Si avvia oggi a conclusione, venerdì 19 gennaio, il summit del World Economic Forum a Davos, dove banchieri, industriali, politici, investitori si danno appuntamento ogni anno per discutere di scenari geopolitici e macroeconomici. Dall’instabilità in Medio Oriente all’intelligenza artificiale, dalla disinformazione alle sfide sanitarie, sono molteplici i talk, gli interventi, i pitch, i cocktail party animati da discussioni su questi temi. Il WEF è uno di quegli eventi dove non si fanno accordi o si siglano impegni. È un luogo dove di definiscono soprattutto narrative, priorità, visioni d’indirizzo per il potere economico globale.

Per questa ragione, da anni, agenzie ONU, imprenditori illuminati, attivisti cercano di tenere vivo il discorso sul cambiamento climatico e la policrisi ambientale. Anche quest’anno non è mancato il tentativo di preservare la transizione come uno dei temi di rilevante interesse all’interno del club dei super-potenti. Lo ha ribadito anche la survey annuale del Forum che ogni anno viene compilata da 1.500 dei suoi membri, sui rischi futuri a breve e lungo termine.

Se nei prossimi due anni il cambiamento climatico e gli impatti degli eventi meteo estremi condividono la pole position con l’inflazione, le tensioni geoeconomiche, la crisi di coesione e polarizzazione sociale, i rischi sul lungo termine sono interamente legati alla crisi climatica e della biodiversità, agli eventi naturali catastrofici, all’impossibilità di creare politiche di mitigazione e adattamento sufficienti a mantenere il mondo in rotta per ridurre le temperature entro 1,5°C.

Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, stringe la mano a Klaus Schwab, presidente del World Economic Forum

 

Nell’edizione 2023, che non ha certo brillato per l’impegno a ridurre l’impatto ambientale, e dove proteste contro i super ricchi che super inquinano si sono fatte bene sentire, il clima è rimasto comunque in agenda. Le sale dove hanno parlato l’inviato speciale USA per il clima uscente, John Kerry, o il presidente della World Bank, Ajay Banga, o l’economista Lord Stern sono state pienissime. Numerosissime discussioni, ricevimenti, side event hanno trattato un’altra pietra miliare raggiunta a COP28 (con buona pace di quelli che ripetono ancora che le Conferenze Onu sul clima sono inutili), ovvero il goal di triplicare le rinnovabili e raddoppiare l’efficientamento energetico entro il 2030.

Da notare l’interesse per le sessioni sugli investimenti in tecnologie di cattura e rimozione della CO₂, emerse con la rilevante menzione nel documento finale di COP28 a Dubai. Lo conferma a Politico Andreas Aepli, CFO della svizzera Climeworks: “Questo è l’anno in cui davvero queste tecnologie accelereranno. L’attenzione è alle stelle”.

Molte delle riflessioni promosse dal WEF si sono concentrate anche sulla rivoluzione dei consumi energetici. “La spesa complessiva delle famiglie per misure di energia pulita, come pannelli solari, batterie, contatori intelligenti e sistemi di riscaldamento e raffreddamento elettrici, ha raggiunto lo scorso anno i 184 miliardi di dollari”, ha dichiarato in un’editoriale sul sito del WEF, Helena Leurent, Director General Consumers International. “Si tratta non solo di un aumento del 340% rispetto all’anno precedente ma, sorprendentemente, del doppio della spesa governativa globale per il clima. I consumatori sono ora i veri leader del clima.”

Innovazione, tecnologie, processi di consumo. Con un’unica ma importantissima assente: della finanza green, per il clima e la biodiversità, pochissime tracce. Intiepidito l’iperentusiasmo del mondo della finanza per gli ESG (dopo la sbornia del WEF 2023), anche a causa delle ritrosie della finanza USA, e per i programmi di riforma delle banche centrali e multilaterali, si è discusso ben poco di come movimentare le migliaia di miliardi di dollari necessari ogni anno per mitigazione delle emissioni, tutela della biodiversità, resilienza dell’economia.

Un paradosso, dato che la chiave per sostenere la transizione tecnologica, l’innovazione industriale, il supporto ai Paesi più vulnerabili e poveri è la trasformazione radicale delle priorità d’investimento, degli strumenti finanziari e in generale del messaggio che i grandi dell’economia devono convogliare al mondo intero per allineare gli interessi e lavorare fin da subito per la graduale e ordinata dismissione degli asset fossili.

Visione d'insieme della sala conferenze, World Economic Forum , Benedikt von Loebell

 

Qualcosa c’è stato. Il panel con l’economista Vera Songwe e Lord Nicholas Stern ha cercato di riportare l’attenzione sul tema del ruolo delle banche e come possono lavorare per rimuovere gli ostacoli per l’accesso al credito per progetti green. Alcuni progetti hanno destato qualche interesse come la presentazione dell’accordo tra ZERO13, piattaforma fintech digitale per il clima come servizio (di fatto una borsa internazionale della CO₂ basata su blockchain), e XTCC, il primo prodotto di investimento negoziato in borsa per i crediti di carbonio ad alta integrità (da energia rinnovabile e agricoltura rigenerativa), che hanno annunciato un progetto per attirare 100 miliardi di dollari di investimenti nel mercato dei capitali per i crediti di carbonio ad alta integrità.

Ma in generale il tenore del discorso su green finance, climate finance o green banking che sia è stato molto debole. Un segnale di preoccupazione. Se il tema del World Economic Forum era proprio quello di ristabilire la fiducia, non si può dire certo che su questi temi l’obiettivo sia stato raggiunto. Serve un’iniezione di fiducia reale. Non resta che aspettare cosa succederà agli incontri di primavera delle Banche Multilaterali di Sviluppo e sperare in un rafforzamento di Wall Street, Londra e Shanghai per movimentare le risorse per la transizione dell’economia globale.

 

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Immagini: World Economic Forum. Immagine di copertina: Pascal Bitz

 

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