Il circolo vizioso è sempre più chiaramente sotto i nostri occhi. E i numeri, impietosi, rappresentano un monito per il Vecchio Continente e i suoi decisori. Le emissioni di gas climalteranti dal trasporto domestico in UE, tra il 1990 e il 2019, sono aumentate del 24%, in linea con la lunga onda delle importazioni di petrolio, cresciute significativamente dalla fine del XX secolo.
Le
auto e furgoni sono i principali responsabili del trend in aumento della CO2 da trasporto su strada, e rappresentano il 15% di tutte le emissioni di anidride carbonica in UE, nonché uno dei driver principali delle importazioni di greggio del blocco. Circa un terzo di questo viene bruciato nei serbatoi dei nostri veicoli a combustione. Da questo processo vengono generati gas tossici, come il biossido d’azoto che uccide prematuramente oltre 40mila persone all’anno nel Vecchio Continente, come riporta l’Agenzia Ambientale Europea. Di queste oltre 10mila sono in Italia, recentemente condannata dalla Corte di Giustizia Europea per aver “sistematicamente” violato il valore limite di legge nelle principali città italiane dal 2010 ad oggi e per non aver messo in atto alcuna misura strutturale per risolvere il problema.
Intanto,
l’invasione russa dell’Ucraina sta mostrando quanto sia costosa la nostra dipendenza dal fossile, che costringe i Paesi del Vecchio Continente a finanziare il regime di Putin attraverso le importazioni di petrolio (104 miliardi di dollari nel 2021 secondo le stime di T&E). A questi costi si sommano poi i cospicui aiuti a livello nazionale che i governi si trovano oggi a dover stanziare per calmierare i prezzi e proteggere i cittadini dalle fluttuazioni di prezzo proprie dei combustibili fossili. Nel solo mese di aprile il taglio delle accise sul carburante è costato alla UE 8,6 miliardi di euro. E all’Italia un miliardo.
Numeri che fanno ricordare che dietro alla
transizione elettrica dell’automotive ci sia non solo l’esigenza di rispondere alla (enorme) crisi climatica. Ci sono, al tempo stesso, motivazioni sanitarie, sociali, insieme a non meno importanti aspetti geopolitici, legati alla nostra indipendenza energetica.

Un piano europeo per uscire dal petrolio

La buona notizia è che l’Europa ha un piano per spezzare questa spirale negativa. I prossimi giorni il Parlamento Europeo può votare a favore della proposta della Commissione UE di Luglio 2021 per la revisione del regolamento di CO2 di auto e furgoni, che prevede la fine della vendita di auto e furgoni a combustione interna in Europa dal 2035.
Lo stop ai motori a combustione interna è un tassello indispensabile del variegato puzzle risolutivo, che potrebbe portare l’UE a centrare il suo ambizioso, nobile impegno di divenire la prima economia mondiale a zero emissioni nette nel 2050.
I veicoli elettrici, che rappresentano già un quinto delle auto vendute nella UE, sono tecnologicamente pronti, consumano tre volte meno energia, hanno zero emissioni al tubo di scappamento e nel 2035 (data della fine vendita) saranno alimentati da energia elettrica rinnovabile per almeno il 70% in Italia (più del 50% di media in UE), come stabilito dai Piani Energetici Nazionali.
La
roadmap c’è, la tecnologia anche. E l’Europarlamento è chiamato ora ad un atto di coerenza. I legislatori europei devono infatti dimostrarsi capaci di superare le resistenze e le pressioni della lobby del fossile, votando a favore della fine della vendita di nuove auto e furgoni a motore in Europa dal 2035 (ancora tredici lunghissimi anni), e onorare gli impegni presi con il Green Deal Europeo, mettendo la parola fine ad una parte cospicua delle nostre importazioni di petrolio.

Supportare la giusta transizione, senza paura

Tra i principali motivi della titubanza degli europarlamentari a supportare la proposta di phase out c’è l’incertezza relativa alla trasformazione sociale e industriale, la paura della perdita dei posti di lavoro, diffusa e alimentata da quella parte dell’industria (e dei governi) che resiste al cambiamento e si illude (e illude) di poter sopravvivere senza trasformarsi. Sappiamo però che le cose non vanno mai in questo modo. Quando il cambiamento è in atto o si cambia o si soccombe, perché tutto è interconnesso. E le politiche protezionistiche, di mantenimento dello status quo, portate avanti da alcuni governi europei a supporto dell’industria “fossil based”, non solo non salveranno posti di lavoro, ma ci porteranno a sbattere dritti contro muro.
Di questo l’Italia è un eccellente esempio. Con un settore automotive passato negli ultimi vent’anni dall’essere tra i primi 10 produttori mondiali di automobili, ad un settore produttivo incentrato soprattutto sulla fabbricazione di componenti (circa la metà per i veicoli endotermici), che esporta in una proporzione del 60%, l’Italia deve avviarsi velocemente verso la trasformazione e aggiornamento della propria produzione, pena non avere più un mercato per i suoi prodotti nel giro di pochi anni.
Ad esempio
dal 2030 nel Regno Unito le auto e i furgoni endotermici non potranno più essere venduti. Questo vuol dire che il mercato britannico delle componenti endotermiche diminuirà a poco a poco fino a spegnersi. Altri mercati seguiranno. Davvero pensiamo che mentre i principali mercati europei e mondiali investono centinaia di miliardi di euro nell’elettrificazione, la posizione di retroguardia assunta dal nostro ministro dello Sviluppo Economico e dal nostro ministro della Transizione Ecologica, possa salvare il posto di lavoro dei nostri produttori di pistoni o bielle?
Serve piuttosto una data certa, comune e condivisa. Un percorso chiaro cui possano seguire politiche industriali e attive del lavoro; una mappatura granulare delle
competenze che non serviranno più e di quelle che invece serviranno, ma che ad oggi non ci sono. C’è bisogno di formazione e aggiornamento della forza lavoro, e di un fondo dedicato agli ammortizzatori sociali. In altre parole gli elementi a supporto della giusta transizione, richiesti anche dalla Commissione parlamentare Ambiente lo scorso 11 Maggio.
Ora l’Europarlamento dia seguito al percorso virtuoso intrapreso, votando a favore dello stop europeo alla vendita delle auto endotermiche dal 2035, a favore dell’inizio della
fine delle importazioni di petrolio in Europa, e della giusta transizione.

Immagine: Matthias Speicher (Unsplash)