C’è un filo che unisce gli opposti? Da una parte l’aspirazione europea al governo del divenire, a un’economia circolare in cui materia ed energia entrano in un ciclo virtuoso creando un paradiso tecnologico. Dall’altra la visione islamica di un universo stabile, scandito una volta per tutte dal volere di Allah sigillato nel Corano, un mondo in cui la luce del bene arriva dalle nostre spalle. Il “sol dell’avvenire” delle lotte operaie e la parola immutabile divulgata dal Profeta. Può esistere un’intesa?

“Innanzitutto non si può parlare di Islam come se fosse un unico blocco. Ci sono tanti Islam, uno per ogni storia, per ogni cultura, per ogni tradizione. Per capire cosa è successo e cosa sta succedendo in Medio Oriente conviene leggere l’adesione a questa religione in termini identitari”, risponde Giovanni Curatola, una vita spesa per la conoscenza del mondo islamico. Curatola è docente di Archeologia e Storia dell’arte musulmana, consulente Unesco, curatore di grandi mostre sull’arte islamica, saggista. Ha accettato di farci da guida nella ricerca di un ponte tra sensibilità apparentemente opposte.

“Oggi naturalmente il tema dell’Islam è legato all’offensiva di Daesh, ma per provare a capire se la questione ambientale separa o divide le due sponde del Mediterraneo bisogna avere uno sguardo più ampio”, continua Curatola. “Nel 2003-2004, quando ero a Bagdad per lavorare al recupero dei musei danneggiati dalla seconda guerra del Golfo, i disastri ambientali provocati nell’arco di poco più di un decennio erano uno dei temi all’ordine del giorno. Saddam aveva usato le armi chimiche nel nord dell’Iraq, nel Kurdistan, mentre nel sud, per colpire gli sciti poco allineati, aveva devastato un’area di straordinaria importanza ecologica e storica, le paludi alla confluenza del Tigri e dell’Eufrate. L’aver quasi distrutto il luogo che alcuni indicano come il modello che ha ispirato l’idea di paradiso è uno degli atti di accusa importanti contro l’ex dittatore iracheno.”

 

Esiste in Medio Oriente una sensibilità ambientale che va al di là delle polemiche su un singolo atto?

“Se vogliamo parlare di spiritus loci, dobbiamo dire che lo spirito del luogo di questo lembo di Medio Oriente va oltre una singola fede. Qui sono nate le tre grandi religioni monoteiste, figlie del deserto, di uno spazio infinito che riporta all’Uno: miliardi e miliardi di granelli di sabbia compongono un’unità.”

 

 

In Occidente la teoria dell’Uno, applicata agli ecosistemi, ha prodotto l’idea di un pianeta vivente, Gaia, ma non ha impedito forme sempre più invasive di inquinamento, fino ad arrivare alla minaccia globale del dissesto climatico. Ora abbiamo la necessità di governare in corsa il disastro prodotto e l’enciclica Laudato si’ contiene un messaggio potente che va in quella direzione. C’è una spinta analoga nelle comunità islamiche?

“Dal punto di vista dottrinale bisogna aver chiaro che nel mondo islamico il Corano ha un peso superiore a quello della Bibbia in Occidente: ci si rifà direttamente alla parola di Dio e il ruolo dell’interpretazione del testo è più ridotto. Dal punto di vista della sensibilità attuale, gli Islam del Medio Oriente vivono una grande contraddizione. Sulla sponda nord del Mediterraneo vediamo la modernità come un possibile aiuto nel riequilibrio del percorso di industrializzazione. Sulla sponda meridionale e orientale è più difficile coltivare questa speranza perché la modernità, là dove è arrivata, spesso ha aumentato le disuguaglianze, ha imposto un ritmo e un modo di vita percepiti come innaturali, oltre che ambientalmente negativi: non è facile ora rivalutare il processo offrendo una direzione più promettente. Sono difficoltà evidenti anche in Iran, che è un paese molto particolare, con una grande cultura preislamica. Un paese cerniera, una delle poche grandi civiltà che non è nata lungo un fiume ma si è sparsa su un largo territorio perché aveva fin dall’inizio una forte vocazione di scambio, di dialogo. Quando l’Iran si è convertito all’Islam lo ha fatto mantenendo una diversità, cioè imboccando la via scita e differenziandosi così dalla maggioranza sunnita: una spaccatura che ancora oggi rimane alla base di buona parte dei problemi che stiamo vivendo in quell’area.”

 

In queste tensioni pesa anche il fatto che l’Islam sconta un ritardo nella separazione tra potere religioso e potere temporale: il Cristianesimo si è lasciato le guerre religiose alle spalle da qualche secolo.

“Fino a un certo punto, se pensiamo che la guerra tra cattolici e protestanti in Irlanda è andata avanti fino a pochi anni fa. Ma, tornando all’Iran, volevo sottolineare che la grande rivoluzione del 1979, di Khomeini, è stata una reazione alla modernizzazione a tappe forzate che aveva finito per accentuare gli squilibri sociali.”

 

Quali sono state le caratteristiche principali di questa modernizzazione forzata?

“Uno degli elementi chiave è l’alterazione del tempo, che non ha riguardato solo l’Iran. Quando, all’inizio del Novecento, Kemal Atatürk iniziò la laicizzazione della Turchia, una delle riforme che introdusse fu la collocazione di un orologio pubblico nelle piazze. Prima la giornata era ritmata dalle cinque preghiere. E il tempo della preghiera era il tempo della natura, scandito dalla semina, dai raccolti, dai grandi eventi di un ciclo eterno. La dimensione della natura era ben presente nel mondo tradizionale che si concedeva il tempo dell’osservazione: l’Islam nasce in una cultura nomade in cui spazio e tempo sono fondamentali. Gli spostamenti avvenivano con le carovane, erano lenti, si viaggiava immersi nel contatto con gli animali e con il deserto.”

 

 

E quindi per contrapposizione nasce l’idea di un paradiso pieno di acqua.

“Non solo acqua: la parola persiana per paradiso è firdaws, un giardino difeso da un muro che tiene lontano il deserto e attraversato da un corso d’acqua. L’immagine del giardino coranico attraversato da quattro fiumi che compongono una croce, uno di acqua, uno di miele, uno di latte e uno di vino, ha trovato applicazione nel 16° e 17° secolo nei giardini costruiti attorno ai grandi mausolei, in particolare indiani. La loro composizione è molto interessante: ogni quadrato, distinto dalla croce formata dai fiumi, rappresenta una stagione. Ma all’interno di ogni quadrato c’è uno spazio dedicato alle altre stagioni: l’inverno ospita l’estate, la primavera e l’autunno. E viceversa. Macrocosmo e microcosmo dialogano. E il risultato è straordinariamente dinamico: dà l’idea di un meccanismo circolare eternamente in moto, in cui in ogni momento la vita affiora.”

 

Una connessione potente tra la forza della natura e la forza del governo dell’uomo.

“Certo, anche dal punto di vista emozionale. Questi giardini sono un tripudio di sensazioni: colori, profumi, il canto degli uccelli, lo scorrere dell’acqua. Ogni senso viene sollecitato. È un contesto che ha aiutato a far maturare una percezione della vicinanza alla natura ancora oggi avvertita. In Iran per esempio c’è un registro degli alberi storici. Ricordo che una volta notai un bellissimo cipresso, come toscano sono sensibile ai cipressi; mi sono avvicinato e ho visto che aveva una targhetta che lo catalogava e lo proteggeva.”

 

La tradizione islamica considera l’uomo come vicario di Dio, custode della Terra, un punto di vista molto simile a quello del Cristianesimo.

“Sì, l’uomo come amministratore dei beni della natura. Questo insegnamento è molto radicato nella tradizione. Negli anni ’70, girando l’Iran a piedi, ho visitato i villaggi più sperduti. Quando mi offrivano il tè, e dovevano preparare le tazzine, facevano bollire un po’ d’acqua e la passavano prima in un bicchierino e poi in un altro, senza cambiarla. Dal punto di vista igienico sanitario non era il massimo, ma non si sprecava nulla: un grande rispetto per le risorse naturali.”

 

 

In che modo l’arte islamica riflette il punto di vista della tradizione?

“Se prendiamo il genere più comunemente identificato con l’arte islamica, le miniature, vediamo che nell’epoca in cui in Italia fioriva il Rinascimento, nell’Islam non si utilizzava la prospettiva. La si conosceva, ma non la si usava perché dare troppo realismo alla rappresentazione, confonderla con il reale, veniva considerato una mancanza di rispetto di Dio, quasi un voler rivaleggiare con l’autore del creato. Invece di usare la prospettiva, si sceglieva di vedere lo stesso oggetto in maniera scomposta, da più punti di vista: per esempio dall’alto a volo di uccello e poi da un lato. L’unità attraverso più immagini.”

 

Quasi una pittura cubista.

“Molto in anticipo però. E con finalità diverse. È una visione che prende le distanze dall’oggetto: il mondo è lasciato nelle mani di Dio, un Dio che usa più la parola della visione per mostrare la via da seguire. E che si fa rappresentare dal creato, dalla natura che dà molto a chi la sa interpretare e punisce chi abusa delle sue risorse. Nelle parabole questo legame con la natura emerge in modi estremamente attuali. Per esempio quando nel Corano si legge ‘di lui sarà come d’una roccia coperta di terriccio, che la colpisce un acquazzone e la lascia nuda: così quelli non avranno alcun potere su ciò che hanno guadagnato, chè Dio non guida gente infedele! Invece di quelli che donano dei loro beni bramosi solo di soddisfare Iddio e di confermare se stessi, sarà come di un giardino sopra un’altura, che lo colpisce un acquazzone e produce i suoi frutti due volte tanti. E se non lo colpirà un acquazzone vi cadrà leggera la rugiada’.”

 

 

Immagini fotografiche ©Giovanni Curatola