Nel ruolo di fondatrice e amministratore delegato del Circular Economy Club (Cec), Anna Tarí ha avuto l’opportunità di acquisire una prospettiva unica sull’evoluzione del movimento dell’economia circolare, che l’ha portata alla convinzione che la transizione verso la circolarità sia un processo inevitabile che deve essere accelerato. Quando ha dato vita al Cec nel 2012, come sito web, questo concetto era poco compreso. I diversi protagonisti dell’economia circolare che mirano a fare la differenza hanno trovato in questa organizzazione internazionale con sede a Londra una rete di circa 3.100 membri provenienti da più di 100 paesi. Il Cec è così diventato una piattaforma per accelerare il cambiamento e unire i protagonisti dell’economia circolare, creando forti legami fra loro. Un luogo in cui si possono condividere buone pratiche e allo stesso tempo ottenere un impatto sia a livello locale sia globale.

Qual è il ruolo del Cec nell’economia circolare?

“Consiste nell’offrire una piattaforma in cui ognuno possa fare la propria parte per accelerare la transizione verso un’economia circolare. Grazie al nostro lavoro abbiamo realizzato workshop in più di 160 città in tutto il mondo per avviare strategie locali di economia circolare, introdotto organizzatori Cec nelle università puntando a inserire nei programmi l’economia circolare, sostenuto 140 startup attraverso un tutoraggio gratuito, dando loro visibilità e aiutandole a trovare finanziamenti. Attualmente abbiamo 3.100 membri in più di 100 paesi, da professori e studenti ad amministratori delegati e giornalisti, e tutto ciò che si colloca fra queste categorie. Tutti devono poter avere l’opportunità di fare la loro parte nell’economia circolare. Penso che il motivo per il quale il Cec sta crescendo così rapidamente è che diamo alle persone la possibilità di fare qualcosa che porta risultati tangibili, e le colleghiamo a una comunità mondiale di attori che a loro volta fanno la propria parte.”

Come si può accelerare la transizione verso un sistema più circolare?

“Ci sono tre aree chiave. In primo luogo, implementare nuove regole che vadano in direzione di limitare e proibire l’uso di materiai tossici e lo smaltimento in discarica, oltre a incentivare i prodotti creati con materiali riciclati e progettati per essere riutilizzati. In secondo luogo, canalizzare maggiori finanziamenti verso le attività economiche che creano tecnologie per facilitare il recupero di materiali e la loro biodegradabilità, attuando soluzioni di logistica inversa e creando mercato per i prodotti usati e per quelli che oggi chiamiamo rifiuti. Infine, costruire consapevolezza attraverso l’educazione e i media, per fare comprendere a un numero sempre maggiore di persone che possiamo creare un sistema più intelligente per gestire le nostre risorse.”

Quali ostacoli incontra questa transizione?

“L’ostacolo principale è l’assenza di mercato per i prodotti e i materiali di scarto o già utilizzati. Finché non avremo un mercato redditizio per i rifiuti di ogni tipo (per esempio i rifiuti plastici), non saremo in grado di incentivare le persone e le organizzazioni al recupero. L’azione dei governi e delle aziende sono entrambe fondamentali per rendere efficace questa spinta. Da una parte i governi possono incentivare l’utilizzo di materiali recuperati nei processi produttivi, oltre a facilitare le infrastrutture e la logistica per un adeguato recupero e conversione dei rifiuti in materiali di pregio. D’altra parte le aziende possono iniziare a lavorare sulle possibilità di valorizzazione dei rifiuti che abbiamo già prodotto, creando nuovi modelli di business. Per esempio la birra Toast Ale è prodotta utilizzando pane che altrimenti sarebbe finito in discarica.”

Che altro può essere fatto?

“I governi non incentivano le aziende e i cittadini in modo sufficiente da spingerli a cambiare i loro comportamenti. Al momento è più facile fare la cosa sbagliata che non quella giusta. È più semplice buttare le cose nell’immondizia generica, che non in un bidone per la raccolta differenziata. È più semplice ed economico smaltire i rifiuti in discarica che non recuperarli, e così via. Dovremmo creare un sistema circolare di default. Per cominciare, se non esistessero le discariche e fossero implementate logistiche di ritorno per il recupero dei materiali, questi rientrerebbero in ciclo più rapidamente e con minore impatto ambientale.”

Quali sviluppi interessanti avete potuto osservare nel vostro lavoro con il Cec?

“Agli esordi dell’economia circolare la mia paura era che le persone la identificassero immediatamente con il riciclare. C’è stata tutta una discussione sulla necessità di non associare la circolarità solo con il riciclaggio, ma di lavorare per la scomparsa dei rifiuti, non creare rifiuti di default. Sono ottimista perché vedo che le persone hanno iniziato a capire e assimilare il concetto di circolarità. Esiste un numero crescente di organizzazioni, comprese grandi aziende, impegnate a ridisegnare l’intero sistema di produzione e consumo. Per esempio, uno dei membri del Cec, l’azienda Terracycle, in collaborazione con Nestlé, Danone, P&G e altri, ha lanciato Loop, un sistema che permette ai consumatori di comprare prodotti in contenitori riutilizzabili e che si possono restituire.”

Sembra che l’economia circolare abbia catturato l’attenzione di consumatori e produttori. Pensa che questo processo continuerà a crescere?

“La circolarità, in termini sia di consapevolezza sia di azioni, è cresciuta in modo esponenziale. Lo si può notare dalla gran quantità di eventi e conferenze che si tengono nel mondo, dalla quantità di aziende che cercano di capire come farla diventare parte delle proprie pratiche e dal numero di nuovi membri che si aggiungono al Cec. Secondo noi non si tratta di una tendenza che andrà a scomparire, ma è piuttosto una trasformazione del modello economico che aiuterà l’umanità a mantenere la nostra qualità di vita, rivedendo allo stesso tempo la nostra relazione con l’ambiente e con la società nel suo insieme. Abbiamo raggiunto un punto critico in cui o cambiamo o siamo rovinati. Fortunatamente molte persone lo stanno realizzando. Il modello economico di cui abbiamo bisogno comporta il passaggio dall’essere meri consumatori a utilizzatori: questi cambiamenti sono collegati agli stili di vita di cui ci stiamo già appropriando quando, per esempio, affittiamo auto o vestiti.”

C’è un cambiamento culturale in atto su scala globale?

“La definizione di cultura e di circoli culturali sta perdendo sempre più di significato all’interno del mondo interconnesso di oggi, in cui le persone appartengono sempre di più a molti luoghi contemporaneamente. Alcuni paesi sono più rapidi nell’accogliere l’economia circolare, a volte grazie al fatto che non hanno abbondanti risorse e devono imparare rapidamente a gestire quelle che hanno. Alcuni paesi, inoltre, sono più grandi e nelle loro scelte influenzano altri paesi. Per esempio da quando la Cina ha chiuso le porte all’importazione di rifiuti da paesi stranieri, l’Unione europea ha dovuto accelerare il processo attraverso il quale gestire i suoi ingenti flussi di rifiuti. Anche se alcuni paesi si avvicinano all’economia circolare dopo altri, evolversi e costruire comunità migliori è una tendenza insita nella natura umana, per cui probabilmente è un passo che prima o poi faranno tutti.”

Quali paesi sono in prima linea nell’economia circolare?

“Durante la Circular Economy Mapping Week che ha avuto luogo a marzo in 65 città di tutto il mondo, più di 2.100 membri del Cec si sono incontrati per identificare le soluzioni circolari già adottate nel mondo. I Paesi Bassi, il Regno Unito (specialmente la Scozia) e la Finlandia sono i paesi in cui si registra il maggiore impegno e progresso in questo ambito. Il pilastro fondante comune a questi tre Stati consiste in un autentico impegno da parte dei governi a investire in nuove soluzioni circolari per riprogettare, in particolar modo le proprie strategie industriali. Per esempio, l’economia circolare è un aspetto fondamentale dell’Economic Strategy and Manufacturing Action Plan scozzese, sostenuto da investimenti per 70 milioni di sterline, 30 dei quali provenienti da fondi europei.”

Circular Economy Club, www.circulareconomy club.com