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Ampia disponibilità di materie prime rinnovabili, infrastrutture e supporto da parte delle istituzioni. Sono questi gli ingredienti che fanno del Canada uno dei maggiori attori della bioeconomia a livello mondiale. Non potrebbe essere in altro modo per un paese che ha come simbolo nazionale, impressa anche nella propria bandiera, la foglia d’acero. Le foreste canadesi occupano 348 milioni di ettari di superficie e rappresentano il 10% del patrimonio forestale globale. Sono 67 milioni, invece, gli ettari occupati dal terreno agricolo. “La biomassa agricola e forestale gioca un ruolo essenziale nello sviluppo della bioeconomia canadese”, ci dice Murray McLaughlin, fino allo scorso giugno direttore esecutivo di Bioindustrial Innovation Canada, uno dei più importanti centri di ricerca e commercializzazione focalizzato sulla bioeconomia. “Le imprese stanno sviluppando innovazioni per trasformare il legno in zuccheri e per ampliare gli usi della lignina”.

 

Una strategia entro la fine dell’anno

In Canada, oggi la bioeconomia è al centro di un nuovo modello di sviluppo sostenibile, supportato con forza dal governo di Justin Trudeau, che ha posto la lotta ai cambiamenti climatici al vertice della propria agenda politica. Proprio la partecipazione alla COP21 di Parigi ha fatto da volano alla redazione di un piano nazionale per la bioeconomia, che dovrebbe essere presentato in forma di bozza per la discussione pubblica entro la fine di quest’anno. Il compito più difficile – in questo scenario – sarà conciliare gli interessi della bioeconomia con quelli dell’industria petrolifera presente in Canada, visto che il paese attualmente è il terzo detentore al mondo di riserve petrolifere accertate dopo Arabia Saudita e Venezuela (fonte: BP Statistics). 

“È essenziale – sottolinea McLaughlin – se vogliamo raggiungere gli obiettivi fissati dal nostro governo. A Sarnia parliamo di cluster ibridi, intendendo con ciò che i prodotti di origine biologica e quelli di origine petrolchimica devono lavorare insieme per far crescere la bioeconomia ed estendere la durata del petrolio consumandone meno. Non ci sono però politiche in campo per favorire questa collaborazione”. 

La particolarità delle riserve petrolifere del Canada – sostengono gli addetti ai lavori – sta nel fatto che, a differenza dei tradizionali giacimenti petroliferi, nel paese nordamericano questa risorsa si estrae per lo più dalle cosiddette sabbie bituminose. Si tratta di un tipo di petrolio molto più difficile da estrarre e da raffinare: le sabbie bituminose sono una miscela di argilla, acqua, sabbia, fango e, appunto, bitume. Essendo questo un petrolio allo stato solido o semi-solido, ha una lavorazione molto più costosa, non solo in termini economici ma anche ambientali. Se per ottenere un barile di petrolio convenzionale si producono 29 chilogrammi di CO2, per un barile di petrolio dalle sabbie bituminose diventano circa 125. Gli esperti stimano così che il 44% dei gas serra prodotti dal Canada tra il 2006 e il 2020 sarà causato dall’estrazione e dalla produzione di petrolio bituminoso. 

Si comprende quindi l’importanza di dotarsi presto di un piano per la bioeconomia. A Parigi il governo canadese si è impegnato a ridurre entro il 2030 del 30% rispetto ai valori del 2005 le proprie emissioni di CO2. Ciò significa – secondo gli studiosi – solo una cosa: una conversione al 100% di energia rinnovabile nei prossimi 35 anni per stare nell’obiettivo dell’1,5 gradi. Qualche anno in più per l’obiettivo dei 2 gradi. Tutto questo passa dalla chiusura immediata delle centrali a carbone. Misura che è stata già attuata in Ontario nel 2014, sostituendo il carbone con il legno, e che lo sarà in Alberta entro il 2020. “E altre province – ci dice McLaughlin – stanno rivedendo i loro piani”. 

In Canada, infatti, il ruolo delle province nella bioeconomia è di primissimo piano: a loro competono le politiche per l’energia e l’ambiente. Alcune, come Alberta e Columbia britannica, hanno già introdotto una carbon tax nel proprio sistema fiscale. Altre, come Ontario e Quebec, stanno lavorando all’implementazione di nuove politiche che limitino l’impiego del carbone. E per assicurare un quadro omogeneo, il governo federale sta sviluppando linee guida nazionali che dovrebbero essere presentate entro il 2017. “L’auspicio degli attori della bioeconomia canadesi – aggiunge McLaughlin – è che il piano per la bioeconomia comprenda anche un sistema di appalti pubblici verdi che favorisca la diffusione dei bioprodotti, simile al programma Biopreferred introdotto negli Stati Uniti”.

 

Chi c’è nel Ben

Ecco le associazioni che fanno parte del Bio-Economy Network:

  • Automotive Parts Manufacturers’ Association; 
  • BIOTECanada;
  • Canadian Bioenergy Association (CanBio);
  • Canadian Renewable Fuels Association;
  • Chemistry Industry Association of Canada;
  • CropLife Canada;
  • Forest Products Association of Canada;
  • FPInnovations;
  • Bioindustrial Innovation Canada / Sustainable Chemistry Alliance.

 

L’attrazione degli investimenti

Ma nonostante l’assenza di un piano nazionale, il Canada è stato già in grado di attrarre numerosi investimenti sul proprio territorio negli ultimi anni. “Ci sono state iniziative locali che hanno consentito lo sviluppo della bioeconomia”, afferma McLaughlin. Qualche esempio? “A Sarnia, Ontario, ci si è focalizzati sui prodotti chimichi biobased; a Winnipeg, Manitoba, sui biocompositi; nella Drayton Valley, Alberta, sulle biomasse legnose”. 

“In Alberta – conferma Stan Blade, preside della facoltà di Agraria dell’Università dell’Alberta – abbiamo diversi programmi per favorire lo sviluppo delle bioenergie, sia dal lato delle infrastrutture, sia da quello della concessione di crediti agevolati”.

Inoltre, il Canada ha diversi punti di forza favorevoli alla bioeconomia: la ricchezza di biomassa, la presenza di foreste certificate, una forza lavoro altamente qualificata, una ricerca eccellente, i fondi messi a disposizione dall’agenzia Sustainable Development Technology Canada, la vicinanza al mercato statunitense e l’esistenza di siti industriali dove localizzare impianti piloti e commerciali. 

Non è un caso, quindi, che una società come l’americana BioAmber, che produce acido succinico biobased, abbia deciso di collocare a Sarnia il proprio impianto commerciale. “La ragione principale – spiega Mike Hartmann, vicepresidente esecutivo di BioAmber – sta nel basso costo dello zucchero e dell’energia”. L’acido succinico è un intermedio chimico con numerose applicazioni nel campo degli ingredienti alimentari, della cura personale, delle vernici e della plastica biodegradabile. “Attualmente l’acido succinico – sostiene Hartmann – ha un mercato che vale circa 60.000 tonnellate e le stime lo danno in crescita del 35% all’anno”. A Sarnia, la società americana del Delaware quotata al Nasdaq e all’Euronext di Parigi, che oggi ha il proprio quartier generale a Montreal (Quebec), ha costruito e reso operativo dal novembre 2015 un impianto da 30.000 tonnellate per anno, grazie al quale sarà possibile ridurre le emissioni di CO2 di 210.000 tonnellate rispetto a quelle derivanti dalla produzione dell’equivalente acido ottenuto dal petrolio. Il che equivale a togliere dalle strade ogni anno 45.000 automobili. Tra gli investitori della società figura il colosso giapponese Mitsui & Co., che detiene il 40% del capitale, la tedesca Lanxess e alcuni fondi di venture capital come il francese Sofinnova e il canadese Cliffton Group. 

 

Le imprese canadesi

Sempre a Sarnia, a partire dal 2018, sarà operativo anche l’impianto commerciale della Comet Biorefining, un’impresa canadese che ha sviluppato una tecnologia per produrre in modo sostenibile, da biomassa non alimentare, glucosio cellulosico per applicazioni nel campo dei biocombustibili e dei prodotti chimici biobased. “Il Canada – rivendica Andrew Richard, fondatore e presidente della Comet Biorefining – è all’avanguardia nella bioeconomia. C’è un alto grado di allineamento tra le agenzie governative canadesi che sostengono il settore. Che si tratti di agenzie di sostegno del settore agricolo e forestale, di programmi tecnologici e di innovazione, come Sdtc (Sustainable Development Technology Canada), o di iniziative locali di sviluppo economico, ogni programma è ben definito e gli obiettivi sono complementari. Questo allineamento è un vantaggio significativo, che consente alle imprese di muoversi tra opportunità di finanziamento e politiche di sviluppo”. La costruzione dell’impianto della società guidata da Richard è stata resa possibile proprio da un finanziamento di 10,9 milioni di dollari canadesi elargito dalla Sdtc. Tra gli investitori della Comet figurano anche il fondo di venture capital francese Sofinnova e la stessa BioAmber, che ha siglato lo scorso aprile con la società dell’Ontario un accordo commerciale per la fornitura di destrosio.

Altro fiore all’occhiello della bioeconomia made in Canada è la quebecchese Enerkem, che si sta ritagliando un ruolo di primo piano a livello mondiale grazie a una tecnologia che consente di produrre biocombustibili e prodotti biochimici utilizzando come materia prima i rifiuti solidi urbani. Fondata nel 2000 da Esteban Chornet e dal figlio Vincent, che ne è tuttora il presidente e amministratore delegato, la società ha inaugurato il primo impianto pilota nel 2003 a Sherbrooke in Quebec. Successivamente, nel 2007 ha avviato la costruzione di un impianto dimostrativo a Westbury, nel 2010 del primo impianto commerciale a Edmonton in Alberta, e nel 2012 del secondo a Varennes, in Quebec. 

La tecnologia di Enerkem utilizzata nell’impianto di Edmonton inaugurato a giugno 2014 ha permesso alla città canadese di far crescere la propria percentuale di diversione dei rifiuti dal 60 al 90% producendo etanolo e metanolo. Per questo motivo la bioraffineria – che lo scorso agosto ha ricevuto (prima al mondo) la certificazione dalla Iscc (International Sustainability and Carbon Certification) per la produzione di biometanolo da rifiuti solidi urbani – è considerata dagli addetti ai lavori un vero e proprio modello di bioeconomia circolare, che il colosso chimico AkzoNobel e altri partner vorrebbero replicare nei Paesi Bassi. Mentre in Cina è il Qingdao City Construction Investment Group ad avere in programma la costruzione di una bioraffineria che utilizzerà la tecnologia di Enerkem.

“La certificazione Iscc – ha affermato Tim Češarek, vicepresidente senior, business development – conferma che Enerkem soddisfa requisiti elevati di sostenibilità ecologica e sociale. Enerkem vende già il suo biometanolo in Nord America e, con la certificazione, ora stiamo aggiungendo flessibilità per esportarlo come biocarburante in Europa (la certificazione di parte terza è richiesta dalle misure stringenti previste dalla direttiva europea sull’energia rinnovabile, ndr)”.

 

I Fondi per innovare 

Sviluppo sostenibile tecnologia Canada (Sdtc) è una fondazione senza fini di lucro che finanzia e sostiene lo sviluppo e la dimostrazione di tecnologie pulite che forniscono soluzioni ai problemi del cambiamento climatico, l’aria pulita, la qualità delle acque e del suolo, e che offrono benefici economici, ambientali e sanitari ai canadesi.

I fondi gestiti da Sdtc finalizzati allo sviluppo e alla dimostrazione di soluzioni tecnologiche innovative sono due. 

SD Tech Fund

  • budget totale del progetto: 550 milioni di dollari;
  • i contributi sono a fondo perduto.

NextGen Biofuels Fund

  • budget totale del progetto: 500 milioni di dollari;
  • fornisce finanziamento azionario ai destinatari;
  • i contributi vanno rimborsati sulla base del free cash flow in un periodo di 10 anni dopo il completamento del progetto.

 

Il ruolo del Bio-Economy Network 

Secondo un’analisi presentata dal ministero dell’Agricoltura e dell’Agroalimentare (Bioproducts Survey, Statistics Canada), nel 2009 erano più di 200 le imprese canadesi che stavano sviluppando o producendo bioprodotti, con 3.000 persone occupate e un volume di affari di 1,3 miliardi di dollari canadesi (433 milioni il valore dell’export). E con un totale di biomassa prodotta pari a 27 milioni di tonnellate. Si tratta di numeri certo da aggiornare, ma che danno bene l’idea di un paese in cui la bioeconomia rappresenta un settore con un grande potenziale di crescita, considerato dal governo un’ottima opportunità per rafforzare e diversificare il settore agricolo, trasformando gli scarti della produzione in prodotti ad alto valore aggiunto.

Per sfruttare appieno questo potenziale, il ministero dell’Agricoltura ha istituito un gruppo di lavoro interdipartimentale sulla bioeconomia (Biwg, Bioeconomy Interdepartmental Working Group), che riunisce dipartimenti federali e agenzie al fine di coordinare tutte le politiche di settore. Un’iniziativa a cui si è affiancato nel 2012 il Bio-Economy Network (Ben), una rete di stakeholder della bioeconomia canadese che punta a sfruttare pienamente il potenziale emergente nel mercato globale per i prodotti a base biologica e a cui il governo federale ha assegnato di recente il compito di redigere la prima bozza del piano nazionale per la bioeconomia. “Abbiamo visto la politica aggressiva sulla bioeconomia di Stati Uniti, Cina ed Europa e non vogliamo stare a guardare”, ha dichiarato Catherine Cobden, vicepresidente esecutivo dell’Associazione canadese dei prodotti forestali, chiamata a presiedere Ben. “Non vogliamo – ha detto Cobden – che il Canada finisca in una posizione vulnerabile in un contesto concorrenziale sempre più feroce. Qui in Canada abbiamo risorse naturali che gli altri paesi ci invidiano. Vogliamo lavorare oltre i confini tradizionali e preparare il paese per il futuro.”

 

 

Bioindustrial Innovation Canada, www.bincanada.ca

Comet Biorefining, cometbiorefining.com/

Enerkem, enerkem.com/

 


  

Intervista a Glenn Mason, assistente viceministro, Canadian Forest Service, dipartimento Risorse Naturali del Canada

A cura di Mario Bonaccorso

 

Un futuro che parte dalle foreste

 

Signor Mason, il Canada possiede 348 milioni di ettari di foreste: che ruolo gioca l’industria della silvicoltura nella bioeconomia canadese?

“I 348 milioni di ettari di foresta del Canada significano che il paese possiede una delle maggiori fonti di biomassa sulla Terra. Ogni anno qui viene abbattuto meno dello 0,5% delle foreste ma la lavorazione del legname genera tra i 28 e i 32 milioni di tonnellate (pari a 500 milioni di GJ) di residui di segheria all’anno. E sempre più spesso si trovano nuovi impieghi per i sottoprodotti della lavorazione della polpa di cellulosa e della carta, come la lignina.

Il settore della silvicoltura può, quindi, dare contributi significativi alla bioeconomia canadese: i progressi tecnologici nell’uso e nella trasformazione della fibra di legno in energia, carburanti, sostanze chimiche o materiali avanzati forniscono costantemente nuove opportunità per ridurre le emissioni di gas serra, assicurare un immagazzinamento a lungo termine del carbonio e garantire sostenibilità economica alle aree rurali. Nel futuro del Canada noi vediamo un ruolo chiave per il settore forestale.” 

 

Per raggiungere gli obiettivi fissati di contenere l’aumento della temperatura media entro 1,5 °C rispetto alle medie del periodo preindustriale e ridurre le emissioni del 30% entro il 2030 rispetto al 2005 occorre eliminare il carbone come combustibile e incrementare gli investimenti nelle rinnovabili e nella bioeconomia. Come pensate di farlo? 

“Il nostro obiettivo è di supportare tutti i diversi aspetti della bioeconomia. In primo luogo, il Canada sostiene con forza la scienza che fornisce i dati per l’analisi del ciclo di vita e la contabilità del carbonio contenuto nelle foreste. In secondo luogo, incoraggia la creazione e la commercializzazione di nuovi prodotti e tecnologie attraverso sovvenzioni governative che finanziano tutti gli stadi del continuum innovativo, dalla scienza che ne sta alla base fino alla ricerca e sviluppo e alla commercializzazione. I settori coperti spaziano dalla bioenergia alle costruzioni, ai materiali avanzati o alle sostanze chimiche elementari.

Come lei ha ricordato, l’energia rappresenta la prima frontiera per lo sviluppo della bioeconomia dato che ha un forte potenziale per la mitigazione delle emissioni di gas serra. In una dichiarazione congiunta con gli Stati Uniti, il Canada si è impegnato a definire e condividere un piano e una timeline per sviluppare alternative al diesel innovative nell’utilizzo delle rinnovabili e nell’efficienza e per far progredire l’adattamento della comunità ai cambiamenti climatici.

Il governo del Canada è decisamente impegnato a proteggere l’ambiente e nello stesso tempo a far crescere l’economia.\"

 

Quali sono le priorità nell’azione del governo canadese? 

“Il governo del Canada è decisamente impegnato a proteggere l’ambiente e nello stesso tempo a far crescere l’economia (‘Protecting the environment and growing the economy’ è uno slogan di Justin Trudeau, primo ministro canadese, ndr). Le priorità riguardano la riduzione dell’inquinamento da carbonio, la lotta ai cambiamenti climatici, gli investimenti strategici in tecnologie pulite. Tali priorità si sono tradotte in numerosi impegni a collaborazioni e finanziamenti – in un periodo che va dai prossimi 2 a 10 anni – che faranno progredire i biocarburanti e la bioeconomia grazie a grandi investimenti in infrastrutture, tecnologia pulita per i settori delle risorse naturali e un fondo per un’economia a basse emissioni di carbonio. 

Inoltre, il Canada sta sviluppando un Forest Bioeconomy Framework attraverso il Canadian Council of Forest Ministers (Ccfm). Il Framework è parte dell’Innovation Action Plan del Ccfm per i prossimi quattro anni.”

 

Quali politiche avete adottato in Canada a sostegno della bioeconomia?

“Negli ultimi dieci anni i governi canadesi, quello federale e quelli provinciali e territoriali, hanno messo in atto numerose politiche e programmi per sostenere lo sviluppo della bioeconomia. 

Il governo federale del Canada ha le Renewable Fuel Regulations, che specificano la media annua del contenuto rinnovabile nella benzina, nel diesel e nel combustibile da riscaldamento. E alcune province hanno legislazioni che vanno oltre e al di là dei limiti federali.

Inoltre, il governo federale sostiene lo sviluppo della bioenergia e della bioeconomia con vari programmi e sovvenzioni collaborando con l’industria nella ricerca e nello sviluppo della tecnologia e delle materie prime, come pure in progetti dimostrativi. 

Per esempio: il programma Investment in Forest Industry Transformation (Ifit) stanzia 100 milioni di dollari in quattro anni per i progetti che sviluppino nuove tecnologie riguardanti prodotti forestali ed energie rinnovabili non tradizionali e ad alto valore. EcoEnergy for Biofuels è un programma che prevede investimenti fino a 1,5 miliardi di dollari al fine di potenziare la produzione di alternative rinnovabili a benzina e diesel, e incoraggiare la crescita di una industria domestica competitiva dei carburanti rinnovabili. Inoltre, il Growing Forward 2, è un framework sulle politiche messo a punto per il settore agricolo e agroalimentare che prevede un investimento di tre miliardi di dollari in cinque anni (2013-2018) da parte dei governi federale, provinciali e territoriali (Fpt) in programmi focalizzati sull’innovazione, competitività e sviluppo del mercato. E anche alcune province stanno sviluppando proprie strategie nel settore.” 

 

Il Canada è il maggior detentore di riserve di petrolio dopo Arabia Saudita e Venezuela. È anche il terzo produttore di gas naturale a livello globale. Come si possono conciliare gli interessi di questi settori con quelli della bioeconomia?

“Progredire sul cammino della bioeconomia non sarà un compito facile, né è possibile che un singolo soggetto lo possa compiere da solo. Occorre sviluppare un sistema di innovazione trans-settoriale che cerchi di allineare gli interessi e gli obiettivi di vari settori. Per esempio, i recenti progressi nelle tecnologie per la conversione idrotermale della biomassa possono facilitare la produzione di bio-greggio, che si potrebbe produrre in modo sostenibile nelle raffinerie esistenti per generare una serie di biocarburanti e sostanze biochimiche. Governi e industria dovranno lavorare insieme per sviluppare una visione per la bioeconomia, in modo che gli sforzi siano allineati e di utilità reciproca.”

 

Ci sono misure come il Green Public Procurement e la carbon tax nel sistema delle politiche canadesi?

“La Government of Canada Policy on Green Procurement è diventata effettiva il primo aprile del 2006. Prevede che i dipartimenti federali integrino le considerazioni sulla performance ambientale come fattore chiave nelle decisioni sulle acquisizioni. Ai dipartimenti viene inoltre richiesto di definire gli obiettivi del green procurement e di monitorare e riferire annualmente sulla loro performance negli ‘acquisti verdi’.

Come priorità, il governo canadese sta lavorando per fornire una guida nazionale nella riduzione delle emissioni di gas serra, nel combattere i cambiamenti climatici e fissare un prezzo alle emissioni di carbonio. Insieme alle province e ai territori, il governo del Canada sta lavorando per assicurare loro la flessibilità necessaria affinché possano mettere a punto le proprie politiche di prezzo sulle emissioni di carbonio. Tali politiche riconosceranno il costo economico e l’impatto che un aumento superiore ai 2° nelle temperature medie globali rappresenterebbe.”

 

Il Canada ha dimostrato grande capacità di attrarre gli investimenti delle compagnie che operano nella bioeconomia. Quali sono i punti forti del suo paese?

“Primo, il Canada è un leader mondiale riconosciuto nella gestione sostenibile delle sue foreste: nel 2015 possedeva la più grande area al mondo di foreste certificate da enti indipendenti, pari a 166 milioni di ettari. La gestione sostenibile delle foreste in Canada è sostenuta da leggi, regolamenti e politiche, da un rigoroso processo di pianificazione della gestione delle foreste e da un approccio scientifico al processo decisionale, alla valutazione e alla pianificazione. Gli investimenti risultano attrattivi grazie alla reputazione del paese considerato fonte di prodotti forestali e biomassa prodotti legalmente e in modo sostenibile.

Inoltre il Canada possiede ricercatori e forza lavoro di prim’ordine. Per esempio, gli scienziati canadesi hanno scoperto due nuovi biomateriali rivoluzionari di origine forestale – i filamenti e i nanocristalli di cellulosa – che possiedono il potenziale per contribuire a posizionare il settore forestale nazionale all’avanguardia nella bioeconomia globale.

Non solo. Il nostro paese ha anche una sana legislazione e un settore commerciale stabile, oltre a una storia di forti relazioni commerciali con molti paesi: gli investitori stranieri avranno anche un accesso preferenziale attraverso l’Accordo nordamericano per il libero scambio (Nafta) e altri accordi. Infine, tra tutti i paesi del G7, il Canada è quello con la più bassa pressione fiscale sul business.” 

 

 

Canadian Council of Forest Ministers, www.ccfm.org/english/

The Canadian Trade Commissioner Service, “Why Invest in Canada?” tinyurl.com/pyp9yyo