L’articolo seguente è una breve sintesi dello studio “Le miniere urbane dell’alluminio” compiuto per CiAl – Consorzio imballaggi alluminio (in corso di pubblicazione). 

 

Dopo la Germania l’Italia è il secondo produttore europeo di alluminio. Il nostro paese è inoltre al primo posto nella produzione di alluminio secondario, cioè da riciclo. Eppure le “miniere urbane” da rifiuti di alluminio sono ancora tutte da sfruttare.

Storicamente la produzione italiana di alluminio è basata sui rottami e dal 2013 è unicamente produzione di alluminio secondario. Dei 1,15 milioni di tonnellate di lingotti prodotti quell’anno il 42% era alluminio secondario da remelters e il 58% alluminio secondario da refiners (con una alta componente di post-consumo).

La produzione di semilavorati è costituita per il 44% da getti di fonderia, per il 30% da laminati e per il 26% da estrusi e trafilati. L’alluminio viene utilizzato nella motoristica e nei trasporti (principalmente quello da getti di fonderia), nell’edilizia (soprattutto estrusi), nella produzione di fogli e imballaggi (da laminati), nei prodotti domestici e per ufficio, nella meccanica.

La gran parte, anche se non la totalità, dei semilavorati e dei prodotti finiti in alluminio deriva da leghe di alluminio secondario, l’unica produzione nazionale di alluminio.

La filiera industriale del riciclo dell’alluminio in Italia è perciò costituita da attività di:

  • recupero dei rottami (raccolta differenziata, commercializzazione, preparazione al riciclo relativamente ai rottami post-consumo di origine nazionale);
  • raffinazione e rifusione per la produzione di alluminio secondario (in billette, placche, pani, liquido);
  • produzione di semilavorati plastici (estrusione, laminazione, forgiatura) – contabilizzate in maniera integrata con l’industria di raffinazione e rifusione – e attività di fusione con produzione di getti (successivamente trasformati in prodotti finiti).

Complessivamente, il valore aggregato della produzione in queste tre fasi supera i 7 miliardi di euro, mentre gli occupati sono circa 24.000. 

Tre le tipologie di rottami che alimentano la produzione di alluminio secondario: 

1) Scarti post-consumo costituiti da rottami vecchi, anche frammisti ad altre sostanze, derivanti da demolizioni, dismissioni, raccolte differenziate dei rifiuti urbani. Stimati in circa 400.000 tonnellate di cui meno di 70.000 da rifiuti urbani (dati 2013).

2) Scarti pre-consumo (commercializzati) costituiti da leghe pulite e nuove, sia dei processi di produzione dei semilavorati sia dei processi di produzione manifatturiera (torniture, tagli, fuori specifiche). Al 2013 sono stati stimati in circa 475.000 tonnellate di rottami pre-consumo.

3) Scarti interni (non commercializzati) dei processi di produzione, costituiti da recupero di scorie e soluzioni saline, scarti di produzione di lingotti, scarti di laminazione ed estrusione nei processi integrati; questi flussi non sono rilevati statisticamente e sono stimati circa 485.000 tonnellate nel 2013. 

Solo una parte di queste materie seconde viene raccolta in Italia: il nostro paese, infatti, è anche un forte importatore di rottami di alluminio. Tanto che, in questo settore, nel 2013 la nostra bilancia commerciale registrava un deficit per oltre 340.000 tonnellate e per 427 milioni di euro. 

Ma tuttora le grandi miniere dell’alluminio secondario – scarti di lavorazione da un lato, rifiuti e prodotti usati dall’altro – hanno un elevato valore intrinseco sia economico sia ambientale. Se gli scarti di lavorazione (“pre-consumo”) sono recuperati pressoché integralmente, appare più complessa – allo stato attuale – la ricostruzione dei flussi per i rifiuti post-consumo. Va poi tenuto conto di una ampia area “grigia” di recupero e commercio, che sfugge alle rilevazioni anche per motivi fiscali.

Un primo dato riguarda la dimensione quantitativa dei rifiuti generati, valutata oggi tra le 400 e 500.000 tonnellate annue.

I rifiuti e i rottami post-consumo che provengono dalle varie applicazioni sono costituiti da flussi omogenei di prodotti in alluminio (per esempio gli imballaggi o i cavi), o provenienti da componenti di altri prodotti (come nel caso dei componenti di veicoli o di apparecchiature elettroniche). 

Non tutti questi rifiuti – almeno apparentemente – sono davvero recuperati. Anzi, le “miniere urbane” di alluminio secondario sembrano essere ancora molto ricche. La perdita apparente complessiva, da usi urbani e industriali, di alluminio è di circa il 40%.

Ma in alcuni ambiti è molto più alta: il 58% per l’insieme dei flussi urbani, il 40% di imballaggi e similari, oltre un terzo per gli autoveicoli a fine vita.

Sprechi rilevanti e perdite di materia si riscontrano soprattutto nel circuito dei rifiuti urbani: si recuperano solo in parte fogli da imballo in alluminio e altri imballi flessibili e semirigidi, oggetti di uso domestico e di arredo così come componenti dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettronici e l’alluminio nelle scorie di incenerimento. 

Nei rifiuti urbani sono contenute circa 171.000 tonnellate di alluminio, delle quali meno della metà costituite da imballaggi. La quota di “uso domestico e igiene” include anche frazioni tipicamente di arredo e ingombranti.

Attraverso le raccolte differenziate e, marginalmente, attraverso separazioni e recuperi da rifiuti residui, sono avviate a riciclo circa 65.000 tonnellate annue, cioè solo il 38%. Sono possibili – ma non valutabili e accertabili – ulteriori recuperi, esterni al circuito dei rifiuti urbani, di parte dei flussi di alluminio, per esempio nei prodotti di arredo.

Vanno poi aggiunte le circa 7.000 tonnellate di alluminio che prendono la via dell’incenerimento, tal quale o da Css (combustibili solidi secondari), producendo 11 GWh. 

Pertanto, sulla base dei dati disponibili, emerge una perdita di alluminio pari a circa 99.000 tonnellate/anno, equivalente al 58% del rifiuto prodotto. 

Dai dati CiAl la raccolta differenziata degli imballaggi in alluminio – al netto dei conferimenti da selezione del rifiuto residuo – è pari a circa 42.700 tonnellate, da attribuirsi pressoché integralmente a flussi di raccolta differenziata urbana. Il recupero di materia da imballaggi in alluminio (stimato sulla base del conferito a CiAl che rappresenta il 25% della raccolta) è composto per il 97% da imballaggi derivanti da raccolte differenziate e per il resto da separazione sul rifiuto residuo (in Tmb – trattamenti termici e meccanico-biologici – e su scorie). 

Se il tasso di recupero rispetto ai consumi è molto elevato per le lattine e gli imballi rigidi (79,5%) e anche per i semi rigidi (circa 68%) è invece modesto per gli imballaggi flessibili (3-6%) che non sono valorizzati o perché non raccolti separatamente o perché non adeguatamente separati dagli impianti Ecs (a correnti indotte, Eddy Current System) sulle linee di selezione delle raccolte multimateriali e dei trattamenti meccanico-biologici.

Facendo i conti – e considerando anche il recupero da scorie e la conversione energetica di parte dell’alluminio – viene fuori che il 40% della materia contenuta in imballaggi e similari è ancora da recuperare. 

Ma, soprattutto, è molto modesto il recupero degli altri flussi presenti nei rifiuti urbani.

 

 

Dai rifiuti ingombranti e dalla raccolta dei Raee proviene un recupero inferiore alle 20.000 tonnellate annue, a fronte di consumi pari a circa 70.000 tonnellate annue di prodotti di uso domestico (diversi dagli imballaggi e dai fogli) e di circa 20.000 tonnellate/anno contenute nei Raee.

Qui le perdite sono ancora maggiori: apparentemente si disperdono circa il 76% dei rifiuti da prodotti di uso domestico e circa il 68% dell’alluminio contenuto nei Raee. 

Un’ulteriore perdita si registra nelle scorie: la capacità effettiva attuale di recupero è infatti pari a poco più del 10% del potenziale teorico di recupero.

 

 

Anche nella rottamazione degli autoveicoli – una delle principali fonti di rottame di alluminio – si registra una forte dispersione di materiale. Il contenuto di alluminio negli autoveicoli è progressivamente cresciuto nel corso degli anni. Stime relative agli anni ’90 – da cui derivano in media gli autoveicoli rottamati – indicano in circa 70-90 kg/veicolo il contenuto di alluminio nelle auto. Pertanto, il contenuto teorico di alluminio nelle autovetture rottamate al 2012 può essere stimato nel range 63.000-81.000 tonnellate. 

A fronte di questo quantitativo teorico, il totale dei rottami non ferrosi (che include anche rame e piombo) di cui è registrato l’avvio a riciclo è pari a sole 10.591 tonnellate. 

 

 

Anche considerando la quota parte del rottame avviato a riciclo non meglio definito (69.000 tonnellate, delle quali, per analogia con altri paesi quali Germania, Francia, Spagna possiamo stimare in circa il 60% la parte costituita da metalli non ferrosi), il totale dei rottami non ferrosi complessivi è stimabile attorno a 53.000 tonnellate, delle quali circa l’80% costituito da alluminio, pari perciò a circa 42.000 tonnellate/anno, tra la metà e i due terzi della presenza stimata. 

Pur basandoci su stime, lo scarto però appare eccezionalmente rilevante e segnala un possibile importante flusso di alluminio non valorizzato, orientativamente nell’ordine di circa il 40%. Dunque, il recupero dei rifiuti in alluminio presenta grandi potenzialità di sviluppo anche negli altri settori oltre a quello degli imballaggi (nel quale oggi si recupera oltre il 70%). 

 

 

Immagine in alto: Illustrazione per Biancaneve e i sette nani, 1913