In Italia continua a crescere la raccolta dell’organico e questo ci pone in una situazione virtuosa e di eccellenza rispetto al resto d’Europa e, in alcuni casi, come quello di Milano, anche rispetto al resto del mondo. Ma si potrebbe fare di più. Molto scarto ancora non riesce a diventare compost o biogas: non chiude quel cerchio come vorrebbero i principi, e i vantaggi conseguenti, dell’economia circolare. Perché?

Ritardi della politica ma anche ostacoli da comitati che non vogliono l’ennesimo impianto vicino a casa propria. Adesso che l’Unione europea sembra aver trovato l’andamento giusto, dopo i passi falsi della Commissione Juncker dei mesi scorsi, e che il nostro paese con lo “Sblocca Italia” ha dato uno strumento in più per il mercato dello scarto organico, le cose potrebbero cambiare.

Per capire il quadro nel quale ci stiamo muovendo dobbiamo partire proprio dai numeri di questa crescita, per alcuni prodigiosa, della raccolta dell’organico in Italia.

Nell’ultimo decennio, l’aumento medio è stato di quasi il 10% l’anno: oggi lo scarto organico è la principale componente dei rifiuti urbani raccolti nel nostro paese. Secondo i dati più recenti del Cic, il Consorzio italiano compostatori, nel 2013 si è arrivati al 42% del totale, rispetto al 37% dell’anno precedente. A metterli sulla bilancia, si tratta di 5,2 milioni di tonnellate di scarto organico (umido e verde) su un totale di 12,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani differenziati (di cui 3 milioni di tonnellate di carta e 1,6 di vetro).

Un risultato significativo non solo in termini numerici ma anche come modello da esportare.

“Se guardiamo i dati europei sul biowaste – spiega Massimo Centemero, direttore del Cic – noi siamo solo al terzo o quarto posto ma è un dato falsato perché occorre poi distinguere i diversi flussi fra verde e umido. In Germania, per esempio, la raccolta è di prossimità e considera le due frazioni come una sola. Tant’è che se si va a vedere bene la sezione umida tedesca è molto bassa. Noi, in Italia, invece, abbiamo separato i flussi, da una parte il verde e dall’altra, appunto, l’umido”. 

“Un altro esempio? Guardiamo l’analisi del rifiuto secco” continua Centemero. “Nel secco italiano abbiamo un residuo di organico non superiore al 15%, in Germania questa percentuale è addirittura del 30%. La raccolta pro capite italiana arriva fra gli 80 e i 100 chilogrammi all’anno di questa sezione, molto più alta di quella tedesca”.

Il dato medio nazionale è 86 kg pro capite di rifiuto organico, con punte che al Nord arrivano ai 108 kg pro capite, al Centro scendono a 77 kg e al Sud toccano i 62 kg. Anche se poi il quadro al Sud non è così negativo, anzi: se si considera solo la quota di popolazione effettivamente servita da circuiti di raccolta differenziata i valori medi di rifiuto organico recuperato sono tra i 110 e i 130 kg pro capite.

Vuol dire, dunque, che gli italiani sono ugualmente virtuosi? Differenze in realtà ci sono ma riguardano gli impianti più che la risposta dei cittadini. Prendiamo il trend degli impianti di compostaggio: “La crescita delle raccolte differenziate del rifiuto organico è strettamente correlata allo sviluppo dell’impiantistica di recupero” si legge nell’ultimo rapporto Cic presentato lo scorso novembre. “Nel giro di 20 anni (i primi circuiti di raccolta del rifiuto organico sono datati 1993) si è sviluppato e consolidato un sistema industriale dedicato alla trasformazione dello scarto organico che, nel 2013, conta 240 impianti di compostaggio, 130 dei quali di rilevanza industriale. Continua anche la crescita del numero di impianti di digestione anaerobica, che nel triennio 2011/2013 aumenta di quasi il 60% con un totale di 43 impianti operativi”.

 

“Oggi abbiamo circa 4,6 milioni di tonnellate di umido trattato – spiega Centemero – ma potremmo con facilità arrivare a 6 o 7 milioni anche in poco tempo. Se le istituzioni si imponessero davvero e si applicassero le sanzioni, potremmo raggiungere l’obiettivo in un anno. Servono più impianti soprattutto al Sud, ma non solo. Tutte le regioni hanno ormai una pianificazione per i nuovi impianti, ma quanti rimangono ancora solo sulla carta?”.

In termini numerici, si legge nel Rapporto che analizza i dati Ispra, il 61% degli impianti è collocato nelle regioni del Nord Italia, che hanno avviato da tempo la raccolta differenziata delle frazioni organiche dei rifiuti urbani, mentre gli impianti restanti sono equamente distribuiti tra Centro (18%) e Sud-Italia (21%). Le capacità operative sono suddivise con il 23% delle quantità autorizzate nel Sud, il 24% nel Centro e il restante 53% al Nord.

 

 

La chiusura del cerchio: automezzi alimentati con biometano da “umido”

Tecnologia e necessità hanno reso non solo possibile ma opportuno recuperare dallo scarto organico anche il biogas. 

Se la raccolta dell’umido fosse diffusa su tutto il territorio nazionale, spiega il rapporto del Cic, si potrebbero ottenere circa 8-9 milioni di tonnellate di scarto da cucina. Se poi si procedesse alla trasformazione di questi scarti in biogas si potrebbero ottenere oltre 450 milioni di metri cubi.

Al di là della possibilità futura di accedere a incentivi, già oggi, se tutta la quota di umido della raccolta differenziata si trasformasse in biometano attraverso impianti di digestione anaerobica, si potrebbe alimentare l’80% della flotta dei mezzi dedicati alla raccolta dei rifiuti. In quelle parti d’Italia dove la raccolta dell’organico è o potrebbe essere particolarmente alta, come la Campania o la Sardegna, si potrebbe arrivare al 100% degli automezzi.

 

Il modello che immagina Centemero come Cic è quello di partnership miste dove gli impianti, di proprietà pubblica, siano poi affidati in gestione al privato. “Ci sono città come Roma – incalza il direttore del Cic – dove servirebbero da tempo almeno due impianti da 100-150.000 tonnellate ma non accade nulla”. Evidentemente qualcosa, qui come altrove, non è andato. Ma cosa? “Tecnologie e casi di eccellenza già realizzati ce ne sono in Italia da più di vent’anni. Basterebbe rifarsi a queste. Il problema è certamente la politica ma anche i tanti ricorsi dei comitati locali”.

Per avere un’idea di quello che si perde in attesa di una politica più efficiente si può dare uno sguardo ai dati raccolti dall’Osservatorio sui costi del non fare, struttura partecipata da Trenitalia, Acea, Enel, Gruppo Hera, Assolombarda, FederUtility e Terna. Secondo l’Osservatorio, la mancata realizzazione di infrastrutture per il compostaggio, in un arco temporale 2009-2024, comporterebbe un costo per la collettività di circa 3,3 miliardi di euro.

Un decisivo passo in avanti probabilmente potrà venire per effetto dell’articolo 35 del cosiddetto “Sblocca Italia”. Mentre al primo comma ci si riferisce al tema dei termovalorizzatori, che ha fatto tanto discutere, il secondo si occupa specificatamente della frazione organica dei rifiuti urbani, andando nella direzione che il Cic auspicava.

 

  

L’impianto di biotrattamento di Etra a Camposampiero (PD) 

 

E in ambito europeo cosa succede? Riuscirà l’Italia a dimostrare che il proprio modello è quello vincente, soprattutto dopo lo stop della Commissione Juncker al pacchetto di interventi a favore della circular economy?

La domanda non è peregrina perché – dopo che nel luglio dello scorso anno era stato presentato il pacchetto che prevedeva un riordino dell’intero settore dei rifiuti tale da ridurre drasticamente le discariche, portare la quota di riciclo/riutilizzo al 70% e tagliare di un terzo la produzione di rifiuti alimentari entro i prossimi dieci anni – la Commissione ha di fatto bocciato tutto il lavoro fatto. Inclusi quei 100.000 nuovi posti di lavoro di cui l’Europa avrebbe urgente bisogno e che il pacchetto contava di creare. Il brusco quanto inatteso cambio di marcia della Commissione Juncker è stata una doccia fredda, suscitando la sollevazione delle organizzazioni attive sui temi ambientali, compreso l’Ecn, l’European Compost Network a cui il Cic aderisce.

“Da allora la situazione si è alleggerita”, spiega Centemero. “Lo stop di Juncker si è rivelato puramente strategico, probabilmente dettato dal fatto che si tratta della scrittura di norme molto complesse e vincolanti, difficili da far rispettare in molti paesi. L’assicurazione che ci è arrivata è che comunque si va avanti sulla politica dell’economia circolare solo che occorre dare tempo agli stati per adattarsi.”

Lo scorso marzo il commissario all’Ambiente Karmenu Vella ha dichiarato pubblicamente che “la Commissione ha deciso di compiere un’accurata riflessione su come raggiungere l’obiettivo di un’economia circolare nel modo più efficiente in totale compatibilità con l’agenda politica in tema di lavoro e crescita. Un avanzamento continuo per quanto riguarda la gestione dei rifiuti naturalmente rimane una priorità da raggiungersi attraverso politiche di incentivo e sostegno per la riduzione dei rifiuti, la separazione e la raccolta di alta qualità. Manterremo le politiche sul riciclaggio secondo gli obiettivi della Ue”.

E come ulteriore testimonianza che si intenda davvero perseguire questi obiettivi, ai primi di febbraio, la Commissione ha scritto all’European Compost Network: “La Commissione – si legge nella lettera – è pienamente consapevole dell’importanza delle sfide ambientali ed economiche connesse all’economia circolare e affronterà il tema dell’economia circolare in maniera più ambiziosa ed efficace”.

La firma in calce al documento è quella del Karl Falkenberg Direttore Generale della DG Ambiente della Commissione Ue, quello stesso Falkenberg che recentemente si è detto stupito di quanto realizzato nel nostro paese e in particolare nella città di Milano che nel 2013 ha battuto persino San Francisco in fatto di raccolta dell’organico. Altra prova che il modello italiano è vincente e, quindi, esportabile.

 

Milano prima al mondo per la raccolta dell’umido

Il caso di Milano ha stupito persino il Direttore Generale DG Ambiente della Commissione Ue. Nel capoluogo lombardo fra il 2012 e il 2013 è stata estesa la raccolta differenziata della frazione organica a tutte le famiglie del territorio cittadino.

In pratica dal giugno del 2013 ben 1,3 milioni di persone separano regolarmente lo scarto di cucina. La conseguenza è che Milano si è guadagnata il primato mondiale di metropoli con il maggior numero di abitanti serviti dalla raccolta dell’umido, battendo persino San Francisco che conta circa 830.000 persone. 

A Milano il sistema di raccolta si è attestato intorno ai 90 kg di rifiuto raccolto pro capite all’anno, riuscendo ad avviare a recupero quasi 120.000 tonnellate l’anno. Secondo le analisi del Cic la qualità media della frazione organica si attesta nell’ordine del 4-5% di impurità.