I prodotti del settore forestale tradizionale, come la polpa di carta e la carta, sono un elemento vitale della bioeconomia, ma prenderemo in esame anche altri prodotti emergenti. 

In parallelo alla riduzione del consenso verso le biomasse residue da catena alimentare, le risorse forestali stanno diventando un’interessante alternativa per la bioeconomia. La transizione dalla prima alla seconda generazione è già in atto e si registrano anche i primi investimenti commerciali in biocarburanti di seconda generazione (2G). Lo scorso anno l’azienda Beta Renewables ha avviato l’attività produttiva a Crescentino, in Italia, e una nuova ondata di investimenti è già programmata negli Stati Uniti. Si tratta ancora di investimenti sulle biomasse da agricoltura 2G, ma la biomassa da foreste assume lentamente le dimensioni di un’opzione possibile. 

L’età del petrolio durerà ancora molto prima che questo si esaurisca. Nel frattempo, la materia prima diventerà molto costosa.

Va sottolineato che bioeconomia non significa solo energia da fonti organiche, anche se troppo spesso questo è l’utilizzo principale delle biomasse. Oggi il gas di scisto distoglie l’interesse dalla bioenergia. Gli Usa stanno già impiegando in maniera massiccia i giacimenti di questo gas e lentamente anche l’Ue riconosce che si tratta di un’alternativa per la produzione energetica: il Commissario europeo per l’energia Günther Oettinger ne ha parlato durante la presentazione dei nuovi obiettivi Ue in materia di energia e clima. Potrebbe essere un’opportunità per promuovere l’impiego delle biomasse in conversioni di maggior valore, incluse le sostanze chimiche e i materiali.

Come mostrato in figura 1, la biomassa lignea è una fonte alternativa per varie applicazioni e categorie merceologiche. Attualmente, il quadro di riferimento normativo dell’Ue indirizza le biomasse all’impiego energetico e tralascia le opportunità offerte in altri biosettori: sostanze chimiche, materiali e industria forestale meccanica. 

Fonte: NISCluster.

La Commissione europea ha di recente pubblicato la nuova proposta sugli obiettivi energetici e climatici. Rispetto all’approccio attuale, prevede una differenza chiave rispetto agli obiettivi vincolanti: non sono solo inferiori di numero, ma anzi sembra che l’unico obiettivo vincolante sia la riduzione del 40% delle emissioni di gas serra. In precedenza, l’obiettivo in termini di fonti di energia rinnovabili era fissato al 20%; ora appare superato da un complessivo 27% a livello europeo, senza obblighi specifici per gli stati membri. A meno che i singoli stati non intraprendano un’autonoma iniziativa per imporre misure di rettifica, questo nuovo approccio può disincentivare e rallentare gli investimenti in bioenergia.

Le sostanze chimiche, al pari dei materiali, sono al momento dominate dai derivati di natura petrolchimica, un settore che da decenni registra uno sviluppo continuo e consolidato. Le industrie petrolchimiche sono tra le maggiori entità mondiali e i loro impianti di raffineria sono imponenti. L’enorme economia di scala in termini di dimensione dell’impresa e delle raffinerie favorisce il modello esistente; al contrario, la bioraffineria non ha le dimensioni di scala idonee a competere sul mercato delle sostanze chimiche, né in quello globale né in quello di nicchia. Per creare nuovi prodotti e nuova domanda, sono necessarie risorse significative. 

Per quel che riguarda i materiali, i prodotti basati su carta dominano già nei settori della stampa, della sanità e in parte nel comparto degli imballaggi. Si tratta di validi esempi di bioeconomia. Opportunità simili si hanno nel settore delle plastiche e dei tessili. Il consumo di plastica mondiale è inferiore ai 300 milioni di tonnellate; i biomateriali rappresentano solo una piccola percentuale. Per il comparto tessile, la prospettiva è lievemente migliore, con un 5% basato sulla viscosa da biomassa. La crescita parallela di popolazione e consumi presenta opportunità significative per la biomassa lignea, che può essere convertita in materiali in vari modi: tramite un’ulteriore conversione delle fibre o mediante un percorso chimico. La conversione delle fibre è alla base di prodotti come le paste di legno ottenute per dissoluzione e i prodotti in microcellulosa e nanocellulosa, e si realizza mediante trattamenti meccanici, chimici o biologici. Ciò significa che i prodotti della conversione avranno proprietà funzionali e ulteriore valore aggiunto rispetto ai prodotti basati sul petrolio. 

Un altro metodo per ottenere i biomateriali è la decomposizione della struttura della fibra, che viene attuata principalmente tramite la conversione dello zucchero e implica però rendimenti inferiori e minore competitività rispetto alle risorse non rinnovabili: per invertire la situazione tutti i componenti della biomassa lignea, inclusa la lignina, devono essere prodotti e utilizzati in maniera olistica. 

Segherie, compensati e prodotti lignei meccanici sono componenti vitali della bioeconomia. È stato più volte rimarcato che la lavorazione meccanica del legno è la struttura portante della bioeconomia; le segherie in Europa lavorano quasi 200 milioni di metri cubi di legname tondo, circa la metà del consumo di legno complessivo del continente. 

L’impiego del cemento in edilizia contribuisce con il 5% alle emissioni totali di gas serra. Costruire in legno è perciò una via percorribile per ridurre l’effetto serra; quel 40-50% di legname derivante dagli scarti laterali della lavorazione meccanica del legno fornirebbe una fonte naturale di materie prime da utilizzare in bioraffinerie di nuova concezione. 

Il nova-Institut ha redatto un documento che mira a facilitare la creazione di valore dal settore delle biomasse: “Proposte per una riforma della direttiva sulle fonti energetiche rinnovabili (Red) in una direttiva sulle fonti energetiche e sui materiali rinnovabili (Remd)” (vedi Box). Tutte le idee fin qui delineate sono già in linea con la direttiva. Se l’Ue intende incentivare la bioeconomia non può limitarsi alla sola bioenergia ma deve anche tenere conto del potenziale implicito nei biomateriali. 

In conclusione, nella bioeconomia sono già evidenti grandi opportunità. Il settore forestale con la sua visione complessiva della gestione delle foreste e della catena di approvvigionamento riveste una posizione ottimale per sfruttarle, e gioca un ruolo strategico nella bioeconomia del futuro.

 

Dall’inadeguata ripartizione delle biomasse alla direttiva sulle fonti energetiche e sui materiali rinnovabili (Remd). La proposta rivoluzionaria del nova-Institut

“Quali sono le migliori materie prime agricole da destinare a utilizzi industriali?” È questo il titolo di un articolo pubblicato nel luglio 2013 da nova-Institut, un istituto tedesco guidato da Michael Carus, che ne è autore insieme a Lara Dammer. In meno di dieci pagine, i due autori analizzano una delle questioni più controverse della bioeconomia, che emerge anche dalla decisione del Consiglio per l’energia Ue di limitare la quota di biocarburanti per vetture e automezzi derivata da produzioni alimentari al 7% del consumo totale. Il documento si basa su “prove scientifiche e intende proporre una modalità più realistica e adeguata di valutare l’impiego delle colture alimentari nelle bioindustrie, compiendo un passo indietro rispetto a discussioni spesso solo emotive”.

Secondo Carus e Dammer, “ogni tipologia di biomassa dovrebbe essere accettata nell’uso industriale; la scelta deve dipendere solo dalla sostenibilità e dall’efficienza della produzione della biomassa in esame. Con la popolazione mondiale in costante crescita, è ovvio che la prima priorità di allocazione della biomassa debba essere la sicurezza alimentare. Il dibattito pubblico si incentra soprattutto sulla diretta concorrenza tra le colture alimentari e i loro potenziali utilizzi: cibo, foraggio, materiali industriali ed energia”.

Gli autori affermano però che “il problema cruciale è la disponibilità dei terreni, dal momento che la coltivazione di colture non alimentari su terreni agricoli ridurrebbe altrettanto e forse anche di più la potenziale disponibilità di cibo”.

Carus e Dammer suggeriscono “un approccio differenziato alla ricerca della biomassa più adatta all’impiego industriale”. In particolare, raccomandano di considerare alcuni aspetti quali la disponibilità di terra coltivabile, l’efficienza della risorsa e del terreno, la flessibilità di ripartizione dei raccolti in periodi di crisi. Secondo gli autori, “la ricerca sui processi di prima generazione deve certamente continuare e ricevere ulteriore supporto nelle agende di ricerca europee; inoltre, il sistema di quote per la produzione di zucchero dell’Unione europea deve essere rivisto al fine di aumentare la produzione di questa materia prima alimentare da destinare agli usi industriali”.

In conclusione, i due scienziati del nova-Institut chiedono “condizioni paritarie per gli utilizzi delle biomasse ai fini materiali industriali e quelli per biocarburanti/bioenergia, così da ridurre le distorsioni del mercato nella ripartizione della biomassa da destinare a impieghi diversi da cibo e foraggio”.

Lo scorso maggio, Carus e Dammer, insieme a Roland Essel (nova-Institut) e Andreas Hermann (Öko-Institut, leader europeo nella ricerca e consulenza sul futuro sostenibile, con sede in Germania) hanno pubblicato un ulteriore studio sull’errata ripartizione delle biomasse in Europa: “Proposte per una riforma della direttiva sulle fonti energetiche rinnovabili (Red) in una direttiva sulle fonti energetiche e sui materiali rinnovabili (Remd)”. 

Lo studio è un’analisi completa degli ostacoli incontrati dai quattro autori e mostra – dal loro punto di vista – che la direttiva Red, che in futuro sarà associata alla direttiva 98/70 sulla qualità della benzina e del combustibile, è una delle principali cause della discriminazione sistematica e di lunga data tra l’utilizzo destinato ai materiali e quello finalizzato all’energia. “La direttiva Red sottovaluta lo sviluppo dell’utilizzo ai fini di produzione di materiali e pertanto quello dell’intera bioeconomia. Le sfavorevoli condizioni strutturali, il prezzo elevato della biomassa e l’incertezza dei fornitori disincentivano gli investitori dal finanziare il settore biochimico e bioplastico, malgrado questi abbiano tutte le potenzialità per produrre valore aggiunto e maggiore efficienza delle risorse”.

Secondo Carus e i suoi colleghi “errata ripartizione della biomassa” è una frase giusta, poiché è proprio questo concetto che ne impedisce “l’impiego per ottenere materiali di valore più elevato, come le plastiche e le sostanze chimiche. Pertanto i futuri sviluppi connessi alla direttiva Red avranno un impatto considerevole sulla disponibilità futura della biomassa per l’industria dei materiali”.

Secondo il nova-Institut, l’Europa ha bisogno di un nuovo contesto politico che promuova un utilizzo più efficiente e sostenibile delle biomasse. Cinque anni fa si trattava di un problema mondiale, oggi è soprattutto un problema dell’Europa. In America e in Asia il contesto politico per la promozione delle sostanze chimiche e delle plastiche ottenute da materiali biologici è molto più accogliente e favorevole. Per questo la maggior parte dei nuovi investimenti vanno in Usa, Canada, Brasile, Thailandia, Malesia e Cina.

“La proposta di riforma”, scrivono gli autori, “chiede di aprire il sistema di sussidi anche ai prodotti biochimici e ai biomateriali, affinché anch’essi rientrino nella quota di rinnovabili concessa a ogni stato membro. L’idea di fondo è quella di trasformare la direttiva Red nella direttiva Remd, includendo anche le fonti energetiche e i materiali rinnovabili”. Il documento non intende definire una nuova quota per l’industria chimica, ma propone invece che l’impiego materiale di un biocomponente quale il bioetanolo o il biometano sia incluso nella quota di rinnovabili così come viene conteggiato se destinato all’energia, per esempio come combustibile. Altri componenti, quali l’acido succinico, lattico ecc. potrebbero essere conteggiati in base alla conversione in bioetanolo equivalenti, in funzione del proprio valore calorifico. Questo tipo di conversione potrebbe anche includere il fattore legato alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Infine, lo scorso ottobre Carus, Dammer e Essel hanno pubblicato sugli stessi temi un nuovo documento, il cui titolo è “Opzioni per la progettazione di un nuovo quadro politico della bioeconomia europea. Il contributo del nova-Institut al dibattito in corso”. 

“Il settore della bioenergia e dei biocarburanti” secondo il nova-Institut “si trova in cattive acque; molti stati membri della Ue non sono sulla buona strada per raggiungere gli obiettivi fissati dalla direttiva sulle energie rinnovabili (Red) e gli investimenti ristagnano. Il dibattito politico e pubblico si concentra maggiormente sugli effetti sui prezzi alimentari a livello mondiale, sulla pressione sugli ecosistemi, così come sul cambiamento diretto e indiretto dell’uso del suolo, piuttosto che sulla crescita precedente, sulle opportunità future e sugli investimenti. Ciò è in parte dovuto al fatto che l’intero settore (con alcune eccezioni nel mercato del legno per riscaldamento) è fortemente dipendente da incentivi. Se questi venissero ridotti, molte imprese potrebbero andare incontro al fallimento e i nuovi investimenti si fermerebbero, come già successo in molti stati membri”. 

L’uso della biomassa per i materiali rappresenta un’alternativa all’uso a fini energetici. Può creare un maggiore valore aggiunto per tonnellata di biomassa, innovazione, occupazione e investimenti e – se fatto bene – può contribuire al futuro economicamente ed ecologicamente sostenibile dell’Unione europea. Il quadro attuale, tuttavia, si concentra solo sul settore energetico in termini di strumenti di mercato; materiali e prodotti chimici biobased sono presi in considerazione solo in politiche di ricerca, senza un’applicazione diffusa di nuovi materiali biobased finora.

Al seguente link è possibile scaricare i tre documenti: http://bio-based.eu/policy/#top.

 

 

Immagine: © Valery Kraynov / Shutterstock