoli gruppi che pone al centro lo studente.”

 

Che tipo di ricerca state portando avanti nella vostra università?

“Negli ultimi anni ho lavorato alla creazione di un nuovo dipartimento sui materiali biobased dell’università di Maastricht nella zona industriale vicino al Brightlands Chemelot Campus di Geleen. Attualmente sono direttore del dipartimento, docente in tre corsi del nostro master e insegno scienze naturali nel corso di laurea triennale. Sto anche lavorando alla creazione di una linea di ricerca sulla valutazione della sostenibilità dei materiali biobased. L’economia biobased dovrebbe affrontare questioni di grande importanza sociale quali i cambiamenti climatici, ma bisogna domandarsi se le alternative biobased che si stanno affermando sono davvero in grado di risolvere questi problemi. Se la risposta è negativa, come possono essere migliorate? Al momento su questo stiamo creando un gruppo di ricerca e abbiamo ottenuto i primi finanziamenti per dare inizio alle attività: per questo sto cercando ricercatori che possano unirsi alla mia squadra all’università di Maastricht.”

 

Ad aprile Utrecht ospiterà la quarta conferenza europea degli stakeholder della bioeconomia europea. Quali sono le tre misure principali di cui l’Europa ha bisogno per favorire la bioeconomia?

“Per me è importante che l’economia biobased non promuova solamente i biocarburanti, poiché ciò limita l’utilizzo del potenziale della biomassa. Ci sono alternative sostenibili per la produzione di energia: i biocarburanti non sono l’unica soluzione. Dovrebbe suscitare più interesse l’utilizzo della biomassa per applicazioni di maggior valore, come le sostanze chimiche e i materiali, per esempio attraverso la promozione dei sistemi a cascata. Per utilizzare a pieno il potenziale delle molecole di origine biologica mi accerterei anche che si lavori allo sviluppo di nuovi intermedi chimici biobased e di nuove filiere di produzione. Scomporre la biomassa in intermedi chimici drop in è utile dal punto di vista commerciale, ma non è efficiente dal punto di vista energetico e delle risorse. Infine vorrei che si tenessero in considerazione impatti ambientali diversi, e non solo la carbon footprint. Se una soluzione a emissioni zero comporta però altri problemi di sostenibilità, come il cambio di destinazione d’uso (indiretto) dei terreni, dopotutto non stiamo creando una soluzione sostenibile nel lungo termine.”

 


 

Intervista a Tom van Aken, amministratore delegato di Avantium.
A cura di Mario Bonaccorso

 

L’Unione fa la forza 

 

“Approccio europeo per evitare la dispersione delle competenze. E politiche coerenti da parte dei governi. Solo così si può costruire la bioeconomia”. Questa la posizione di Tom van Aken. In questa intervista rilasciata a Materia Rinnovabile l’amministratore delegato di Avantium – azienda nata da una scissione dalla Royal Dutch Shell e tra le più dinamiche e innovative sulla scena della bioeconomia europea – condivide con noi la propria idea di bioeconomia.

 

L’Olanda è stato uno dei primi paesi in Europa ad adottare una strategia nazionale per la bioeconomia. Quali sono gli aspetti principali di questa strategia? E in che modo ha facilitato la vostra impresa?

“Avantium lavora su un modello di business globale ed esamina i programmi specifici di investimento su scala regionale. Per ciascuna regione valutiamo i piani di sostegno generali (dai sussidi, alle sovvenzioni, agli incentivi fiscali, ai pacchetti di prestito garantito, ai fondi di investimento ecc.). Il programma più vasto che esiste in Olanda si chiama Sde+; in più ci sono programmi di sovvenzioni centrati in particolare sulla biomassa per i quali Avantium si qualifica per collaborazioni con università e altri partner. Questi programmi ci aiutano a finanziare – parzialmente – il ‘lavoro di base’ necessario a valutare se esiste una reale opportunità economica.

Altri programmi indipendenti dalla strategia olandese per la bioeconomia per i quali siamo qualificati sono legati ad attività di R&D e attività di sviluppo tecnologico, come il Wbso e l’Rda.”

 

L’Olanda aspira a diventare il centro logistico della bioeconomia europea. Qual è il ruolo del sistema di logistica nello sviluppo della bioeconomia? Importare biomassa da lontano non significa rendere la bioeconomia meno sostenibile ecologicamente?

“Per rispondere in modo appropriato c’è bisogno di un approccio più specifico. Trasportare biomassa per una certa distanza richiede un equilibrio tra i costi logistici e le economie di scala dell’impianto di produzione da una parte e l’impatto sui sistemi ecologici dall’altra. Bisogna anche tener conto delle conseguenze di un modello di business a più lungo termine.” 

 

Quali sono i progetti di Avantium nel campo della bioeconomia? 

“Avantium ha sviluppato un processo di produzione rivoluzionario chiamato tecnologia Yxy che rende possibile ed economica la conversione dei carboidrati in intermedi chimici verdi (furanici). Si tratta di un processo chimico e catalitico – protetto da un solido portafoglio di brevetti – che si adatta bene agli impianti di produzione chimica già esistenti e converte in modo altamente efficiente e selettivo i carboidrati in intermedi chimici furanici quali l’Fdca. Avantium gestisce un impianto pilota a Gelee, in Olanda, in cui questa tecnologia Yxy è stata validata su una scala di 20 tonnellate all’anno. Abbiamo dichiarato pubblicamente che oltre all’Yxy stiamo lavorando ai progetti Mekong di conversione della biomassa in Meg (glicole monoetilenico) e al progetto Zambesi di conversione della biomassa non alimentare in glucosio.”

 

Dal vostro punto di vista che cosa differenzia la bioeconomia europea da quella americana. Dove è più facile investire?

“Investire in certe regioni o in determinate tecnologie non è necessariamente una decisione guidata dalla ‘facilità’. Per esempio il fattore tempo gioca un ruolo importante. Un decennio fa gli Stati Uniti avevano un forte programma di sostegno per lo sviluppo e la commercializzazione dei biocarburanti. Oggi succede lo stesso nell’Unione europea per lo sviluppo e la commercializzazione delle sostanze chimiche biobased e per le soluzioni di energia sostenibile.”

 

Ad aprile Utrecht ospiterà la quarta Conferenza europea degli stakeholder della bioeconomia europea. Quali sono le tre misure principali di cui l’Europa ha bisogno per favorire la bioeconomia?

“Dal punto di vista di Avantium è necessario un approccio europeo, piuttosto che a livello di singolo stato, per evitare la dispersione di conoscenza e competenze.

In secondo luogo, la bioeconomia trarrebbe gran beneficio da politiche coerenti da parte dei governi. Crediamo fortemente nella necessità di condizioni paritarie quando si deve competere con le industrie tradizionali basate sull’utilizzo di combustibili fossili. Se l’Unione europea crede che la transizione da un’industria basata sul petrolio a un’industria biobased (vedi Cop21) sia fondamentale, i governi devono stabilire delle penalità sui comportamenti indesiderati (ossia tassare le emissioni di CO2) e/o premiare i comportamenti desiderati.

In terzo luogo la bioeconomia necessiterà di un periodo di transizione, quindi dobbiamo accettare che non possiamo risolvere tutti i problemi in una volta sola e che lungo questo percorso dovremmo accettare alcune soluzioni non ottimali. Occorrono anche politiche consistenti che possano sopportare nel corso del tempo eventuali cambiamenti politici.”